Fioroni parla di tabelline ma non si accorge che il problema sono gli insegnanti

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Fioroni parla di tabelline ma non si accorge che il problema sono gli insegnanti

07 Settembre 2007

Buon senso e buona
volontà. Il Ministro dell’istruzione vi ha fatto ricorso, e con i limiti di chi
governa la scuola in un paese che negli ultimi dieci anni ha vissuto tre
riforme scolastiche, si è affrettato a impartire le disposizioni
relative al corretto avvio del nuovo anno scolastico. Saranno pure
misure tampone, ma si può non essere d’accordo con l’applicazione di norme più
severe per i professori assenteisti, la reintroduzione del giudizio
d’ammissione all’esame di terza media, la regolamentazione degli esami dei
privatisti?  E soprattutto, chi non
conviene sulla necessità di far studiare come si deve anzitutto tabelline,
grammatica e analisi logica, prima di materie comunque da mantenere, quali
informatica e inglese (per carità di patria evitiamo di menzionare la terza “i”
del programma dell’era Moratti)?

Passati i cinque minuti
iniziali di sollievo all’annuncio che forse a scuola torneranno a occupare il
posto che meritano, con la “serietà” che il ministro Fioroni e tutto il suo
governo hanno scelto come slogan assoluto, insegnamenti come matematica, storia
e geografia, non ci si può tuttavia non domandare pure: ma sarà il corpo
docente attuale ad occuparsene?  Perché
Fioroni affronta tante questioni nel suo corposo documento, ma una la evita accuratamente,
spostando lo sguardo sui programmi, le indicazioni di autonomia didattica, i
curricola: la scuola è piena di insegnanti clamorosamente impreparati o
clamorosamente sconfortati. A me negli anni di lavoro nelle multinazionali
hanno ripetuto fino alla noia che “l’azienda non è un entità astratta, sono le
persone che fanno l’azienda” – ma allora perché nessuno dice altrettanto spesso
che sono gli insegnanti a fare la scuola? Perché nella nostra società di
de-responsabilizzazione istituzionalizzata non si possono mettere in
discussione l’aggiornamento dei docenti, i metodi che utilizzano per l’attività
quotidiana in classe, la loro capacità concreta di trasmettere il sapere alle
nuove generazioni – sempre più distanti da loro, immerse in un mondo dai
linguaggi e contenuti che molti professori non hanno più la curiosità di
conoscere e la testa per capire?

Fioroni torna giustamente
a parlare di grammatica e analisi logica. Chi non sa scrivere in italiano
riuscirà a combinare poco nella vita, e non ha molto senso che invece si metta
a studiare inglese. Pensi a capire come funziona la sua lingua, e poi saprà
dedicarsi bene alle altre. Ma il degrado dello studio della grammatica non è
una conseguenza delle iniziative della riforma Moratti: a voler guardare
meglio, il processo ha avuto un’accelerata negli anni novanta, quando a
diventare maggioranza nelle scuole sono stati i figli della contestazione, che
hanno fatto salire sul carrozzone del pedagogismo eletto a sistema un esercito
variopinto di presunte figure educative, per le quali l’analisi logica dei
testi o peggio ancora la ripetizione a memoria delle tabelline sarebbero
attentati al libero sviluppo creativo dei ragazzi. 

Di questa catastrofe la
scuola continua ogni giorno a fare le spese. E finché continuerà a essere
ostaggio dei sindacati e ad imputare la responsabilità del proprio regresso a
tutto fuorché alla preparazione (e purtroppo motivazione, ma questo è un altro
lungo discorso) dei suoi insegnanti, l’unica azione possibile sarà cercare di darle
una sistemata almeno con la grammatica e le tabelline. O almeno provarci. In
questo caso, con un buon senso difficile da contestare. Non foss’altro perché –
come spesso accade al buon senso – si distanzia alquanto dal politicamente
corretto del modernismo progressista.