Fini verso la direzione Pdl, sperando che ardisca e non ordisca
20 Aprile 2010
E’ con un senso di urgenza politico-istituzionale che aspettiamo di ascoltare la relazione di Gianfranco Fini alla direzione del Pdl giovedì prossimo. E’ ora infatti che le cose si chiariscano e la matassa che soffoca il partito di maggioranza relativa si dipani.
Non è un bello spettacolo vedere il presidente della Camera impegnato quasi a tempo pieno – stando alle cronache dei giornali – con conteggi e pallottolieri, in preda al dubbio amletico se fare una corrente, un partitino o un gruppetto. Così come non è edificante vedere il Pdl bloccato nella sua azione politica e di governo da questioni che sfuggono alla stragrande maggioranza dei cittadini.
C’è dunque da sperare il parlare di Fini nella sua relazione sia ispirato al “sì sì, no no” di cui parla Matteo (Mt. 5,37), perché ciò che è in più o è altro “viene dal maligno”. E fino ad oggi è stato quasi sempre altro.
Quando Berlusconi si chiede con sincera costernazione : “Ma cosa vuole veramente Fini?”, fa infatti domanda lecita anche se viene accolta con fastidio dall’interessato, che normalmente risponde “lo vado dicendo da mesi”, senza risolvere il dubbio.
Che cosa dunque vanno dicendo da mesi Fini e i finiani, che cosa si è davvero capito della crisi che hanno deciso di aprire nel Pdl? Molto poco.
Fini ha detto chiaramente almeno una cosa: il Pdl così com’è non gli piace. C’è di mezzo, pare, una questione di democrazia interna, di scarso dibattito, di poca considerazione verso il peso del co-fondatore e di coloro che gli sono rimasti vicini e di troppa sudditanza ai temi imposti dalla Lega.
I giornali però danno una versione più terra terra di queste istanze: raccontano l’insoddisfazione di Fini sulla suddivisione in quote del Pdl, quel 70/30 tra Fi e An che Fini non sente adeguato a rappresentarlo e vorrebbe intestato a lui stesso. Parlano dello squilibrio nel terzetto dei coordinatori, dove La Russa non è più considerato in quota Fini, vociferano dell’insofferenza di Fini nei confronti di Bondi, del fatto che il presidente della Camera si sente poco rappresentato da Gasparri al Senato. E in definitiva mettono in conto il destino politico di Fini, stretto tra un intramontabile Berlusconi e una Lega rampante. Insomma ne fanno senza remore una questione di potere e poltrone, presenti o future.
Poi ci sono i fare futuri che invece la buttano tutta sull’identità e sulla cultura: altro che strapuntini – dicono – c’è ormai tra Berlusconi e Fini “un’alterità” inguaribile, dove il presidente della Camera incarna tutti i crismi della “bella politica” mentre il Cav. “considera il potere una cosa privata, fine a se stessa, senza ideali, senza contenuti, senza obiettivi” e citano Giorgio Gaber a testimone. Quindi festa finita.
Per i finiani di Generazione Italia (Bocchino e altri) invece la questione è quella del dopo-berlusconi e di come sostenere in modo non ostile la candidatura di Fini alla leadership del partito contro le eventuali ambizioni di Tremonti o di chiuque altro. Questo almeno all’atto di nascita della fondazione poi non se n’è saputo più molto.
Infine ci sono i parlamentari finiani, i vari Granata, Briguglio, Perina, Urso, Ronchi, ecc…Anche loro sollevano doglianze varie e variabili: la scarsa attenzione al Sud, la mancata abolizione delle provincie, la rigidità sui temi etici, la questioni della cittadinanza e dell’immigrazione. Insomma agitano un classico pacchetto di temi da minoranza interna con un occhio alla sponda di centro-sinistra.
Vedete anche voi come sia giunto il momento per Fini di mettere ordine in questa congerie di temi e vertenze e di farne una chiara, aperta e comprensibile questione politica.
Bene dunque la decisione di parlare alla direzione del partito, di mettere da parte il doppio registro politico e istituzionale che finora gli ha consentito fumosità pubbliche e messaggi trasversali. Per troppo tempo Fini ha dato l’impressione di “ordire e non ardire”. Faccia invece per una volta come fa Bossi quando batte i pugni sul tavolo e dice a voce alta quello che vuole, che si tratti del governatore del Veneto, del sindaco di Milano o delle banche del nord. Sarebbe una ventata di aria fresca per lo stagnante dibattito nel centro destra.
Se invece non ha questo coraggio e questa determinazione o non ha i numeri per sostenerli, si accontenti (e non è poco) di fare bene il presidente della Camera per il prossimi 3 anni. Nei paesi normali le grandi ambizioni politiche si nutrono del buon lavoro svolto nel posto che si è chiamati ad occupare, non della quantità di trame che si è stati capaci di mettere in campo in vista del balzo successivo. Sia esso la presidenza del Consiglio o quella della Repubblica.
In politica tre anni sono un tempo lungo e a Fini nulla è precluso sin da oggi. Sempre che non sia lui stesso a chiudersi tutte le porte.