Fini dà lezioni di parlamentarismo e accende l’ennesima “miccia” nel Pdl

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Fini dà lezioni di parlamentarismo e accende l’ennesima “miccia” nel Pdl

20 Maggio 2010

La nuova lezione di parlamentarismo che Gianfranco Fini dispensa urbi et orbi ha un duplice effetto. Sul piano politico innesca un’altra polemica dentro il Pdl e serve la palla al j’accuse dell’opposizione. Denunciare il rischio di una paralisi dell’attività legislativa a causa dei “veti” della commissione Bilancio sulla copertura finanziaria ai provvedimenti, nei ranghi della maggioranza viene letto come l’ennesima critica al governo con l’aggiunta di un messaggio indirizzato a Tremonti, “reo” di non mollare i cordoni della borsa.

Che il refrain finiano sul parlamento ostaggio del governo non sia andato giù a più di mezzo Pdl è un dato di fatto che ieri Fabrizio Cicchitto ha rimarcato in Aula quando ha sottolineato di non condividere “l’immagine di un parlamento che non lavora, incapace di andare avanti e messo nell’impossibilità di procedere dal governo”.

Il presidente dei deputati Pdl ha richiamato due elementi di fondo che evidentemente il presidente della Camera non ha tenuto nel debito conto: l’articolo 81 della Costituzione (disciplina le regole del bilancio dello Stato) e una situazione economica che al governo impone rigore sulla spesa e nella tenuta dei conti pubblici e al parlamento di non legiferare in deficit. E nel botta e risposta con  Fini, c’è molto del clima che si respira nel Pdl.

L’inquilino di Montecitorio non ha gradito la “reprimenda” e ha risposto che Cicchitto “o ha preso un abbaglio, oppure ha fatto finta di non capire. Certo, io non contesto l’articolo 81 della Costituzione. Controreplica a stretto giro. Nessun abbaglio, ha sottolineato il capogruppo, tantomeno “ho fatto finta di non capire”, il punto semmai sta nel diverso modo di valutare l’andamento dei lavori parlamentari. Il riferimento è rivolto anche alla lamentela di Fini sulla “settimana corta” dei deputati (due giorni a settimana per circa sedici ore complessive) ma anche qui si fa notare come il ragionamento non tenga nella giusta considerazione il lavoro portato avanti dalle Commissioni, spesso riunite in seduta notturna.

L’esempio più recente che in molti nel Pdl richiamano è quello dell’altroieri con la chiusura alle tre di notte dei lavori della commissione Giustizia al Senato, sul ddl intercettazioni. C’è un altro elemento sul quale vale la pena soffermarsi: se si prende in esame il “rapporto” presentato dal ministro per i Rapporti con il parlamento Elio Vito, il quadro che emerge non è esattamente quello denunciato da Fini. Nei due anni della legislatura le proposte di legge di iniziativa parlamentare approvate sono state ventuno, otto in più rispetto a quella del governo Prodi e sui disegni di legge sono stati 1719 gli emendamenti varati di cui il 26 per cento proposti dalle opposizioni (21 per cento quelli del governo). Quanto ai decreti legge, il parlamento ha modificato il testo nella quasi totalità dei casi con 1411 modifiche.

Non solo, il “dossier” evidenzia anche come molti emendamenti approvati durante l’esame dei decreti legge siano stati presentati da deputati dell’opposizione: in totale 211, pari al 15 per cento del totale, cifra che supera quelli di iniziativa governativa (117, pari al 12 per cento). Rispetto allo stesso periodo della precedente legislatura, è aumentato il numero delle mozioni e delle risoluzioni presentate alle Camere, come pure la percentuale dei provvedimenti portati a termine. Per quanto riguarda le mozioni, la “percentuale di conclusione” è salita al 73 per cento a Montecitorio e al 53 per cento a Palazzo Madama, mentre la percentuale di conclusione delle risoluzioni ha raggiunto il 100 per cento nei due rami del Parlamento.

L’analisi di Fini, dunque, non convince sia all’interno del partito che tra i vertici dei gruppi parlamentari del Pdl. Per il vicepresidente dei senatori Gaetano Quagliariello rischia di essere una polemica di retroguardia, perché non tiene conto dei mutamenti nel rapporto tra poteri nel contesto del sistema politico e “più in generale nell’evoluzione del parlamentarismo contemporaneo".

Il punto è che “mai come in questa legislatura la forma di governo si è avvicinata a un governo di gabinetto, che prevede l’esistenza di un continuum tra esecutivo e maggioranza e di un’opposizione che propone soluzioni alternative per candidarsi a una possibile successione. In questo quadro è normale, e difatti è un dato consolidato in tutte le democrazie parlamentari avanzate del mondo, che l’iniziativa legislativa sia prevalentemente del governo che ha l’onore di sottoporre al parlamento i disegni di leggi che realizzano il programma elettorale sul quale ha ottenuto l’investitura popolare“, osserva Quagliariello aggiungendo che è anche grazie alla compattezza tra governo e maggioranza che il Paese è stato in grado di reggere di fronte agli affetti della crisi internazionale.

Dunque, se si vuole rilanciare il parlamentarismo – avverte Quagliariello – non lo si fa “attraverso il computo dei giorni e delle ore di attività dell’Aula, che tra l’altro non considera il grande lavoro svolto nelle Commissioni (in Senato, ad esempio, la riforma dell’università e quella della professione forense hanno avuto una fortissima torsione parlamentare grazie all’approfondimento delle Commissioni). Lo si fa, piuttosto, ponendo il problema del controllo che il parlamento deve esercitare non solo sul governo ma anche su quelle branche dell’amministrazione che hanno assunto autonomia e che in assenza di controlli rischiano di diventare poteri irresponsabili“.

Ed è su questo che Quagliariello invita a riflettere con maggiore attenzione: “Il fatto che la correlazione tra le tante authority sorte in questi anni e l’espressione della sovranità popolare si stabilisca solo attraverso una relazione annuale sembra un tema al quale prestare maggiore attenzione che al calcolo cronometrico dei momenti di lavoro della sola Aula parlamentare. Alcune di queste tematiche epocali – conclude Quagliariello – potrebbero essere affrontate attraverso quella riforma dei regolamenti che invece, non si sa perché, i laudatori della centralità del Parlamento continuano a eludere”.

Messaggio per Gianfranco Fini.