Fini e Casini s’incrociano ma alla fine prenderanno strade diverse
06 Agosto 2010
Se Pier Ferdinando Casini, in modo immaginifico e roboante, annuncia che finalmente in Parlamento è nata un’area di “responsabilità nazionale”, costituita dai gruppi che si sono astenuti sulla mozione di sfiducia al sottosegretario Giacomo Caliendo, Gianfranco Fini che cosa può rivendicare per se stesso e per il sua neonata formazione politica? Se si identificasse nel vasto arcipelago descritto con tanta enfasi dal leader dell’Udc dovrebbe ammettere che fino a mercoledì scorso lui ed i suoi uomini hanno fatto parte di un’area di “irresponsabilità nazionale” essendo stati parte integrante non solo della maggioranza (nella quale ancora si riconoscono), ma anche del governo, visto che soltanto alla luce dei nuovi avvenimenti, sempre secondo Casini, finalmente potranno essere affrontati per come meritano i problemi del Paese.
Tra i due vecchi ragazzi della politica italiana, entrambi a diverso titolo ed in momenti non sempre coincidenti, protagonisti di primo piano della costruzione del centrodestra, più che le assonanze, soprattutto in questo momento, colpiscono le differenze. Intanto Casini può vantare, dal suo punto di vista, l’indiscutibile lungimiranza nell’aver previsto lo sfascio del bipolarismo italiano, ragion per cui dice di non essere entrato nella coalizione berlusconiana rischiando molto perché convintamente anti-bipolarista a cui ha sempre fatto da contrappunto il forte richiamo contrario – e perfino alla necessità di un’evoluzione del sistema in senso bipartitico – di Fini. Che oggi, Casini e Fini (chissà con quanta partecipazione da parte del secondo) si ritrovino in un’area di “responsabilità nazionale”, allargata ad altre formazioni, preludio di evoluzioni future e di più stretti legami, non sappiamo quanto sia oggettivamente funzionale alla nascita di un nuovo soggetto politico dal momento che il presidente della Camera resta bipolarista ed il suo predecessore l’avversa decisamente.
Questione non da poco destinata, comunque, a marcare la divisione tra i due. Così come non sembrano da sottovalutare le questioni etiche di fronte alle quali la politica non può ritenersi estranea, ma è destinata ad assumere un ruolo sempre più interventista poiché tutto ciò che è legato alla vita ed alla morte, al percorso umano dalla nascita alla fine, è intrecciato con modelli di civiltà nei quali la persona è interamente calata. Il neo-laicismo di Fini, e di alcuni dei suoi compagni di viaggio (mentre la maggioranza la pensa in maniera radicalmente diversa), è compatibile con la visione spirituale, se così ci si può esprimere, di Casini, cattolico osservante e politicamente cristiano democratico?
Dov’è qui, nel merito di una narrazione morale che si schiude ad una religiosità non estranea alla politica stessa, la convergenza nell’area di “responsabilità nazionale”? Piuttosto si dica che per motivi molto più “secolari” (e perfino prosaici) Casini e Fini individuano nell’attuale conformazione del centrodestra uno strumento inadeguato a far progredire il Paese verso la costruzione ordinata di un neo-costituzionalismo fondato ancora sulla centralità del Parlamento e sulla retrocessione della partecipazione popolare nella scelta del “decisore” o, quantomeno, di un governo che, per quanto parlamentare, sia dotato di opportuni poteri per far sì che la nostra democrazia sia decidente oltre che autenticamente rappresentativa.
Ma questo aspetto, che pur legittimerebbe l’ideologia della “responsabilità nazionale”, non configura forse lo scontro tra due concezioni che hanno visto opposti da sempre Fini e Casini, impegnati, ad onor del vero, in difficili mediazioni al fine di soddisfare gli orientamenti istituzionali dell’uno e dell’altro? In altri termini, da quanto tempo (poiché non ce ne siamo accorti) Fini ha ripudiato il presidenzialismo (sia pur non declinato con assoluta precisione) per diventare un fervente parlamentarista? E se rimane dello stesso avviso, la convergenza con Casini sulla forma di governo come la giustifica? E se non c’è accordo su questo, vuol dire che non c’è su nulla, a meno di non trovare un’intesa soltanto nel tentare di far cadere Berlusconi, beninteso quando lo decideranno loro, e a dispetto del mandato popolare.
E’ questo un cattivo pensiero, naturalmente. Tipico di un “maldestro”. Ma come si fa a tenerselo dentro dopo quello che è successo? E giacché ci siamo, diciamo pure che l’Udc un progetto ce l’ha, tanto sull’etica quanto sulla riforma delle istituzioni, sulla legge elettorale e, come s’è detto, sulla inevitabile crisi e sconfitta del bipolarismo. Da Futuro e libertà, non è pervenuta nessuna proposta tale da essere discussa. Ho lasciato i miei amici nel nuovo gruppo, dall’oggi al domani, eticamente sulle posizioni di una Destra perenne (che qualcuno vuole negare), politicamente su un un decisionismo più americano che francese, per non dire della difesa agguerrita del bipolarismo. Sarebbe interessante sapere il loro pensiero – e lo chiedo con rispetto e con l’antica amicizia che a quasi tutti loro mi lega – sull’area di “responsabilità nazionale” intravista da Casini in un pomeriggio d’estate. Ho l’impressione che, come è avvenuto in passato, le strade del presidente dell’Udc e dell’ex-presidente di An si divideranno. Ma ci aspettiamo che uno dei due dica che per ora non si sono neppure incrociate.