Fini non vuole lo stato etico solo perché a decidere cos’è etico non è lui
30 Marzo 2009
In cauda venenum. Lo sapeva già prima di incominciare Gianfranco Fini che con quella stoccata finale lanciata al Congresso del Pdl avrebbe molto più che smosso le acque sui temi etici. Di fronte ad un centrodestra al gran completo il presidente della Camera ha lanciato la sua provocazione: “Siamo proprio sicuri amici del Pdl, che il ddl sul testamento biologico sia davvero ispirato alla laicità? Perché una legge che impone un precetto è più da Stato etico che da Stato laico. So che questo è un tema che fa discutere, so che sono stato e mi capiterà ancora di essere in minoranza. Ma dobbiamo abituarci a questo”.
Nella coda di un discorso pronunciato di fronte ai suoi, quello di Fini è apparso come un attacco preventivo, diretto quanto efficace, al ddl sul testamento biologico licenziato dal Senato che adesso si appresta proprio ad approdare alla Camera. Come un voler mettere le mani avanti sul ruolo che il presidente intende assumere nel corso di tutto l’iter legislativo. E mentre a sinistra c’è chi parla, o richiede, una dilazione a settembre della approvazione della legge, per avere tutto il tempo per ponderarne i contenuti, è innegabile che rispetto alla sera in cui il Consiglio dei Ministri votò all’unanimità il decreto “salva-Eluana” all’interno del Pdl qualcosa è cambiato.
Le parole, pronunciate in quel modo e in quel momento, da Gianfranco Fini hanno fatto emergere tutti i distinguo che all’interno del partito unico del centrodestra si possono avere sulle questioni biopolitiche. È proprio su questi temi, infatti, che escono fuori anche le contraddizione di un partito come il Pdl fatto di tante anime: l’anima laica, quella più liberale, quella cattolica, l’anima conservatrice. Ma non è forse su questi temi che si gioca il dibattito democratico più autentico? E non è forse il parlamento il luogo deputato a trovare la sintesi ultima di quelle contraddizioni?
Gianfranco Fini dovrebbe saperlo più di ogni altro e dovrebbe aver più di ogni altro annotato che il Senato ha approvato una legge con circa cinquanta votazioni segrete nelle quali il centrodestra ha preso più voti di quanti erano i suoi senatori in aula. Testo finale incluso. Dovrebbe aver colto il senso del dibattito parlamentare su alcuni punti della legge, annotando anche l’apertura e la disponibilità a trovare un compromesso più ampio possibile mostrato da parte della maggioranza. E dovrebbe aver intuito che quel testo è perfettibile nella sostanza in molte delle sue parti.
Ma Fini ha alzato lo stesso il tiro. Lo ha fatto, legittimamente, dando voce alle perplessità di tutti coloro che avrebbero voluto archiviare le questioni del fine vita nella dimensione privata e cioè nell’ambito dell’autodeterminazione del singolo individuo, ritenendo che la legge sul testamento biologico uscita dall’Aula di Palazzo Madama lasci ben poco spazio alla libertà di scelta sul come morire. Ma lo ha fatto, a nostro avviso meno legittimamente, operando un distinguo tra stato etico e stato laico. Sostenendo, cioè, che con quella legge lo Stato si è posto quale arbitro assoluto del bene e del male, si è fatto cioè stato etico poiché ha imposto un precetto come legge.
Ma se uno stato fa propri dei principi etici (più o meno religiosi essi siano) non vuol dire che non sia uno stato laico. In realtà, moltissime leggi (si pensi a quelle del welfare, per esempio) obbediscono – e non potrebbe essere diversamente – a criteri di natura schiettamente etica, ed a nessuno viene in mente di tirare in ballo per questo lo stato etico o – come ha lasciato intendere Fini, anche facendosi strumento di un certo pregiudizio anticlericale – addirittura lo stato confessionale. Il problema allora sembra circoscriversi ad un altro aspetto: vedere quand’è che il contenuto etico di una legge ci pare approvabile e quando no. E non basta dire che non è approvabile il contenuto etico, quando la legge riguarda la sfera privata. Il divieto della poligamia riguarda senz’altro la sfera privata, ha alla propria base senz’altro alcuni valori etici ma a nessuno viene in mente di accusare stati come la Francia o l’Olanda perché incarnano modelli di stato etico. I termini in cui dunque si prospetta il problema diviene un altro: a chi spetta di decidere quale etica adottare a proposito di certe leggi oppure di non applicarne nessuna e di lasciare i cittadini liberi di decidere per conto loro. E sembra difficile negare che questo potere debba spettare al parlamento, cioè alla maggioranza, sempre che naturalmente la sua decisione non violi una disposizione costituzionale, fatto che in questo caso appare per la verità assai dubbio, nonostante gli allarmi della sinistra.
Chi si è occupato della questione del testamento biologico per tutto questo tempo sa che quella legge ha posto dei punti fermi sulle questioni di principio, lasciando spazio alla trattativa su molte altre questioni. Sa che quella legge dice no all’eutanasia di stato, proprio perché lo stato non è etico (per come lo intende Fini), e quindi non può decidere come far morire le persone. Sa che allo stesso tempo dice no alla sospensione di idratazione e alimentazione, proprio perché non si arroga il diritto di dire che la vita delle persone fortemente disabili, come era Eluana Englaro, non era degna di essere vissuta. Questo non vuol dire accettare tutto di quella legge, né pensare che alcune sue parti non debbano essere cambiate. Vuol dire solo non negoziare sui principi di fondo, quelli su cui è il parlamento che si è espresso e deve esprimersi e in nome del popolo italiano.