Fini spegne la fiamma ma scalda il cuore della destra

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Fini spegne la fiamma ma scalda il cuore della destra

12 Maggio 2008

Sono circa le 10.20 quando Gianfranco Fini prende la parola.
Terminerà quasi una quarantina di minuti dopo, senza però più essere il
presidente di An. Accanto a lui in questa calda domenica di maggio ci sono
quasi tutti i “ragazzi del Secolo”. Più di uno ormai ha qualche capello grigio.
Qualche altro, come Francesco Storace, ha deciso di prendere strade diverse o,
è il caso dell’attuale direttore del Tg2 Mauro Mazza, ha abbandonato la
politica. Ma il gruppo storico è lì che abbraccia il leader e lo conforta in
uno degli ultimi riti della destra, di un partito che come lo stesso Fini
spiegherà durante il suo intervento “non è più figlio di un Dio minore”. Che
adesso può anche vantare di avere il presidente della Camera, la terza carica
dello Stato.

Si conclude così la parabola politica di Fini alla guida del
partito di via della Scrofa. Una guida durata quasi ininterrottamente per
diciotto anni e che dall’Msi lo ha portato ad An. Dal ruolo oscuro di
segretario di un partito semiclandestino a quello istituzionale di presidente
della Camera. Così Fini, camicia sbottonata e senza cravatta per una scelta
casual, si presenta alla sua Assemblea per l’ultima volta come presidente.
Nell’ordine del giorno ci sono appunto le sue dimissioni e la scelta come
reggente di Ignazio La Russa, traghettatore dell’ultimo miglio. La prossima
tappa sarà la costruzione del Pdl. Stavolta a fare da cornice non c’è l’Ergife,
lo storico hotel che ha accompagnato quasi tutti i passi di An. La scelta è
ricaduta sul Summit Hotel, albergo che già Maurizio Gasparri pone nel Pantheon
dei portafortuna della destra: “Qui abbiamo fatto l’ultimo comizio prima del
ballottaggio vittorioso di Gianni Alemanno”.

Il clima è tra il malinconico,
come spiega Franco Servello presidente dell’Assemblea, e l’emozionato per
quella che potrebbe essere una delle ultime riunioni di An. Proprio Fini
infatti mentre parla indica “la possibilità di un congresso a fine anno o al
più tardi all’inizio del 2009 per far nascere il nuovo soggetto politico del
Popolo della Libertà”. Un processo di formazione del nuovo partito che per il
presidente della Camera significherà “scrivere insieme a Forza Italia statuto e
regole, e luoghi delle decisioni politiche della classe dirigente”. Il tutto
per impedire che il Pdl sia “una fusione a freddo” e consigliando di “non fare
come il Pd” dove alla fine c’è stata soltanto “una fusione fra classi dirigenti
più posticcia che reale”.

Fini traccia l’orizzonte futuro per An che non può
non essere quello del Popolo della Libertà. Una nuova esperienza nella quale
però il leader di An non dimentica di “dare atto a Berlusconi e Bossi di avere avuto lungimiranza politica e capacità
di comprendere che era il momento di dare un’alternativa ad un’Italia che
voleva liberarsi non solo dai fallimenti del governo Prodi ma dall’inguaribile complesso di superiorità della
sinistra sulla società italiana, che invece aveva bisogno di cose diverse”. Ma
affianco al giusto riconoscimento politico c’è pure lo spazio per chiarire che
“la nostra gente ha capito la grande sfida politica del Pdl molto prima di
qualche dirigente”. Un riferimento polemico dell’ex presidente di An o come lui
stesso ha detto “l’unico sassolino che mi tolgo dalle scarpe” verso chi “ne ha
compreso l’importanza solo dopo aver avuto la sicurezza di essere incluso nelle
liste o di avere avuto posto al governo”. nel quadro dipinto da Fini vi è il futuro ma anche il passato perché lui dal palco non
dimentica che già nel ‘94 “An era una coalizione di popolo” e che in fin
dei conti “il Pdl è il compimento della strategia di Fiuggi”. Un’analogia che
impone a tutti di lavorare al nuovo soggetto politico “perchè, attraverso la
nascita del Pdl, si compia l’ultimo tratto di strada e si crei un grande punto
di riferimento nel Paese maggioritario e fondato sui nostri valori”.

Ma nel
giorno dei saluti c’è anche il tempo per rivendicare la propria identità, lo
spirito di tante battaglie. Non si tratta solo di ricordare i vari “Pinuccio,
Marcello, Luciano, Marzio, Almerigo e Nicola”, nomi ormai entrati nel sacrario
di An, ma di constatare “la chiusura del dopoguerra, la fine della frattura
della destra con la società, il superamento della condizione di minorità”. Parole
che diventano un ringraziamento verso il Capo dello Stato che con il suo
discorso qualche giorno fa in occasione del trentennale della strage di via
Fani ha dato “dignità a tutte le vittime del terrorismo, senza alcuna
distinzione rispetto alla loro provenienza da destra o sinistra. E’ un discorso
che merita di essere scolpito negli annali della storia della Repubblica”. QUesto
fatto per Fini “è la dimostrazione di una semplice ed evidente verità: si
onorano i nostri morti, la nostra politica diventa centrale. E’ la
dimostrazione che abbiamo davvero vinto”.

E con una vittoria quindi il leader di An chiude
la sua lunga esperienza da presidente. Il testimone passa adesso a La Russa che
sarà affiancato da un ufficio politico “composto da Alemanno, Ronchi, La Morte,
Matteoli e Gasparri, cioè il gruppo dirigente degli ultimi due anni”. Un
passaggio di consegne che il ministro della Difesa non ha “difficoltà ad
accettare” precisando che non chiamerà il suo ruolo reggente ma piuttosto “primus inter pares perché comunque Fini resta il leader del partito, il
nostro capo”. Lo sguardo adesso però è rivolto al Pdl in cui come dice La Russa
“An vuole parità di diritti e parità di impegno”. Obiettivo che conferma anche
il capogruppo al Senato del Pdl, Maurizio Gasparri per il quale “noi nel Pdl
non siamo un vagone aggiunto, ma saremo locomotiva. Vogliamo essere i generatori
di questo Pdl”. E dinanzi a chi avanza qualche timore l’ex ministro rassicura:
“Non dobbiamo temere la nuova sfida del Pdl, ma vivere in maniera positiva
questa nuova stagione che gli italiani considerano già fatto acquisito”. Il
cantiere per la costruzione del Pdl è ormai avviato.