Fini fonda il suo partito e a Montecitorio scatta il toto-presidente

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Fini fonda il suo partito e a Montecitorio scatta il toto-presidente

05 Ottobre 2010

Settimana decisiva. Per capire se Fini lascerà o no lo scranno più alto di Montecitorio dopo il varo del suo partito; per intuire i giochi che a cascata si potrebbero aprire sulla presidenza della Camera; per verificare se la legislatura è agli sgoccioli o se sono già in corso grandi manovre per il governo tecnico, tanto invocato dall’asse Pd-Udc per cambiare la legge elettorale e mettere fuori gioco Berlusconi.

Già, settimana decisiva, come altre ce ne sono state in questi ultimi mesi, da quando l’ex leader di An ha rotto col Cav., da quando le tensioni tra Pdl e finiani ha finito per indebolire governo e maggioranza. Intanto in Consiglio dei ministri fa il suo ingresso il successore di Scajola: da ieri Paolo Romani è il nuovo ministro dello Sviluppo economico, dopo cinque mesi di interim nelle mani del premier.

Il quadro politico è in movimento. Sullo sfondo resta l’opzione del voto anticipato, dietro le quinte torna a farsi largo l’ipotesi di un governo tecnico che secondo i rumors di Palazzo si giocherebbe lungo l’asse Bersani-Casini-Fini ma che potrebbe incassare anche il sostegno di una pattuglia di senatori Pdl che le voci danno guidata da Beppe Pisanu, da tempo critici sulla gestione del partito.

Nelle ultime ore, infatti, circola con insistenza la voce di una decina di senatori pronti a passare armi e bagagli dall’altra parte della barricata, sostenendo il disegno di un esecutivo di transizione messo su ad hoc per cambiare la legge elettorale, in cambio evidentemente, di un posto al sole nel futuro Parlamento. Per ora solo uno scenario che si fa largo nella ridda di ipotesi e congetture che agitano il dibattito politico nella maggioranza ma che se avesse un qualche fondamento di verità rivelerebbe un dato: la propensione al trasformismo di chi eletto col e grazie al Pdl non si fa scrupolo ad anteporre i propri interessi al vincolo di lealtà dovuto al governo e agli elettori. Vedremo nelle prossime ore se l’idea è solo un rumors di Palazzo .

A questo si aggiunge la nascita del parito di Fini che oggi compie il primo passo costituente. Niente di nuovo rispetto a quanto già si sapeva, ma il fatto porta con sé il nodo della presidenza della Camera. Che cosa farà Gianfranco Fini, si dimetterà? E’ ovvio che il nuovo partito avrebbe un appeal maggiore con Fini leader. E del resto una manciata di giorni fa la sollecitazione pubblica in questo senso di Alessandro Campi, suo consigliere fedelissimo, non è sembrata una boutade. Ma è anche vero – si ragiona nei ranghi di futuristi – che lasciare ora la presidenza della Camera vorrebbe dire “darla vinta a tutti coloro che hanno montato questa bufera mediatico-politica ignobile”. E c’è chi non esclude a priori una soluzione transitoria.

Della serie: Fini manterrebbe lo scranno più alto di Montecitorio fino alla conclusione, naturale o meno, della legislatura. Poi, svincolato dal suo ruolo istituzionale, sarebbe libero di prendere la guida del nuovo partito e presentarsi da leader agli elettori. Il nodo sarà affrontato oggi nel vertice futurista. Un fatto è certo: Fini non potrà reggere troppo a lungo il doppio ruolo di terza carica dello Stato e capo di un partito che ha operato la scissione dal partito di maggioranza relativa, ponendosi su una traiettoria anti-berlusconiana. E non bastano le sottolineature dei suoi uomini che rimandano alla presidenza di Casini o a quella di Bertinotti per dire che si può essere arbitri imparziali e leader politici insieme. Francamente un po’ poco per giustificare la questione di opportunità che, invece, gli uomini del Pdl rivendicano auspicando che Fini lasci la presidenza della Camera.

Eventualità che apre un’altra partita e a Montecitorio è già scattato il toto-presidente. Se Fini lascia, Berlusconi dovrà ragionare attentamente su una casella strategica per il prosieguo della legislatura, dalla quale dipendono due aspetti altrettanto importanti: la realizzazione delle riforme che il governo ha nella sua agenda e il consolidamento parlamentare del Pdl ora che Fli si appresta a diventare un partito “di lotta e di governo”. E ancora: in campo c’è pure la possibilità di individuare un nome al di fuori del recinto della maggioranza per dare slancio al progetto del Cav., ovvero il partito dei moderati. E’ su questo versante che potrebbe entrare in gioco l’opzione Casini, letta nel Pdl come un primo passo verso il riavvicinamento a Berlusconi.

E’ vero che finora il leader centrista ha rifiutato qualsiasi ipotesi di ingresso in maggioranza, ma è altrettanto vero che il ruolo istituzionale  potrebbe essere la carta giusta per mantenere una posizione terza e aprire una nuova stagione che potrebbe portare in prospettiva anche ad un’alleanza elettorale. C’è un altro aspetto: l’ipotesi Casini potrebbe significare un’accelerazione lungo la via delle riforme indicata dal Cav. e al tempo stesso rappresentare un buon passe-par-tout nell’ottica dell’allargamento della maggioranza che finora il premier non ha centrato pienamente.

Nelle file della maggioranza circola anche un altro nome, dato tra i ‘papabili’: Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera, berlusconiano di ferro, e referente di Comunione e liberazione in Parlamento. Uomo del nord con un forte seguito a livello territoriale, per molti potrebbe rappresentare l’opzione giusta per tenere a bada la Lega – a Roma come in Lombardia – e garantire un consolidamento della forza parlamentare del Pdl in un momento nel quale l’incognita di Fli è il rebus da testare giorno per giorno.

In attesa di capire gli sviluppi di un quadro politico estremamente fluido, ieri il premier ha sbloccato la casella lasciata vuota dello Sviluppo economico, dopo le dimissioni di Scajola. Tutto come da previsioni: Paolo Romani, già viceministro e berlusconiano doc, guiderà il dicastero, dopo oltre 150 giorni di interim firmato Berlusconi e una ridda di polemiche e richiami anche da parte del Quirinale. Una cerimonia rapida, quella del giuramento nelle mani del presidente Napolitano servita non solo a ridare piena titolarità e operatività al dicastero di via Veneto ma che sul piano politico taglia le gambe alla questione legata alla mozione di sfiducia al ministro ad interim presentata dalle opposizioni che l’Aula della Camera avrebbe votato proprio oggi.

Nello stesso giorno in cui Fini dovrà decidere se fare il presidente della Camera o il capo di un partito e Berlusconi quale strategia mettere in campo per stoppare i tentativi di ribaltone e ricompattare le file della sua maggioranza.