Fini: “Non abbiate paura, la nostra storia prosegue nell’amore per l’Italia”

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Fini: “Non abbiate paura, la nostra storia prosegue nell’amore per l’Italia”

22 Marzo 2009

 

Con il sì dell’assemblea congressuale Alleanza Nazionale entra nel Pdl. Senza nostalgie, con qualche timore per il futuro ma con un pacchetto di proposte per dare testa e gambe al partito unico. In realtà "paletti" entro i quali definire l’essenza del nuovo soggetto politico: valori certo, ma sopratutto regole, territorio, democrazia interna e meritocrazia. 

Alla nuova Fiera di Roma nell’ultima giornata dell’ultimo congresso di An, il popolo della destra getta il cuore oltre l’ostacolo, chiude una storia durata 15 anni e la porta tutta intera nel Popolo della Libertà (che nascerà formalmente tra una settimana), realizzando così il sogno di Pinuccio Tatarella: "Il partito degli italiani".

L’ultimo atto, il più solenne, spetta al leader. Per un’ora Gianfranco Fini lascia i panni di presidente della Camera fuori dall’enorme padiglione dove lo attendono duemila delegati e una folla sterminata di dirigenti e militanti. Parla a braccio e tocca le corde del suo popolo. Ma va oltre, indicando la mission del Pdl.

Il suo è l’intervento più atteso in una mattinata scandita dagli interventi degli uomini dello stato maggiore di An: Maurizio Gasparri, Gianni Alemanno, Altero Matteoli. Ciascuno parla al cuore e alla testa dei militanti, spronandoli a "dispiegare le ali e volare in alto, a pensare in grande" (Gasparri che parla al cuore dei militanti e insiste sui temi della sicurezza, dell’immigrazione, della legalità, della famiglia), ad essere protagonisti di "una grande sfida da affrontara senza timori ma pure senza facili entusiasmi" (Alemanno), perchè "gli elettori hanno già scelto il Pdl nelle urne" e perchè "da Fiuggi abbiamo intrapreso un cammino che ci ha portato dritti a questo obiettivo" (Matteoli).

Il premier Silvio Berlusconi (ha seguito sul web di An il discorso di Fini che poi ha detto di avere apprezzato) affida al coordinatore nazionale di Forza Italia Denis Verdini il suo messaggio al popolo aennino riconoscendo la storia e la tradizione di una destra moderna, oggi protagonista di un progetto politico di portata storica.

 Da Fiuggi al Pdl. Il richiamo al congresso che nel ’95, non senza strappi nel partito che allora cambiava pelle, portò il popolo della destra a "lasciare la casa del padre" e ad aprire una nuova fase, è il leit motiv costante di una mattinata carica di pathos. E i big del partito che si avvicendano sul palco con alle spalle il simbolo di ciò che è stato (An) e di ciò che sarà (il Pdl) lo ripetono quasi per spazzare vie quel velo di nostalgia che comunque rimbalza da una parte all’altra della sala e che "esplode" nel lungo applauso che accompagna le parole e la commozione di Mirko Tremaglia). Ma la nostalgia non deve essere "la coperta di Linus", è l’esortazione del sindaco di Roma. Una standing ovation per il suo discorso molto pragmatico, calato sul valore della militanza, sull’importanza del radicamento territoriale, sulla necessità di costruire "un nuovo umanesimo identitario" ricollegandosi alle parole del Papa durante la sua visita in Campidioglio. Dice no al populismo identitario, sì alla consapevolezza della storia di una destra che nella lunga fase di transizione ha saputo proporsi e diventare destra di governo.

L’analisi di Fini. Il leader di An si commuove solo alla fine pronunciando la frase fatidica ma inevitabile: "Oggi finisce An, nasce il Pdl ma continua il nostro amore per l’Italia". Intervento alto il suo, ragionamento asciutto e razionale. Non tralascia anzi enfatizza i richiami a Fiuggi e ai "grandi maestri", ma al suo popolo preferisce indicare la prospettiva che è poi la cifra di un nuovo impegno perchè "oggi con il Pdl aggiungiamo l’ultimo anello alla catena, il primo lo abbiamo messo nel ’95 gettando il primo seme del partito unico".

Il senso del nuovo impegno al quale Fini chiama i suoi ma il messaggio vale anche per Forza Italia, non sta in ciò che è stato e neppure nell’oggi, ma nel domani. Nel saper "immaginare come sarà l’Italia dei prossimi dieci-quindici anni" e su quello calibrare la forza dell’azione politica nell’interesse del Paese. Scandisce le cose da fare. A cominciare dalla crisi per la quale rilancia l’idea degli "stati generali dell’economia. "Il governo fa bene a fare le sue scelte e l’opposizione a criticarle, ma se si è coscienti della portata della crisi economica non bisogna escludere l’idea di dar vita a quegli stati generali dell’economia" per avviare "il confronto fra parti sociali, imprenditori e categorie". C’è poi il capitolo delle riforme, in testa quelle istituzionali. Fini è diretto quando conferma il sì al presidenzialismo ma ciò non significa che "il Parlamento viene messo in un angolo, al quale si chiede di non disturbare il manovratore".

Usa toni concilianti nei confronti del Cav e di Fi ("in 15 anni abbiamo condiviso coerentemente battaglie e valori") dopo le recenti tensioni e tuttavia rimarca le ragioni del ruolo istituzionale che ricopre: "Deve esserci la consapevolezza che tanto più è necessario affidare a chi è il capo dell’esecutivo, legittimamente e liberamente scelto dagli elettori, il diritto-dovere di governare, altrettanto necessario è confermare il ruolo di controllo che attiene al Parlamento". Poi esorta la maggioranza che governa a presentare atti in Parlamento per sancire "la fine del bicameralismo perfetto" e l’avvio di una nuova stagione con una Camera e un Senato dei territori. Il terzo obiettivo di Fini, stavolta accolto tiepidamente dalla platea, riguarda il tema dell’immigrazione e dell’integrazione. "Tra dieci anni – scandisce – la nostra società sarà muiltietnica e multireligiosa", questione sulla quale confrontarsi "andando oltre la logica, pur giusta, di chi vuole più ordine e sicurezza e chiede l’espulsione del clandestino". Questa evoluzione della società – prosegue Fini – porrà "problemi del tutto nuovi sul piano dei diritti. Ed è evidente che se per noi è centrale il primato della dignità della persona, non possiamo discriminare qualcuno perchè è immigrato, anche se è clandestino".

Il profilo del Pdl. Fini sgombera il campo sul "tormentone" della leadership nel dopo-Berlusconi, però non rinuncia ad alcune sottolineature: "C’è un leader riconosciuto e forte, ma lo stesso Berlusconi sa che una leadership forte non può essere il culto della personalità. Un conto è essere leader, un conto è pensare che solo un leader può dare un contributo di idee, di impegno, di soluzioni politiche, di sintesi". Semmai è un profilo di livello europeo l’approdo al quale Fini sembra tendere. Lo si capisce nei continui riferimenti al Ppe. Lo fa sulla laicità dello Stato quando dice che questo principio è un valore per il partito popolare europeo che "ha smesso da tempo di essere un partito democristiano. Questo non significa negare il magistero della Chiesa o ignorare la dimensione della religione, bensì collocare la religione nella sfera personale e privata, non in quella pubblica". E ancora sui valori del Pdl che sono gli stessi del Ppe, sottolineando per altro verso, che la cifra politica della crisi del Pd sta proprio nella mancata sintesi interna sulla collocazione nelle grandi famiglie politiche europee.

Rispetto al Pdl, nel ragionamento di Fini, si percepisce di più una sua funzione per certi aspetti di "coscienza critica" finalizzata alla crescita e al consolidamento del nuovo soggetto politico. Auspica che "il Pdl sia il partito non di una persona ma per l’Italia", una forza plurale "in cui i valori della destra siano il lievito. Un partito interclassista, aperto, ma senza un pensiero unico". Segue un monito: "No alla degenerazione politica della correntocrazia. Nessuno pensi di costituire nel Pdl una corrente di An. Ci deve essere il confronto delle idee". Boccia l’idea che il partito unico sia nato dal predellino, ammonisce che "non c’è stato alcuno sdoganamento della destra, perchè le idee non si sdoganano ma si affermano", ribadisce l’importanza delle regole e da questo punto di vista dice che "lo statuto dà garanzie". Territorio e militanza nel Pdl: sono i due concetti sui quali il popolo della destra gli tributa un lungo applauso, anche se per affrontare questa sfida – sottolinea Fini – "ci dobbiamo mettere tutti in discussione a partire me". L’ultimo atto di An, quello solenne, si consuma tra le pieghe di una frase che il leader rivolge alla platea: "Non abbiate paura, andiamo nel Pdl da protagonisti, ma ci entri chi ci crede davvero".

Il sipario cala sulla Fiera di Roma, Fini chiude An ma tra una settimana aprirà al suo popolo le porte del Pdl. Insieme a Silvio Berlusconi.