Fini non vuole domande scomode, ammette solo quelle contro il Cav.

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Fini non vuole domande scomode, ammette solo quelle contro il Cav.

04 Marzo 2011

Le domande che Sandro Ruotolo non ha fatto a Fini ad Annozero le ha fatte Bruno Vespa a Porta a Porta. Domande ‘scomode’ sulla casa di Montecarlo, la terzietà del suo ruolo istituzionale, la diaspora di senatori e deputati da Fli, il livello di coerenza rispetto ai sedici anni passati a condividere le scelte del Cav. e la virata che da un anno lo ha portato a fondare un partito mettendosi all’opposizione di quello che ha contribuito a fondare. Fini rinnega Berlusconi e con lui l’operato del governo nel quale solo fino a quattro mesi fa c’erano i suoi uomini.

E’ il Fini politico quello che a Porta a Porta viene fuori e prevale sul Fini presidente della Camera. E’ il leader – quello vero nonostante l’incarico assegnato a Bocchino e la staffetta con lui nel talk di Rai Uno – dei futuristi quello che sulla poltrona bianca mostra i muscoli e si stizzisce più volte quando Vespa gli mette in fila quesiti ‘scomodi’ che cerca di rispedire all’interlocutore cucendogli addosso, o provando a farlo, l’abito di quello che sa tutto di e da Berlusconi, del giornalista più berlusconiano che di area centrodestra il quale ‘offende’ la sua intelligenza solo per avergli chiesto se alle amministrative c’è l’ipotesi di eventuali alleanze col centrosinistra. E’ un Fini ostico, combattivo, duro e con toni a tratti sopra le righe, che sale in cattedra e si mette la medaglia sul petto evidenziando in più passaggi che ‘lui l’aveva detto, l’aveva previsto’. Come nel caso di Gheddafi al quale – ricorda – Berlusconi ha baciato la mano mentre lui è stato l’unico tra gli esponenti politici che gli ha chiuso le porte di Montecitorio in faccia dopo il ritardo di un’ora.  

Insomma, un Fini in versione grillo-parlante che quel Pinocchio di Berlusconi non ha mai voluto ascoltare. L’unica autocritica che si concede, ma sempre in chiave anti-Cav. è quella di avergli “consegnato la destra”. Per il resto, la sua è una requisitoria all’indirizzo di un premier che ha bisogno ogni volta di scegliersi un nemico cui dare addosso, che è “bravissimo” a individuare il campo nel quale muoversi attaccando, un premier ossessionato dalla tesi del “complotto” un giorno “sono i comunisti, un giorno i giudici, domani saranno gli alieni”; un premier che “non ha il polso dell’Italia vera”, che vuole solo yes-man e non ammette il dissenso. Passaggio quest’ultimo che a ben guardare appare una contraddizione se a ribadirlo è chi come lui che è capo di Fli ma pure presidente della Camera, ha definito i parlamentari che gli hanno detto addio “vittime di allucinazioni” o persone “in malafede” per non aver condiviso la linea politica che lui stesso ha affidato al gruppo dei pasdaran.

E i battibecchi con Vespa confermano, se mai ce ne fosse bisogno, che l’allergia al dissenso che diagnostica a Berlusconi, in realtà vale anche per lui. Il resto della conversazione si snoda lungo il clichè futurista, come nel caso del capitolo giustizia. Fini attacca a testa bassa il Senatur per colpire il premier quando dice che “è lui il vero presidente del Consiglio”, o quando demolisce il federalismo municipale sostenendo che produrrà un aumento delle imposte locali. L’unica cosa che considera “saggia” è lo slittamento di quattro mesi per quello regionale. Difende la terzietà del ruolo istituzionale e per questo non si dimetterà.

Quanto al conflitto di attribuzione sollecitato dai capigruppo della maggioranza dosa le parole, mostrando cautela. Annuncia che nell’Ufficio di presidenza lui non voterà (come da prassi) e di essere “fermamente determinato a far rispettare il regolamento e valutare, anche in ragione del fatto che non ci sono dei precedenti, quella che sarà l’opinione espressa dalla Giunta per il Regolamento”. E’ questo il primo step, poi ci sarà il passaggio nell’Ufficio di presidenza che in passato su casi del genere anche se non direttamente confrontabili, alcune volte ha votato, altre no. Sarà poi Bocchino, nel dibattito che segue l’intervista con Fini a spiegare la linea di Fli: è sufficiente il voto dell’Ufficio di presidenza e non c’è alcun bisogno di portare la questione all’attenzione dell’Aula.

Mossa tattica la sua, dal momento che attualmente nell’organismo parlamentare la maggioranza è in minoranza anche se la prossima settimana gli equilibri saranno ristabiliti con l’ingresso dell’esponente del gruppo dei Responsabili. Posizione diametralmente opposta a quella del centrodestra che invece invoca come corretto e necessario il pronunciamento dell’Assemblea dal momento che il conflitto di attribuzione è stato presentato non per difendere il premier dal processo ma per tutelare le prerogative della Camera.  

Infine si dice convinto che a questo punto l’ipotesi del voto anticipato non è più realistica e se la legislatura andrà avanti fino a scadenza naturale “come Berlusconi dice”, propone l’idea di condividere una riforma partendo da quella istituzionale. Una sfida o forse solo una provocazione perché un istante dopo si dice convinto che siccome una riforma del genere presupporrebbe la revisione della legge elettorale, il premier “dirà di no”.  

Bocchino gli dà man forte quando ripete come un mantra che i futuristi vogliono costruire “ciò che il Pdl non è stato” restando nel centrodestra. E lungo il solco del capo definisce “fazioso” il servizio di Barbara Romano sulla diaspora dei parlamentari fiellini, al punto che “neppure Bonaiuti” sarebbe arrivato a tanto (ennesimo battibecco con Vespa). Il motivo? Aver nascosto le ragioni vere degli addii a Fini che Bocchino minimizza e declassa a semplici personalismi, come nel caso di Pasquale Viespoli fino a una settimana fa capogruppo dei senatori futuristi che – sferza il luogotenente di Fini – se n’è andato “per invidia personale”. Accuse e toni che non hanno bisogno di tanti commenti a proposito di chi non ammette il dissenso.

C’è infine il colpo ad effetto tecnologicamente avanzato: lanciando di fatto la campagna anti-Cav., Bocchino sfodera il suo IPad sul quale scorre gli slogan fiellini coniati per l’occasione. Uno su tutti lo spiega con particolare enfasi mostrando la foto di Berlusconi che bacia la mano di Gheddafi e la scritta “Noi non lo abbiamo fatto”.

Toni da campagna elettorale, insomma. Fallito il tentativo di ribaltone e sfumata la possibilità del voto anticipato (almeno da qui a un anno), i futuristi si concentrano sulle amministrative. Fini sa bene che tra due mesi sarà quello il primo vero banco di prova che lo attende e sarà altrettanto interessante vedere – al di là degli annunci –  con quali candidati e quali apparentamenti, specie nei ballottaggi. Sarà quella la cartina di Tornasole per capire se la tentazione della ‘santa alleanza’ (copyright D’Alema) fallita a livello nazionale verrà sperimentata a Milano, Torino e Napoli. Bocchino giura davanti alle telecamere che mai ci sarà il simbolo di Fli insieme a quello di Bersani o Vendola e che le opzioni sono solo tre: candidato futurista, sostegno al candidato Pdl, candidato del terzo polo.

Poi chiosa con la quarta ipotesi: al secondo turno non esclude convergenze su candidati civici pure se mai con la sinistra. Quanto basta per lasciarsi aperta una via di fuga che non dissolve del tutto la nebbia sui tatticismi fiellini. Una via di fuga, rigorosamente futurista e opportunisticamente terzo polista. Vedi le alleanze a geometrie variabili di Casini alle ultime regionali.