Finiani via dal governo, Napolitano convoca Fini e Schifani
15 Novembre 2010
I finiani sono usciti dal governo. Le lettere di dimissioni del ministro Andrea Ronchi, del viceministro Adolfo Urso e dei sottosegretari Antonio Buonfiglio e Roberto Menia sono state spedite dalle rispettive segreterie. Lo aveva già annunciato stamattina il coordinatore di Futuro e Libertà Adolfo Urso ai microfoni di Sky Tg24.
E’ l’inizio ufficiale della crisi dell’esecutivo ma intanto il capo dello Stato Giorgio Napolitano ha convocato per domani i presidenti delle Camere Gianfranco Fini e renato Schifani per tentare di saperne di più sul futuro della legislatura.
Nel caso di un ritorno alle urne i finiani punterebbero a un’altra coalizione di centrodestra, ha spiegato Urso, aperta a Udc, Api ed Mpa. "Noi vogliamo con queste dimissioni chiudere una pagina e proseguire la legislatura con un nuovo governo di centrodestra, ma nel caso che altri si dovessero assumere la responsabilità noi andremo al voto con un’altra coalizione di centrodestra, per voltare comunque pagina", ha detto Urso, spiegando di non avere ricevuto pressioni di nessun tipo in questi giorni. "La nostra preferenza è un nuovo governo di centrodestra – ha sottolineato Urso – e ove si andasse al voto per scelte altrui traumatiche, ci andremmo con un’altra coalizione di centrodestra con le forze che si richiamano ai valori del popolarismo europeo e quindi Fini, Casini, il movimento di Lombardo, l’Api di Rutelli e comunque le altre forze sociali e produttive del paese che vogliono, nel centrodestra, dal centrodestra, cambiare e rinnovare la politica, voltare pagina, fare davvero le riforme".
Per quanto riguarda poi l’apertura di Italo Bocchino ad un governo con la sinistra, Urso ha precisato: "In questo Parlamento, ove necessario, ove non si riescano a raggiungere gli obiettivi che ci proponiamo, un’altra maggioranza per fare una riforma elettorale e consentire al paese di votare realizzando un sano, maturo, bipolarismo, ci sta. In questo caso ovviamente con chiunque ci stia, con tutti coloro che vogliono voltare pagina per consentire al paese di votare con un sistema che consenta agli italiani di scegliere davvero, in una sana alternanza bipolare, tra un centrodestra moderno ed europeo e una sinistra che mi auguro sia altrettanto europea".
Siamo alle battute finali dunque, con i finiani che già assaporano la vittoria e si preparano a un nuovo piazzale Loreto e i fedelissimi del Cavaliere che in privato non nascondono timori e preoccupazioni per il loro destino politico. Mentre i fedelissimi del presidente della Camera sono decisi a giocare sul campo favorevole di Montecitorio e vorrebbero che la verifica iniziasse proprio da lì.
Insomma, ci aspetta una settimana di decisive guerre regolamentari per stabilire se codici, codicilli ed eccezioni alla mano l’esecutivo possa chiedere la fiducia prima al Senato e poi alla Camera o viceversa. Con il dettaglio che a gestire il calendario di Montecitorio sarà una delle parti in causa, ovvero il presidente della Camera Fini.
Dopo l’annuncio degli esponenti di Fli si scatenano le reazioni. In particolare, sono diverse le ipotesi riguardanti il terzo polo. "Siamo già un pezzo avanti, forse alla cresima", ha dichiarato il presidente dell’Api, Francesco Rutelli, rispondendo ai microfoni di ‘Agorà’ alla domanda se l’incontro tra Fli, Udc e la stessa Api avvenuto ieri alla convention dei Liberaldemocratici sia stato il battesimo di una nuova alleanza per il terzo polo. Sul fronte Pd a parlare è Rosy Bindi. "Gli elettori democratici capirebbero. Un’alleanza con Fini e Casini sarebbe in nome della Costituzione per battere la degenerazione politica a cui ci ha condotti Berlusconi" ha detto la indi in un’intervista a Repubblica. "Berlusconi può anche avere ripreso la compravendita dei parlamentari e continuare a fare comizi. Ma una volta dato il via libera alla legge di bilancio, cadrà", dice la presidente dell’Assemblea del Pd. “Quando c’è un sistema di bicameralismo perfetto la fiducia è necessaria in tutte e due le Camere, per chi conosce l’abc della Costituzione”, prosegue. “Faremo di tutto per rendere possibile un governo di solidarietà nazionale così come ci opporremo a un tentativo di rincollare la maggioranza magari con la stampella dell’Udc, ma se Berlusconi ci porta a votare non possiamo fare l’errore del ’94, dovremmo allearci con Fini e Casini che tentano di costruire il terzo polo, nel nome della Costituzione e della democrazia".
Di diverso avviso il ministro del Welfare , Maurizio Sacconi, che in una intervista al Gazzettino spiega come “il terzo polo non è né carne né pesce e tendenzialmente soccorre la sinistra”. Secondo Sacconi, “il progetto politico che deve sostenere l’evoluzione del berlusconismo nel segno del premierato forte, del federalismo fiscale, del meno Stato più società e, quindi, della riduzione di spese e tasse, a regime deve essere la sezione italiana del Ppe. Così – aggiunge – si potrà realizzare l’unità dei moderati e dei riformisti. E sarà l’alternativa ad una sinistra ancora pericolosa”. Un governo tecnico o istituzionale, invece, sarebbe “un governo della lacerazione nazionale”, o ancora, “il governo degli sconfitti o meglio di qualche tecnocrate ambizioso al servizio degli sconfitti”. Uno scenario che se dovesse realizzarsi, avverte Sacconi, avrebbe esiti nefasti: “Condurrebbe l’Italia all’instabilità della Grecia”. La strada per Sacconi è soltanto una: “Se Berlusconi non dovesse essere confermato dalle Camere dovremmo tornare immediatamente al voto perché dovremmo confermare la regola che il popolo decide il capo del governo”.
Intano ieri Berlusconi ha fatto la sua mossa. "Noi andremo avanti al Governo con la fiducia che, sono sicuro, avremo al Senato e, credo, anche alla Camera", ma se a Montecitorio andasse male "si andrà a votare per la Camera stessa". Berlusconi ieri ha rotto il silenzio e in una telefonata alla convention "Dalla parte del Cavaliere" per spiegare il piano per il governo. Innanzitutto, ha detto no al governo tecnico, o a qualsiasi ribaltone: "Ci sono professionisti della politica ormai vicini all’età in cui grandi leader come Bush e Blair scrivono le loro memorie che possono aspirare alla presidenza del Consiglio o della Camera solo attraverso decisioni di palazzo – così il Cavaliere – quindi agendo come se la gente non esistesse. Ma questa non è democrazia, è solo partitocrazia". Poi, il piano per la fiducia e l’idea del voto solo per Montecitorio: "Andremo avanti a governare con la fiducia che ci verrà data al Senato e, penso, anche alla Camera. Se non ci verrà data – avverte – andremo a votare per la Camera".