Fini rompe il silenzio, sceglie il pulpito di Rep. ma va al rimorchio di Casini

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Fini rompe il silenzio, sceglie il pulpito di Rep. ma va al rimorchio di Casini

13 Gennaio 2011

Gianfranco Fini rompe gli indugi e il silenzio. Dal giorno della debàcle a Montecitorio sulla mozione di sfiducia al Cav. (più o meno un mese fa) aveva optato per un low profile, un po’ per metabolizzare il peso della sconfitta che forse non aveva messo in conto dopo l’anatema di Bastia Umbra e il trasloco dei suoi ministri da Palazzo Chigi, un po’ per riordinare le idee e tornare a parlare con un minimo di credibilità (politica, ovviamente). La tribuna è quella mediatica e lo strumento è la ‘corazzata’ del gruppo De Benedetti con la quale il feeling va avanti ormai da mesi. Offre a tutte le forze politiche “un patto di salvezza nazionale”, lo schema sembra essere quello della Grosse Koalition, ma  il primo a rispedirlo al mittente è proprio il Cav. da Berlino.

“Abbronzato, seduto nel suo studio di Montecitorio” lo descrive Claudio Tito nella lunga conversazione, il capo di Fli ‘zoomma’ sull’Italia, il governo, il futuro dispensando la sua lezione di politica e la sua ricetta per uscire dalle sabbie mobili. Lui che ha appena lasciato quelle morbide e bianchissime degli atolli di Laccadive, in India.

Il quadro complessivo che descrive farebbe spavento perfino al più ostinato degli ottimisti, per lui è “sano realismo”. Eppure a ben guardare, Fini dice alcune cose, pure condivisibili, evitando però di dirne altre. Il tono è pacato, i concetti misurati e propositivi; il tutto accompagnato dalla promessa (o premessa) è che d’ora in poi non userà “una sola espressione polemica nei confronti del premier”. Ma sul piano politico, il ragionamento segue rigorosamente il copione scritto da Casini nell’intervista al Corriere della Sera. E il fatto che Fini esca su Repubblica il giorno dopo il leader dei centristi non è certo casuale.

Il presidente della Camera lo chiama “patto di salvezza nazionale” (per Casini è un “patto di pacificazione”) e lo offre a tutti: a Berlusconi, al governo, al Pdl e alle opposizioni, Pd in testa.  L’obiettivo è “tirare fuori dalle secche un Paese "fermo e sfiduciato" che ha “l’incubo dell’abisso”, guidato da un governo “paralizzato”.  Se le sollecitazioni che argomenta sul versante economico hanno il senso di una proposta costruttiva (finora non è stato certo così tra i futuristi) , Fini dimentica di ragionare sul fatto che per parte sua e dei suoi fedelissimi ha contribuito a rallentare l’efficacia dell’azione di governo aprendo proprio negli ultimi sei mesi una “guerra” prima sotterranea, poi mediatica quindi parlamentare contro il premier, costringendo la maggioranza ad estenuanti tentativi di mediazione, poi puntualmente falliti. Fino allo strappo decisivo di Bastia Umbra e della mozione di sfiducia.

Probabilmente se lo stesso profilo moderato e costruttivo lo avesse usato prima, molte delle idee di cui rivendica il copyright oggi potrebbero essere già atti o provvedimenti trasformati in legge. Il capo di Fli dice poi che “vivacchiare con tre voti è negativo per tutti”. Sacrosanta affermazione, ma anche qui omette di prendere atto del fatto che il voto del 2008 ha consegnato nelle mani del Cav. e nelle sue una forza numerica mai vista nella storia della Repubblica per avviare una vera stagione riformatrice nell’interesse del Paese, in nome del quale due anni dopo, Fini si ritrova a invocare la collaborazione di maggioranza e opposizione. E gli effetti della crisi internazionale c’erano anche nel 2008.

Altro tema che Fini affronta è quello del voto anticipato che, come ha già detto Casini, sarebbe deleterio per gli italiani. La definisce “una prospettiva rischiosissima per l’Italia. In campagna elettorale non si fanno le riforme”. Poi tenta abilmente di scaricare le responsabilità di un’eventuale ricorso alle urne alla maggioranza che se “riterrà di non poter governare spiegherà il perché agli italiani assumendosene le responsabilità”. Come se lo strappo dei gruppi parlamentari autonomi e la nascita di un partito alternativo al Pdl che in Parlamento siede all’opposizione non fosse stata opera sua. L’unico ‘mea culpa’ riguarda la presa d’atto della sconfitta politica subita con la mozione di sfiducia. Fini lo ammette un mese dopo aver ribadito anche per bocca dei suoi fedelissimi che in realtà era solo una sconfitta numerica. Tant’è.

Il presidente della Camera rilancia il progetto del terzo polo e non solo in chiave elettorale, ma nelle file del Pdl il passaggio viene letto come un atto dettato più dalla necessità contingente di fronte all’ipotesi del voto che dalla convinzione maturata sui contenuti politici da condividere con Casini e Rutelli. E in effetti, alla domanda sul nodo dei temi etici, Fini glissa appellandosi al principio della libertà di coscienza. Una comoda scappatoia. L’unica cosa chiara che traspare dall’intervista a Rep. è l’archiviazione definitiva del governo tecnico, progetto al quale Fini ha lavorato per lungo tempo insieme a Casini e D’Alema&Co.

Infine il passaggio sulla leadership terzopolista: il capo di Fli ostenbta sicurezza sostenendo che il timone nelle mani di Casini è solo un’idea degli ex colleghi della maggioranza che pensano così di "farci litigare". Ma la realtà è ben chiara: da un mese a questa parte Casini muove il pallino dell’iniziativa politica che, paradossalmente, il presidente della Camera gli ha consegnato inseguendo le sirene dei futiristi oltranzisti. Ora, è il leader Udc a dettare il passo, la linea e l’agenda politica e Fini non può che stargli a ruota.

Lo testimoniano anche le parole che il Cav. usa per commentare l’intervista di Casini definita "impeccabile, bella, chiara, limpida e precisa" alle quali – indirettamente – contrappone il no alla proposta del leader futurista quando dice che in Italia a differenza della Germania  "non possiamo contare su un’opposizione socialdemocratica. L’opposizione non ha idee nè leader". Senza contare poi, che tra Fini e Casini pesa ancora il "veto" che tenne fuori dal progetto del Pdl il leader centrista ai tempi della svolta del predellino. Certo, in politica tuitto può cambiare, ma è altrettanto vero che chi non ha memoria, non ha futuro.