Fini tenta la tregua in extremis ma per il Cav. è tardi. Oggi la resa dei conti
29 Luglio 2010
Le accuse dei magistrati e quelle dei finiani. Denis Verdini passa al contrattacco: sul fronte giudiziario le rispedisce al mittente senza indugi; su quello politico "censura" in maniera altrettanto decisa Bocchino e bacchetta il presidente della Camera. Fronte quest’ultimo caldissimo sul quale si innesta il redde rationem tra Fini e Berlusconi che potrebbe accadere oggi nel vertice a Palazzo Grazioli al quale il premier ha chiamato lo stato maggiore del partito.
Già ieri sera nella riunione convocata al termine di un’altra giornata carica di tensione nelle file della maggioranza, il Cav. ha fatto il punto coi suoi facendo intendere che di tregua non se ne parla, che la corda ormai si è rotta e che l’unica via, a questo punto, è la separazione. Tutto ciò, nonostante il presidente della Camera nell’intervista a Giuliano Ferrara abbia provato a lanciare segnali distensivi per evitare il peggio.
Il concetto di fondo: proviamo a resettare tutto, abbiamo il dovere di stare insieme e rispettare gli impegni assunti con gli elettori, accompagnato dalla conferrma che lui resta dove è, cioè nel Pdl. Ma quali sono le opzioni in campo? Sostanzialmente due, secondo le indiscrezioni che filtrano dai piani alti di via dell’Umiltà. La prima: un documento politico messo ai voti nel quale si dice che Fini e i suoi hanno passato il segno e che per le posizioni espresse finora non hanno più nulla a che vedere con la linea politica del Pdl e il suo programma.
In altre parole: i "dissenzienti" sono fuori dal partito. Un atto di censura politica messo nero su bianco al quale , successivamente seguirebbe la messa in mora dagli incarichi che i finiani hanno ricoperto finora, nel partito e al governo. La seconda: il deferimento ai probiviri di Bocchino, Granata e Briguglio che aprirebbe l’iter verso l’espulsione, ma c’è chi nella maggioranza non esclude neppure l’espulsione immediata. A questo si aggiungerebbe una valutazione da fare sul ruolo del presidente della Camera e su quella che da molti viene ormai considerata la sua "incompatibilità" rispetto alle posizioni del partito e del premier. Insomma, la tensione è alle stelle e oggi potrebbe tradursi nel d-day, tanto evocato in queste settimane.
E’ l’epilogo di una giornata convulsa con al centro la conferenza stampa del coordinatore nazionale del Pdl indagato nella cosiddetta vicenda P3 e sull’eolico in Sardegna. Anche qui il filo coi finiani si è spezzato e Denis Verdini lo rimarca più volte. Il riferimento diretto è alla richiesta di dimissioni sollecitata dai pretoriani di Fini, con in testa Italo Bocchino dal quale – scandisce Verdini – "non prendo lezioni e non accetto nulla di ciò che da giorni va dicendo. Ricordo che tutto il Pdl si è stretto intorno a lui quando è stato coinvolto in una vicenda giudiziaria e nei suoi confronti c’era perfino una richiesta di arresto".
Toni più pacati ma altrettanto fermi nei confronti del presidente della Camera, ma il senso non cambia. Verdini definisce una "brutta cosa" il fatto che "mentre io sono in procura a parlare coi magistrati, il presidente della Camera più o meno indirettamente faccia intendere che sarebbe meglio che io mi dimettessi dal ruolo che nel partito ricopro. L’ho trovato un gesto sgarbato, dal presidente della Camera, che tra l’altro ho votato, mi sarei aspettato un gesto di tutela nei confronti di un suo deputato. Se i finiani non stanno più bene nel Pdl possono andare…"
Segue un botta e risposta a distanza tra lui e Bocchino, poi la conversazione di Fini con Ferrara sul Foglio per tentare di rimettere in pista l’idea di una tregua con Berlusconi. Per un’ora e mezzo davanti ai cronisti Verdini si difende dalle accuse e dice di trovarsi in una "situazione paradossale". La P3? "Non ho mai fatto parte di associazioni segrete. Di eolico non capisco nulla e con il Giornale di Toscana ci ho solo rimesso soldi miei e della mia famiglia".
E’ questa "l’unica verità", scandisce con piglio decisco perchè "è la verità basata sui fatti così come sono accaduti”scandisce con piglio deciso in un intervento-fiume nel corso del quale smonta le indagini della procura e invoca "equità di giudizio, non due pesi e due misure". Non a caso domanda ai cronisti: "Ma voi sapevate che Carboni ha avuto rapporti d’affari con il gruppo Espresso? Ma se lo fanno loro nessuno dice niente, nel mil caso si grida allo scandalo”.
Torna sulla P3, per dire che no, non ci crede "neanche se mi puntano una pistola alla tempia” – ed è una vicenda ”pericolosissima per la democrazia”. Ma non per quello che ipotizzano i magistrati: piuttosto per ”ciò che il paese ha già visto con la P2” dove ci sono state sì condanne, ma anche tanta ”panna montata”. Come a dire: ”tanta gente è finita dentro le indagini e poi è stata assolta dalle sentenze”. Verdini contesta l’intero impianto dell’inchiesta, dalla sua amicizia con Flavio Carboni – ”sapevo chi era, l’ho conosciuto nel maggio del 2009 ma non ci ho fatto affari. L’ho soltanto messo in contatto con chi poteva far partire un progetto industriale (il governatore sardo Ugo Cappellacci, ndr) che poi ha preferito dare corso ad altri progetti” – al suo presunto intervento per la nomina del giudice Marra a presidente della Corte d’Appello di Milano.
C’è un passaggio in particolare sul quale Verdini si sofferma richiamando il concetto dei "due pesi e due misure": "Tutti stanno zitti pur sapendo che il vicepresidente del Csm ha votato Marra. Lui sostiene di averlo fatto in buona fede, gli crediamo, ma mi sembra troppo che faccia poi anche l’epuratore”. Secondo il coordinatore del Pdl, poi, è chiarissima anche la questione dei 2,6 milioni collegati al Giornale della Toscana del quale Verdini è editore di riferimento.
E’ stata ”un’operazione che prevedeva un aumento di capitale di 2,6 milioni, di cui sono stati versati solo 800mila euro regolarmente, con assegni circolari, su un contratto e su una perizia”. Dunque ”soldi in tasca non ne ho messi” e, anzi, ”nella vicenda del giornale ce ne ho messi tanti miei e della mia famiglia, 4,2 milioni”. Nessun problema anche per quel pranzo a casa sua a settembre 2009 con giudici e politici, in cui si parlò del Lodo Alfano e della candidatura alle regionali in Campania. ”Non l’ha organizzato Dell’Utri che è un amico fraterno e che non ho scaricato come ho letto su qualche giornale – premette Verdini – e comunque fu in quell’occasione che conobbi Lombardi, Martone e Miller. Poi non ho più visto nè Martone nè Miller e nessuno mi ha più cercato”.
Lombardi e Martino, invece, li ha incontrati un’altra volta, ”per discutere della candidatura di Lettieri in Campania” spiega, aggiungendo che "’selezionare le candidature è il mio lavoro e non è una cosa esoterica”. Verdini smentisce anche ogni suo intervento per screditare la candidatura di Caldoro. Anche qui, sottolinea, la vicenda si è svolta "in modo trasparente, non c’è mai stato nessun dossier ma un foglio dattiloscritto arrivato al partito in via anonima e cestinato immediatamente dopo alcune telefonate, tra le quali una a Cosentino, in cui si chiarisce che erano chiacchiere”.
Fogli cestinati anche quando arrivarono per la seconda volta, dopo un incontro con Berlusconi e una chiacchierata con lo stesso Caldoro, che smentì ogni accusa. ”Disse che erano tutte balle e la cosa finì lì. Questo è stato il comportamento di Berlusconi, mio, del Pdl e degli altri dirigenti del partito”. Insomma, niente di niente: ”Non sono responsabile verso niente e nessuno, non ho sensi di colpa, non ho fanno niente di male e anzi lo rifarei, non ho niente da temere dai magistrati”.
Da via dell’Umiltà a Montecitorio per il voto di fiducia sulla manovra. Dai parlamentari del Pdl riceve pacche sulle spalle e attestati di solidarietà. Con qualche finiano che gli si fa incontro c’è solo una stretta di mano. Formale. Del resto, la strada di Fini e Berlusconi da oggi potrebbe non essere più la stessa.