Fino a oggi i nostri soldi sono andati al fisco, da oggi lavoriamo per noi stessi

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Fino a oggi i nostri soldi sono andati al fisco, da oggi lavoriamo per noi stessi

23 Giugno 2010

Oggi siamo soli: sì, perché il 23 giugno 2010 (l’anno scorso era il 22 giugno) è il giorno a partire dal quale lavoriamo esclusivamente per noi stessi e per la nostra famiglia, senza la presenza del nostro socio invisibile che, pur non producendo fatturato né (tanto meno) tenendoci compagnia, pretende ed ottiene comunque con la minaccia del ricorso alla forza la metà dei nostri guadagni. Meglio soli che male accompagnati verrebbe a dire, ma quand’è che ci lasceranno per sempre soli? Probabilmente mai.

L’idea di uno stato padre che debba esserci vicino in tutti i campi della nostra vita – pur senza il nostro esplicito consenso – è radicata nella cultura italica e il Tax Freedom Day rimane una bella data ma celebrata da pochi. Una provocazione intellettuale (è calcolato su medie, di medie, di medie) che ha ben poca risonanza sui media tradizionali che invece celebrano in pompa magna ricorrenze quali il 2 giugno, ad esempio, o altre festività che la retorica statalista ha forzatamente inculcato nella testa dei propri cittadini-sudditi.

Nessuno dice agli italiani che le loro 4 ore al giorno (su 8 lavorative di media) immolate all’altare della Patria potrebbero essere inutili in un regime di libero mercato: i beni pubblici potrebbero essere infatti prodotti meglio (e a minor costo per tutti) dai privati e la gran parte delle imposte che gravano sulle tasche dei contribuenti rendersi così inutili. Il mercato potrebbe rimpiazzare agevolmente molte strutture e servizi, ponendole in libera concorrenza tra loro, elevandone la qualità e abbassandone il costo per la gente. Pensiamo, ad esempio, a come il mercato potrebbe subentrare in maniera più conveniente per tutti nell’istruzione, nella sanità e nelle pensioni, le tre maggiori cause della spesa pubblica italiana. Una spesa pubblica che, come cita Antonio Martino sul suo blog, lievita in maniera esponenziale negli anni: "nel 1900 (…) assorbiva il 10% del reddito nazionale, negli anni Cinquanta circa il 30%, adesso, se il calcolo è fatto correttamente, superiamo il 50%".

E il giorno "della libertà fiscale" intanto slitta: nel 1990 il Tax Freedom Day era fissato al 7 giugno, nel 1998 al 17 per poi arretrare un po’ nel 2002 e ritornare adesso ai massimi che conosciamo. Ma dove possiamo mai andare in un paese dove quando si è cercato di liberalizzare i taxi si è bloccata mezza Italia e che quando si è solo ventilato l’idea di privatizzare l’acqua già tutti si sono fatti trovare pronti a prendere le firme per un referendum abrogativo? Dove non c’è cultura cristiana non si festeggia il Natale, dove non c’è cultura liberale non si festeggia il Tax Freedom Day. In Italia il 23 giugno più che una festa è la memoria di un lutto.

Considerando accise, Iva etc.. il Movimento Libertario ha recentemente calcolato che ben il 69% dei nostri soldi se ne vanno per mantenere il sistema. Altro che 23 giugno: considerando queste percentuali la data slitterebbe ancora. Tanto basterebbe per una rivoluzione. Il neonato Tea Party Italia si batte a questo scopo contro l’eccessiva tassazione per rimettere al primo posto dell’agenda politica italiana la questione fiscale. Con questo spirito anche questo weekend post-Tax Freedom Day il movimento che vuole "meno tasse e più libertà" nato a Prato il 20 maggio scorso, manifesterà in ben 3 città da nord a sud in nome della rivolta contro il fisco. L’appuntamento è quindi a Roma sabato 26 e ad Alessandria e Aversa domenica 27.

(David Mazzarelli è il fondatore del Tea Party italiano)