“Flash mob”, una immobile e imprevista condivisione di esperienze

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“Flash mob”, una immobile e imprevista condivisione di esperienze

15 Giugno 2010

Il flash mob nasce con l’idea di stupire. I primi in assoluto sono stati fatti in America, chiamati “frozen.” I partecipanti si incontravano in un luogo pubblico dopo essersi dati un appuntamento via chat e si bloccavano immobili ad un segnale convenuto. Ora è arrivato in Italia. Appuntamenti a sorpresa che si organizzano attraverso internet. I temi sono i più vari dal darsi le cuscinate all’immobilizzarsi in silenzio. In Francia l’anno scorso il raduno lampo si è realizzato nell’allestimento di una megatavolata a Place de la Concorde a Parigi.

Flash mob, espressione inglese, vuol dire mobilitazione spontanea. Generalmente queste riunioni nascono con l’intento di divertirsi stupendo. Durano poco e dopo l’esibizione ci si disperde. In generale ci si ritrova con sms o su internet. Ci sono siti esteri ed italiani. Nei siti si trovano informazioni,foto e video degli eventi già realizzati. I flash mob sono nati senza connotazioni politiche o ideali, ma alcuni gruppi e associazioni sono stati colpiti dall’efficacia del richiamo e li hanno utilizzati con uno scopo: fare pubblicità ad un’idea politica, sociale, oppure essere una vera azione di marketing. E’ avvenuto per un telefilm, che è stato pubblicizzato in questo modo. In altre occasioni  sono stati usati per sensibilizzare contro i danni provocati dall’ inquinamento e contro il razzismo.

In Italia queste mobilitazioni improvvise nascono sempre più spesso. Gli incontri si sono moltiplicati ed è nato un portale internet che ricorda gli appuntamenti. Questi eventi fanno ricordare il teatro di strada, ma anche i rave party. In Italia se ne sono già tenuti vari con temi differenti: a Bologna nella stazione il raduno era ispirato al film Pulp Fiction. Un altro in piazza Maggiore, sempre a Bologna ha visto trecento persone impegnate in una finta regata. Un altro a Brescia dove al segnale convenuto si sono immobilizzati come se fossero congelati. Queste mobilitazioni si stanno moltiplicando e un portale internet ricorda gli appuntamenti in programma.

I flash mob si propagano attraverso Facebook o con gli sms, in particolare tra gli studenti. La velocità con cui si possono propagare gli inviti, che permettono questi incontri è, grazie ai social network, impressionante. Ciò crea anche preoccupazioni di ordine pubblico. Si possono creare situazioni di super affollamento che possono, come nel caso del mega aperitivo in Francia, essere foriere di tragedie; un ragazzo è morto volando giù da un ponte ubriaco. Ci sono state molte polemiche dopo questo accadimento. Il fenomeno è ancora abbastanza sconosciuto e  sicuramente non è di facile gestione. La stessa polizia si dice all’oscuro dei raduni e ritiene che sia quasi impossibile prevenire tali eventi di massa e gestirli.

Una specie di strana rivoluzione che incuriosisce. Cosa spinge questi giovani a contattarsi a ritrovarsi immersi in folle sconosciute? Sembrerebbe che basta il numero, la quantità, l’essere tanti , che fa stare bene. Da sempre i giovani amano i gruppi, amano incontrarsi, condividere; ma questo è un modo nuovo di socializzare al quale assistiamo. I gruppi e gli eventi di oggi tra i giovani rappresentano la loro novità, il loro identikit. Si possono pensare cose diverse. Si può liquidare la faccenda con facilità per noi adulti e dire che i ragazzi di oggi puntano sul pieno, sulla quantità, non sul rapporto autentico, sul legame. Si potrebbe aggiungere che si nascondono nella folla, che cercano se stessi nello sballo.

Potremo dire ancora che c’è la terribile moda che se sei in mezzo agli altri ti sai divertire, hai una identità, sai socializzare. Questo è l’imperativo dei ragazzi di oggi: più amici hai, più contatti hai, più sei riconosciuto e considerato. Numeri, nomi, facce che sorridono o guardano languide o torve nei vari Messanger, Facebook, ma emeriti sconosciuti. L’importante è poter dire che  si ha un certo numero di “amici”. Averne tanti sembrerebbe avere un’identità più solida, essere in contatto con gli altri. Forse essere vivi. Ma non parliamo di relazioni reali, condivisioni, sguardi, costruzione di percorsi fatti assieme, di arie respirate, no, parliamo solo di esserci: sembra che basti. Un modo di relazionarsi a molti noi adulti sconosciuto, incomprensibile ma forse proprio per questo da guardare, con attenzione, con rispetto.

Un nuovo modo di essere, un nuovo mondo; chissà forse foriero di nuovi messaggi non per forza negativi. Magari dopo i primi eccessi tutto questo ci porterà generazioni più aperte, più tolleranti, più capaci di vivere le differenze. Di stare con l’altro, chiunque esso sia, e di guardarlo con curiosità. Curiosità che poi magari si trasforma in interesse, in scambio, in rapporto. Piuttosto saranno capaci di amare più persone e non chiudersi in sterili recinti entro i quali giudicare e chiudere le loro menti.

Forse si può vedere come nel gesto, nell’esserci e quindi non solo nella parola, l’incontro può essere altrettanto significativo. Un rito che, proprio perché tale, non ha bisogno di grandi spiegazioni. Un modo nuovo di sentirsi solidali, una nuova forma sociale di generosità dell’incontro che colma solitudini e tristezze. Si può pensare di non essere mai soli ma attraverso la vicinanza dei corpi trovare il conforto. Del resto, il nuovo, il cambiamento si è sempre fatto strada destando nelle generazioni precedenti paure, incertezze, giudizi. Allora proviamo ad osservare ed ascoltare questi giovani con la mente e il cuore aperti all’idea che loro sono il futuro e nel nuovo ci saranno sicuramente anche spiragli di luce.