Fini medita su Roma ma il partito ha molti dubbi
20 Luglio 2007
di Guido Forte
Si candiderà a sindaco di Roma? Accetterà la sfida per salire i gradini della scalinata del Campidoglio? Gianfranco Fini medita da giorni ad una sua candidatura, cioè da quando Walter Veltroni ha deciso di candidarsi alla segreteria del Partito Democratico. Da allora è partito il toto-candidature con il leader di An dato in pole, il quale però almeno per il momento non scopre le sue carte. In realtà forse per ora nemmeno lui sa esattamente che cosa fare perché la partita per il Campidoglio è tutt’altro che semplice. Fini già nel ’93 fu candidato e perse, anche se di poco, contro un rampante Francesco Rutelli che proprio dall’esperienza di governo in Campidoglio ha creato la sua fortuna politica. E’ naturale che Fini vada avanti con i piedi di piombo.
Lo stesso Fabio Rampelli, deputato di An con una consolidata esperienza nelle amministrazioni romane, è pensieroso. “Le stelle sembrano non stare dalla nostra parte” va dicendo da giorni e ammonisce: “Si deve rompere un monopolio consolidato. Dovremo passare da un fuoco di artificio ad un altro”. Ragionamenti che in An molti fanno. Quindici anni di amministrazione di centrosinistra non si superano da un giorno ad un altro. Una sfida, quindi, difficile. E Fini una nuova sconfitta non può permettersela e soprattutto sa che un risultato negativo lo ostacolerebbe oltremodo nella corsa alla successione del Cavaliere. Ecco allora che tra una sigaretta e l’altra pensa al da farsi. In attesa, anche, di capire come si comporterà Veltroni. Già proprio lui che se incoronato segretario del Pd potrebbe comunque decidere di non dimettersi. Un ragionamento che Gianni Alemanno non condivide affatto, il quale se da un lato riguardo a Fini parla di “ipotesi importante” tiene a precisare che “Roma non ha bisogno di un sindaco presente a metà”. Un Alemanno che guarda con attenzione alle mosse finiane. Non è un mistero, infatti, che dopo la pesante sconfitta dello scorso anno vorrebbe a breve avere la possibilità di una rivincita. Ma un Fini in campo sarebbe l’ostacolo più grande ai suoi desiderata. Ma nel frattempo continua a consolidare il suo potere su Roma attraverso la Federazione romana che ormai controlla.
Tornando alla scelte veltroniane sul comune di Roma in effetti codice alla mano nulla vieta allo yankee rosso di mantenere l’incarico di sindaco. Dalla sua parte ha decine e decine di casi e tra questi proprio Fini che anche se ministro degli Esteri mantenne l’incarico di presidente di An. O dello stesso Berlusconi che ha continuato a guidare Forza Italia mentre era Capo del Governo. Quindi su questo punto le richieste di dimissioni che da giorni piovono dall’opposizione verso Veltroni non dovrebbero trovare terreno fertile dalle parti dell’Unione. Questo forse trattiene Fini dal “sentirsi in campagna elettorale” come ha detto recentemente. Probabilmente lui stesso non pensava che quell’ospitata a Tv7, in cui confidò che “la CdL avrebbe calato quattro assi” e che tra questi “poteva esserci lui”, avrebbe innescato un continuo gioco al rialzo. Invece non passa giorno che la questione non tenga banco nelle discussioni politiche. Tutto rumore pienamente giustificato. La discesa in campo di Fini non è cosa da poco e come la quasi totalità del Partito la considera una prospettiva di grandissimo prestigio.
Adolfo Urso la ritiene “più di un’ipotesi”. Chi conosce bene Roma come il deputato Antonio Mazzocchi parla “di una scelta vincente. Con Fini vinciamo al 100 per cento”. Parole e argomentazioni che tutti all’interno del partito ripetono come se fosse una filastrocca. Nessuna nota stonata tutti sono dalla parte del capo. Anche chi come Briguglio, ex sodale di Francesco Storace, che ipotizza: “Gianfranco Fini potrebbe diventare il primo sindaco di Roma espressione della destra politica”. O come Barbara Saltamartini, a capo del Dipartimento Pari Opportunità, che parla di un “centrodestra che può rappresentare l’unica vera alternativa al governo della Città” con una “persona capace di valorizzare le grandi risorse che la capitale d’Italia offre”. Tutti uniti, quindi. In realtà però le incognite sono molte ed anche i distinguo. Alcuni prendono forma dai rumors e dai boatos che da via della Scrofa arrivano fino a Montecitorio. Altri, invece, trapelano direttamente dalle voci degli stessi esponenti del Partito. Un’incognita è il Partito.
Silvano Moffa, ex presidente della Provincia di Roma, conosce bene la questione. E non a caso il due volte sindaco di Colleferro e presidente della Provincia di Roma avverte che se “la candidatura di Fini è importante” non nascondendo che “il Partito lo deve seguire in questa sfida” e che c’è bisogno di “una diversa strategia che porti alla modernizzazione di An ed all’elaborazione di un progetto politico-amministrativo alternativo”. Parole non casuali ma che suonano quasi come un avvertimento per An e per far capire che oggi il Partito così com’è non è attrezzato a sopportare e supportare la sfida finiana. “Non si tratta di fare antagonismo al veltronismo” continua Moffa “ma di intercettare quella voglia di cambiamento con un programma politico-amministrativo alternativo”. Una disanima giusta che molti condividono anche perchè giunge proprio da Silvano Moffa. Chi meglio di lui può testimoniare questo ritardo del Partito a livello politico-progettuale? Fu proprio questa impreparazione che in buona misura lo portò alla sconfitta nelle recenti elezioni provinciali. Un ritardo che allora avvertì anche Francesco Storace e che lo convinse della necessità di lanciare la sua lista “tricolore” per scongiurare il tracollo alle elezioni regionali. Tutti sanno come andò a finire, ma la questione resta. Quella di un Partito che non riesce ad essere ancora in linea con la figura, il pensiero, ma anche l’ambizione del suo leader. Una visione che si rispecchia anche nell’analisi di Mazzocchi convinto che prima di tentare l’avventura romana “Fini deve portare avanti il processo di trasformazione che proprio lui ha iniziato. Ci sono altre tappe che soltanto Fini può concludere”. E qui si innesta l’altra dubbio: il partito Unico. Fini è personaggio di primo piano ed un eventuale vittoria della CdL in nuove elezioni con il Cavaliere a Palazzo Chigi potrebbe proiettarlo direttamente alla leadership del Partito delle Libertà. La cosiddetta “prospettiva nazionale” come la chiama Mazzocchi “a cui Fini può e deve guardare in prospettiva della realizzazione del Ppe italiano di cui Gianfranco potrebbe essere benissimo il leader”. Roma vale una leadership nazionale? Sembra essere questo uno dei dilemmi finiani. Ma non è l’unico, perché c’è anche la questione governo-partito.
Un Fini candidato a sindaco di Roma lo metterebbe lontano dalla scena di Governo, qualora la CdL vincesse le elezioni politiche. Non si tratta solo dell’eventualità di un Fini marginalizzato a livello nazionale ed in posizione più sfavorevole rispetto agli altri pretendenti alla successione del Cavaliere ma anche del ruolo della stessa An al tavolo politico. Non è un mistero che al di fuori di Fini An politicamente in questo momento abbia un peso specifico ridotto. La detronizzazione dei colonnelli, dopo la famosa chiacchierata alla “Caffetteria”, non solo ha mutato gli equilibri nel Partito ma lo ha geneticamente modificato.
Le correnti non si sono semplicemente sciolte ma liquefatte in una visione unitaria che però suona più come unanimismo. Destra sociale ormai esiste solo sulla carta mentre Destra Protagonista ad intermittenza dimostra la sua vitalità e così An vive sulla base delle iniziative e dei progetti irradiati dal centro. In questa situazione un Fini fuori gioco potrebbe essere un brutto colpo per An. Da qui si spiega la prudenza di molti e la convinzione che Fini prima di candidarsi debba mettere mano al partito ed alla sua struttura. Al timore di un An in difficoltà c’è però anche chi dipinge uno scenario diverso, quello di Maurizio Gasparri convinto che “Fini ha più frecce al suo arco. Oltre al sindaco ha prospettive di grande rilievo nel Governo e nelle Istituzioni”. E proprio il profilo istituzionale sembra essere l’altro motivo di cautela per il leader di An. Perché imbarcarsi, dicono dalle parti di via della Scrofa, in un’avventura senza certezza abbandonando l’ipotesi di un posto sicuro, addirittura, come presidente della Camera? Ipotesi suggestiva quella che potrebbe vedere Fini sullo scranno più alto di Montecitorio e che per cinque anni gli permetterebbe di lavorare al suo futuro politico.
Tante valutazioni ed opzioni per una candidatura che il leader di An dovrà vagliare con attenzione tenendo a bada anche le minacce esterne che in questo momento ha un solo nome: Francesco Storace. A fine mese l’ex governatore presenterà il suo programma politico e lo statuto di “La Destra” che intanto proprio l’altro ieri ha fatto una nuova conquista in An: Roberto Salerno. E le voci dicono di nuove adesioni in arrivo, soprattutto a livello locale. Un’incognita quella storaciana che potrebbe diventare pericolosa qualora si tramutasse in candidatura al Comune di Roma. Più che un’ipotesi e che potrebbe dare molto fastidio a Fini drenandogli molti consensi. Infatti è proprio nel Lazio che il suo ex portavoce ha la base del suo elettorato. Un problema ulteriore per Fini. Come se ne avesse pochi.