Fini dovrebbe guardarsi dal modello Pelosi: non porta lontano
04 Novembre 2010
Una Donna e un Uomo. Lei italo-americana. Lui “Italianissimo!”. Lei Democratica. Lui non si sa più. Lei è nella polvere dopo la sconfitta delle elezioni di medio-termine. Lui ha appena ricevuto un riconoscimento politico dal suo avversario-alleato Berlusconi. Lei ha settant’anni. Lui cinquantotto. Lei lo ha incontrato a L’Aquila. Lui a Washington. Sino a ieri colleghi transatlantici di pari rango: entrambi a capo delle rispettive Camere basse del Parlamento. Entrambi sull’onda. Da ieri non più.
Nancy Pelosi, ex Majority Leader della Camera bassa del Congresso, ha ricevuto la pugnalata politica dagli elettori americani che, in maggioranza, hanno rifiutato le sue politiche, la sua visione della società, togliendole dalle mani lo scettro di una delle due camere e trascinando nel baratro la sua agenda politica e quella di tutto l’esecutivo obamiano. Un baratro simile a quello nel quale i Fiellini (Futuristi neanche a dirlo, non se lo meritano) vorrebbero gettare l’esecutivo Berlusconi e con lui l’idea, o meglio il barlume, liberale in Italia.
Nancy Pelosi e Gianfranco Fini sembrano proprio non avere nulla in comune a prima vista, se non un destino che potrebbe divenirlo presto. Entrambi afflitti da una stessa sindrome benché diversa per sintomi e fase di avanzamento. Un male che si manifesta in una spasmodica voglia di plasmare la realtà a uso e consumo della propria opportunità politica. Una postura fatta di compromessi pubblici, di uscite infelici (e ritrattate), di proprie identità negate.
Colui che è costretto a cambiare, vuole imporre lo stesso contrappasso agli altri. Una volta abbandonata la colonna delle identità, tutto è lecito, tutto è concesso. Un “tutto”culturale che si fa e si disfà, come un tocco di argilla da buttare il giorno dopo perché ormai indurito e vecchio. Le statue non esistono più. Nulla è da conservare. Il gioco senile (o terribilmente infantile fate voi) diventa allora quello di rompere e rimontare, in uno sforzo affabulatorio teso ad indicare la via, a stupirci, ad aprire alle fasce “più deboli”, a corteggiare la Morale perbenista, tricoteuse e guardona di chi fino all’altro giorno non ti ha accettato a corte. Peccato che la corte sia decadente come quella di Franceschiello (sapete in tempo di centocinquantenario dell’Unità d’Italia, capirete…).
La fucina della politica corretta si erge a nuovo monumento, feticcio ancora in decomposizione della politica chiacchierata, non misurata e prona solo alla ricerca del potere personale. “Sono stato bravo?” potrebbe chiedere Fini. Siamo certi che dalle colonne di Repubblica e del Fatto Quotidiano si alzerebbero le palette per l’illustre “casseur” del centro-destra. Mai sotto il sei, finché servi. Così come dalla CNN, dalle colonne del Washington Post e The Nation elogiavano le legislazioni obamian-europee tradotte in politica legislativa dalla Pelosi. L’esito: la sconfitta, benché Annunciata, detta Nancy, Pelosi non “abbia rimorsi”.
Progressismi e eclettismi politici che si consumano in un battito di ciglia o d’agenzia. La voglia di illuminarci “in progresso”, di sdoganarsi e sdoganarci, di svelarci il nuovo mondo, come un giovane Colombo in un’America dove nessuno vorrebbe più andare – la multiculturalità, la multietnicità, lo Stato a tutti i costo nella società, l’ossimorica “Moralità nella sfera pubblica" e domani chissà, perché non la multi-fecondazione assistita – un incubo dal quale fuggire sudati. C’è spazio per tutto nel magazzino dell’effimera correttezza politica. Magari non avesse ragione il suo ex-compagno di partito Storace quando, nel ricordare il Fini missino e aennenino e oggi fliennino ha sentenziato: “O mente adesso, o mentiva allora!” Ma non c’è da preoccuparsi: l’allora non esiste già più. E’ perso nel ‘900, decadi or sono. Non conta. Ora basta un click e tutto si formatta.
Ad Annunciata Pelosi il nuovo credo di ingegneria culturale, auto-imposto e caduto dall’alto, è costato caro negli Stati Uniti ancora in crisi economica. In Italia non ce la passiamo meglio. Cosa avrà pensato Gianfranco Fini, osservando le infauste sorti della sua “pari” dall’alto colle che domina il comune agone della democrazia come fanno gli ufficiali che non vanno in battaglia e che ci mandano gli altri? Forse un pensiero gli sarà passato per la testa: “Che la stessa sorte non mi tocchi?” con la colpa di Iago che tanto biasima Otello.
"Futuro e libertà" è quasi in mare aperto e la ciurma mostrerà la sua pasta. A noi basta ricordare che anche JFK (che ci aspettiamo entri presto nel neo-pantheon finiano) teneva una placca sulla sua scrivania con inciso il noto passaggio della Preghiera del pescatore bretone: “O Dio, il tuo mare è tanto grande e la mia barca è tanto piccola.” Il “Futuro” ci dirà se la barca andrà a picco, e se sarà, se il capitano andrà a fondo con essa.