Fini prova a dare la linea ai futuristi ma i falchi impallinano le colombe

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Fini prova a dare la linea ai futuristi ma i falchi impallinano le colombe

07 Marzo 2011

C’è voluta la batosta delle sfiducie ad personam presentate e perse in parlamento, c’è voluta la diaspora di undici parlamentari e i dubbi di eletti ed elettori a far correggere la rotta anti-Cav. ed evitare la deriva a sinistra. E quando ha parlato ai Circoli di Fli, Gianfrando Fini ha definitivamente archiviato la pratica ‘falchi contro colombe’. O almeno così sperava. Invece no, perché se alcune colombe sono volate verso altri lidi quelle che sono rimaste – Urso in testa – non sembrano disposte a digerire le strambate e i toni tranchant di Granata&C. E così, la pratica si è riaperta, nonostante i tentativi di mediazione del capo.

Il ben servito di Fini ai parlamentari usciti dal neonato partito bollati come ‘quaquaraquà’ non è andata giù a Urso e Menia, ma a provocare l’ennesimo muro contro muro è stata l’uscita del pasdaran Granata convinto che i ‘quaquaraqua’ ci siano anche tra chi non ha abbandonato la nave futurista. Apriti cielo.  Il luogotenente duro e puro di Fini si lamenta dei colleghi che pur restando nel partito sollecitano un “richiamo quotidiano alla nostra perimetrazione nel centrodestra”. Come se non fosse stata questa una delle ragioni della diaspora futurista. E il fatto che Granata continui a insistere su ipotesi di confini larghi, spazi aperti e ariosi che magari sconfinino in sante alleanze anti-.Cav come quando poco tempo fa disse che pur di battere Berlusconi andava bene un’alleanza da Vendola a Fini, è questione che riapre il sospetto di una deriva a sinistra, nonostante il chiarimento del capo.

Nel duello a distanza con Urso e i moderati, Granata punta l’indice sulla “riproduzione osssessiva di uno slogan ‘il vero centrodestra’, diventato una sorta di ‘coperta di Linus’ per i futuristi in crisi di identità…”. Posizione che contrasta dicendosi stanco e per certi aspetti nauseato dalla serie di perimetri e ‘steccati’ costruiti attorno a Fini per limitarne lo straordinario potenziale di rappresentanza della nuova Italia e di una politica nuova”. Come se rivendicare identità, provenienze, e soprattutto una direzione chiara nel campo del centrodestra da qui in poi, fosse un atto di lesa maestà.

Granata va giù duro con l’affondo ai malpancisti che in nome di quel partito aperto e plurale dove le decisioni si prendono dal basso perché noi non siamo un partito-caserma come il Pdl, si sono visti calare dall’alto (cioè imposti da Fini) le nomine ai vertici di Fli, da Bocchino vicepresidente a Della Vedova capogruppo a Montecitorio. Del resto lo stesso vicepresidente della commissione antimafia così come Bocchino avevano liquidato in quattro e quattr’otto la questione dell’uscita di parlamentari dal partito pochi giorni dopo l’assemblea costituente di Milano, dicendo in sostanza che non è un problema se qualcuno se ne va.

Granata ci torna sopra quando bolla l’insofferenza delle colombe come “strascichi di quella piccola ambizione personale frustrata” che oggi rischiano di innestare una dimanica nella quale “dopo la zavorra rappresentata da alcuni personaggi poi regolarmente approdati alle aree di responsabilità e coesione nazionale, dovremmo adesso sorbirci quella di un diuturno richiamo alla perimetrazione rigida e inesorabile nel centrodestra. In questa logica ci si rifugia nell’ipocrita formula del postberlusconismo,come se la ‘ragione sociale’ della nascita del nostro progetto non fosse intimamente collegata alla deriva incarnata dal Premier e dai suoi uomini”.

Parole che confermano due cose. La prima: il tasso di democraticità dentro Fli. La seconda: la spinta ideologica dell’antiberlusconismo , che invece, lo stesso Fini domenica ha cercato di archiviare definitivamente.  La stoccata  finale è altrettanto pesante: per Granata "chi oggi, dall’interno di Fli, mentre si costituisce in corrente, mette in dubbio ipocritamente l’opportunità di quelle scelte", non fa altro che dare “implicitamente ragione ai quaquaraquà di cui parlava Fini”. Urso non replica direttamente al collega di partito, ma dice cosa pensa ai microfoni di Un giorno da Pecora. Rivendica la linea moderata che Fini ha assunto nella kermesse di domenica come vittoria delle colombe dopo “scelte pagate a caro prezzo”,e tra queste l’errore di assumere una posizione oltranzista calibrata sulla distruzione piuttosto che sulla costruzione.  

E il prezzo pagato sono quattro senatori e quattro deputati che hanno fatto le valigie, un gruppo parlamentare al Senato che si è dissolto in poche settimane. Questioni che non possono essere certo minimizzate o catalogate alla voce ‘personalismi’. Perché, è il ragionamento dell’ex viceministro allo Sviluppo economico chi si è dimesso da Fli, come Pasquale Viespoli (ex capogruppo al Senato)  lo ha fatto per un impegno politico, una scelta ideale e comunque non può essere definito un “quaquaraquà”.

Stile, dunque ma anche contenuti e dubbi. Come quelli sul feeling col Pd. Urso lo sottolinea rimarcando che Fli non può ridursi ad essere come l’Isola dei famosi dove “si sta lì per apparire e si gioisce quando uno se ne va” e l’ex sottosegretario all’Ambiente Roberto Menia lo sottoscrive quando rispedisce a Bersani l’offerta (rilanciata pure ieri dalle colonne della Repubblica) di un patto col terzo polo già per le amministrative e nella prospettiva dei ballottaggi. Esattamente come ha fatto Fini che, semmai, i recinti di Fli, una volta tanto, li ha tratteggiati e non comprendono l’area democrat.

“E’ evidente che un patto tra Terzo polo e centrosinistra non si farà né oggi nè mai. La nostra prospettiva quindi è costruire un centrodestra alternativo al centrosinistra, ed è ovvio che non ci stanno terzi poli in questa prospettiva”. In pratica, tutto il contrario del Granata-pensiero. Anche Della Vedova, depositario della linea politica futurista sbarra la strada a Bersani rilanciando l’impegno a consolidare “l’alternativa di centrodestra, alla destra di Bossi e Berlusconi”, soprattutto adesso che il voto anticipato sembra ormai un’opzione tramontata.

Posizione netta, ma che non chiarisce dissipa le nubi sul contenzioso aperto tra due visioni diverse e per certi aspetti antitetiche su presente e futuro di un paritto appena nato e già lacerato al proprio interno da contrapposizioni frontali: prima su chi fa cosa, poi su da che parte andare. Il cambio di rotta di Fini forse non basterà a evitare il rischio di una navigazione a vista. Con le amministrative alle porte il presidente della Camera sa bene che d’ora in poi non può più permettersi passi falsi, tantomeno rischiare che l’eterno duello tra falchi e colombe provochi ulteriori danni. In gioco c’è la sua faccia, il suo futuro politico, il progetto che ha scelto e l’alleanza con Casini e Rutelli che non può certo pregiudicare. Questione di ‘Fliling’, sintetizzando.