Fini porta Fli all’opposizione ma le colombe sono pronte a volare dal Cav.
13 Dicembre 2010
Il 14 alle 14. Trecentosedici voti. Fiducia o elezioni, Silvio Berlusconi. Sfiducia e nuovo governo di centrodestra, Gianfranco Fini. Colombe futuriste addio, ma il filo spezzato davanti alle telecamere dell’Annunziata potrebbe rivelarsi un boomerang per il presidente della Camera che in tono sprezzante arriva perfino a mettere in gioco la sua poltrona sull’esito del voto che si saprà, appunto, il 14 alle 14.
Se il premier “avrà dieci voti in più accetto la scommessa di dimettermi e inizierò a credere a Babbo Natale”. Il premier rilancia, convinto di ottenere i voti necessari a Montecitorio sulla base di un discorso “alto”, spiega alla cena coi senatori, un discorso la cui chiave è la ‘responsabilità’, soprattutto nella fase delicata dell’economia che impone un contributo da parte di tutte le forze che hanno a cuore gli interessi del Paese. Non scenderà in polemiche perché “se dovessi farlo dovrei dire cose pepate”, aggiunge davanti al presidente del Senato Schifani, ai capigruppo di Palazzo Madama e Montecitorio Gasparri, Quagliariello e Cicchitto.
Il Cav. ostenta sicurezza e a metà cena riceve la visita di Denis Verdini che porta “buone notizie” sulla conta che a questo punto, archiviati definitivamente mediazioni e trattative, diventa lo spartiacque dei destini del governo e della legislatura. Il pallottoliere della trentaseiore tra Senato e Camera pende dalla parte della maggioranza se è vero come è vero che ai tre deputati incerti ma comunque orientati a non sfiduciare il governo – Razzi, Scilipoti e Calearo, potrebbero aggiungersi anche cinque o sei finiani capitanati da Moffa (oltre ad assenze strategiche e trasversali che non vengono escluse).
Proprio il presidente della commissione Lavoro non ha gradito la prova muscolare del capo di Fli in tv, non solo per le parole di fiele nei confronti del Cav. ma pure per come ha bollato la lettera delle sei colombe finiane e delle dieci pidielline definita un ‘atto di leggerezza’ seppure in buona fede che arriva tardi e non serve più a nulla. Moffa si dice amareggiato e all’amarezza aggiunge la presa d’atto “dell’assoluta ineluttabilità” della decisione di “votare la sfiducia al governo e di passare all’opposizione a prescindere dall’esito del voto di martedì. Decisione che, per quanto mi riguarda, rende praticamente superflua la riunione dei gruppi parlamentari di Fli fissata per domani sera, vanificando di fatto ogni serio confronto con quanti hanno aderito a Futuro e Libertà senza rinunciare alla propria libertà” di pensiero e di coscienza.
E’ in questo passaggio che nelle file pidielline si intravede la possibilità che la colomba finiana insieme ad altri cinque o sei deputati contrari alla sfiducia nonostante il dicktat del capo, possano optare per un voto a favore dell’esecutivo o in alternativa all’astensione (formula che comunque giocherebbe a vantaggio della maggioranza). Parole nette quelle di Moffa che mandano in soffitta l’accusa che Fini rivolse a Berlusconi durante la direzione nazionale del ‘che fai mi cacci’ a proposito del Pdl-partito caserma. Detto da un futurista, non potrebbe essere più chiaro. E Augello rincara la dose: “La superficialità, direi persino la rozzezza con cui Fini ha reciso l’ultimo sottile filo che poteva legare a una comune prospettiva il centrodestra testimonia quel che temevo: per il Presidente della Camera oggi conta solo il valore simbolico dell’imposizione a Berlusconi di un atto di dimissioni. A questo punto non rimane che contarsi e capisco l’amarezza di quanti nel Fli si sono generosamente esposti in questo tentativo e si sono visti liquidati senza l’ombra di un dibattito”. Dopo mesi di appelli alla ragionevolezza, chiosa il sottosegretario ex finiano, “penso che sia abbastanza chiaro a tutti che il vero ed unico progetto di Fli sia la distruzione politica di Silvio Berlusconi. Davvero poca cosa per costituire una credibile alternativa per il futuro del nostro Paese”. Punto e accapo.
Dall’Annunziata Fini non si cura del ruolo istituzionale a cui tiene tanto e si spinge oltre, annunciando che sia in caso di sfiducia che di fiducia al Cav., Fli dal 15 dicembre sarà un partito di opposizione pur sempre nell’alveo del centrodestra. Che tradotto dal politichese vuol dire che i finiani d’ora in poi sommeranno i loro voti a quelli della sinistra. Se così sarà dov’è finita la lealtà al mandato ricevuto dagli elettori? E’ come se ieri Fini in diretta tv avesse già compiuto un ribaltone, quello appunto della sovranità popolare. E’ un passaggio sul quale Berlusconi torna nella cena coi senatori sottolineando che Fini e Casini”stanno portando i loro parlamentari verso l’area dell’opposizione e il voto di sfiducia che si apprestano a dare insieme a Bersani e Di Pietro è la prima dimostrazione pratica”. Il punto è che i leader di Udc e Fli sono solo “un fenomeno mediatico”.
E che con Fini la liason durata quindici anni sia finita per sempre lo si capisce anche dai dettagli: dalla battuta che il Cav. scandisce quando Gasparri gli dice che il regalo di Natale del gruppo Pdl a tutti i senatori è una cravatta con ricamata la data del centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia, pensato anche per “sostituire quelle orrende che usa il senatore Casoli…” (ieri sera indossava una cravatta con vistosissimi disegni neorealisti), risponde così: “Non possiamo permettere che un senatore abbia cravatte più brutte di quelle di Fini”. Applausi, fine della storia.
Il presidente dei senatori ci torna su e senza mai citarlo riserva stoccate al presidente della Camera prevedendo che “il nostro Natale sarà migliore di quello di altri” o nel passaggio in cui ricorda l’impegno in prima persona del premier per la corsa di Renata Polverini alla Pisana, contrapponendolo al “no, non posso perché il mio ruolo non me lo consente” pronunciato da Fini prima della campagna elettorale per le regionali. Gaetano Quagliariello evidenzia la differenza sostanziale tra Schifani e Fini nell’interpretare il rispetto dei ruoli superpartes nelle rispettive Aule, puntando l’indice sull’evoluzione di una crisi “giocata molto a tavolino, a dispetto del ruolo istituzionale e dimenticandosi del Senato, convinti che tutto potesse dipendere dalla Camera”. Invece no: il vicepresidente dei senatori rivendica con orgoglio la mozione di fiducia presentata dal Pdl proprio a Palazzo Madama come chiave di volta che ha finito per spiazzare chi stava già lavorando a tessere ribaltoni, manovre di Palazzo. Poi l’affondo: “Noi siamo qui a difendere non solo il presidente Berlusconi ma anche una storia politica nata nel ’94 sulla quale alcuni stanno sputando senza accorgersi che stanno sputando su loro stessi”.
In queste ore si affinano tattiche e strategie. L’obiettivo del Cav. è giocare d’anticipo, con un occhio all’Udc. Come? Creando le condizioni affinché i centristi non possano far mancare, dopo l’appuntamento della fiducia, l’appoggio al governo. Il primo passo, determinante, sarà proprio il discorso alle Camere incentrato sull’appello alla responsabilità nazionale, lo stesso tasto che batte da settimane Casini pur da posizioni contrapposte, vedi le dimissioni del premier come conditio sine qua non. L’idea del Cav. è dar luogo non ad un semplice allargamento del governo ma a un’apertura su politiche sociali ed economiche che mettano la famiglia al centro del programma. E in questo quadro, potrebbe rilanciare l’idea del quoziente familiare. Nessuna trattativa sotto banco, tutto avverrà, alla luce del sole, assicurano ai piani alti di via dell’Umiltà dove si ipotizza che il Cav. potrebbe riempire le caselle vuote del governo con personalità ‘tecniche’ di rilievo in qualche modo vicine al mondo cattolico, all’area centrista. L’appello ai moderati vale anche per i cattolici del Pd ormai sempre più stretti nella morsa bersanian-vendoliana.
Alla cena dei senatori il clima è quello della grande attesa, ma non c’è tensione: chi prova a sbilanciarsi lo fa per dire che il governo avrà la fiducia anche alla Camera e Fini perderà pezzi per strada un minuto dopo il sì incassato dal Cav. Un dato è certo: se il premier riuscirà nell’impresa, per il presidente della Camera sarà una debàcle politica clamorosa. I commenti si appuntano sull’intervento del capo di Fli in tv e c’è perfino chi, come il senatore Benedetti Valentini ci ironizza sù vestendo i panni (nel vero senso della parola) di Dante e declamando alcuni passaggi della Divina Commedia rivisti e corretti per l’occasione, con Fini e Casini tra i dannati dell’inferno. Il Cav. apprezza e restituisce la cortesia declamando un sonetto del Sommo Poeta tratto dal Paradiso, incentrato sull’amore che “vince sempre sull’odio. Come è e sarà, sempre”. Ogni riferimento alla due-giorni della resa dei conti è puramente voluto.
L’ultima sfida comincia stamani, quando il premier pronuncerà il suo discorso alla Camera alta, cui seguirà il dibattito parlamentare fino alle 14, poi il bis a Montecitorio. Il 14 voto in contemporanea nei due rami del Parlamento. Risultato, alle 14. Cabala a parte, è il momento della verità. Fine dei giochi, tutto in trentasei ore.