Fini dice “ni” ad Alfano e la riforma della giustizia resta in stand by

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Fini dice “ni” ad Alfano e la riforma della giustizia resta in stand by

20 Ottobre 2010

Né un sì né un no. Sta nella frase del Guardasigilli l’esito dell’atteso faccia a faccia sulla riforma costituzionale della giustizia con il presidente della Camera. Alfano spiega le linee guida, Fini sospende il giudizio fino quando il provvedimento non sarà nero su bianco ma intanto prova a mettere i suoi paletti. Tatticismi futuristi? Nella maggioranza sono in molti a non avere dubbi.

E’ un fatto che la giustizia rappresenti lo snodo centrale della legislatura e che Fli su questo punti a incassare il massimo del risultato al tavolo della trattativa. Se la tattica è quella del ‘condizionamento’, dall’incontro di ieri non ci si poteva aspettare granchè, anche perché la bozza di riforma che gira da alcuni giorni è sottoposta a limature e modifiche in corso d’opera prima di approdare in Consiglio dei ministri e subito dopo in Parlamento.

Dire sì adesso, secondo la logica futurista dei se e dei ma attorno ai quali costruire il consenso e magari spenderlo in chiave elettorale in caso di elezioni anticipate, avrebbe significato vincolarsi a una posizione da mantenere quando si tratterà di pronunciarsi con un voto. Per questo, è il ragionamento nei ranghi di Fli, Fini vuole mantenere un margine ragionevole di manovra per ottimizzare il risultato finale. Non chiude la porta, ma fin d’ora esplicita cosa non va fatto.  La premessa è: la cornice non basta se poi verrà stravolta da emendamenti o norme che possono risultare “controverse o addirittura inaccettabili”.

Della serie: disponibili a discutere della riforma che, anzi, si ritiene “necessaria” ma solo se si verificheranno una serie di condizioni. Quali? Non deve essere messa in discussione l’indipendenza della magistratura, non a caso Fini dice ad Alfano che “l’ auspicata separazione delle carriere andrà disciplinata in modo tale da non comportare alcuna ingerenza del potere esecutivo su quello giudiziario”. Il passaggio successivo: serve “chiarezza” nella formulazione delle norme che “disciplineranno e delineeranno i poteri e le funzioni del Csm, della istituenda Alta Corte di Disciplina e dello stesso ministro Guardasigilli”.

E’ per questo, chiosa la terza carica dello Stato in una nota, “trattandosi di una riforma che inciderà fortemente sulla Costituzione e non di un mero manifesto politico di intenti è doveroso sospendere il giudizio in attesa di conoscere il testo che il Consiglio dei Ministri approverà e di verificare, con spirito costruttivo, le eventuali modifiche apportate dal Parlamento”. Messa giù così, appare evidente e chiaro che i finiani tenteranno di incidere sulla stesura del provvedimento riaprendo (se mai fosse stata chiusa) la fase della mediazione come già avvenuto, ad esempio, per il ddl sulle intercettazioni.

E la preoccupazione maggiore, nella maggioranza, è proprio questa: rallentare la road map sui cinque punti programmatici, a cominciare dalla giustizia che il Cav. considera la riforma delle riforme. Per questo non avrebbe accolto di buon grado il “ni” di Fini, stando a quanto trapela dal suo entourage, quando a tarda sera ha fatto il punto con Alfano e Ghedini.

Il presidente Schifani lancia un segnale distensivo quando dice che la riforma è aperta al contributo di tutti e il messaggio pare rivolto in primis ai finiani. L’apertura di Fli è sul Lodo Alfano costituzionale e in particolare sulla retroattività dei procedimenti per il premier e le alte cariche dello Stato, varata ieri al Senato in commissione Affari Costituzionali con l’emendamento presentato dal presidente Vizzini e votato anche dai finiani con Saia. Passaggio sul quale Pd e Idv annunciano le barricate mentre l’Udc è orientato all’astensione quando arriverà in Aula.

Fini si stupisce che gli altri si stupiscano per il voto favorevole dei suoi a Palazzo Madama che quindi, dovrebbe essere tale anche a Montecitorio, lasciando intendere che questa è la posizione di Fli da sempre perché non si tratta di norme che estinguono i reati, ma che congelano i processi per le alte cariche il cui ruolo istituzionale va tutelato nel momento in cui esercitano la loro funzione. Eppure, osservano alcuni parlamentari pidielle, nella linea finiana c’è un’incongruenza perché se il discorso vale per il Lodo Alfano non si capisce per quale motivo la pattuglia di Fli si sia messa di traverso minacciando di votare contro la stessa norma che era prevista per il processo breve.

Anche qui, la lettura prevalente rimanda alla tattica finiana. Della serie: molliamo la presa sulla retroattività puntando magari ad altri tasselli della riforma da capitalizzare politicamente. Del resto Fini sa che non può rischiare di accollarsi la responsabilità (tutta politica) di una rottura definitiva col Cav che porterebbe dritti alle urne. Non in questo momento e soprattutto non dopo aver votato ‘sì’ sui cinque punti programmatici dell’agenda di governo, tra i quali la riforma complessiva della giustizia.

E se il numero uno di via Arenula esce da Montecitorio riconoscendo lo spirito costruttivo di Fini anche se sarebbe stato “ingenuo da parte mia aspettarmi un sì o un no” si comprende come, ancora una volta, la strada delle riforme sia tutt’altro che in discesa. Lavori in corso, con tanto di cartelli segnalatori: “Attenzione, pericolo di caduta massi. Futuristi”.