Fli e Udc fanno fronte comune e per due volte impallinano la maggioranza
23 Novembre 2010
Il governo incassa un dritto, un gancio e finisce all’angolo. Ma non va a tappeto.Nell’Aula di Montecitorio, la maggioranza è stata battuta sull’articolo 4 della ratifica delle modifiche al Trattato dell’Unione europea che assegna all’Italia un seggio supplementare del Parlamento europeo.
Dopo che, a scrutinio segreto, era stato respinto un emendamento all’articolo 4, la maggioranza aveva dato precise indicazioni per votare contro l’articolo nel suo complesso. Ma al momento del voto, l’articolo è passato con 292 sì, 250 no e un astenuto. E se il ‘dritto’, com’era prevedibile, è arrivato da Pd e Idv, il ‘gancio’ è stato sferrato da Udc e soprattutto da Fli, il partito che oggi è salito sul ring dalla parte dell’opposizione. Crisi alle porte? Prove per una nuova maggioranza? Non è chiaro. Per il momento l’unica certezza è che il provvedimento in questione dovrà passare ancora l’esame del Senato, che potrebbe cancellare l’incidente di Montecitorio. E che l’asse Fini-Casini si è ricompattato dopo le rispettive frenate dei giorni scorsi, al punto da rispolverare la vecchia tattica della guerriglia parlamentare. Obiettivo: le dimissioni del Cav.
I primi ad esultare per il risultato, di sicuro saranno stati i centristi che, alla fine, hanno guadagnato un seggio a Strasburgo. Vediamo perché. Tutto inizia alla Camera, con un voto di secondaria importanza (almeno teoricamente) sull’assegnazione di un seggio supplementare al parlamento europeo. Sull’emendamento il governo si era rimesso all’Aula così, al momento del voto (che è avvenuto a scrutinio segreto), a sorpresa viene approvato l’emendamento dell’opposizione che di fatto attribuisce lo scranno all’Udc.
Avvisaglie ce n’erano già state in commissione Affari costituzionali. Opposizione e Fli avevano affossato la proposta del relatore Giuseppe Calderisi, che aveva formulato un sistema di calcolo per assegnare il 73esimo seggio italiano al Pdl. L’opposizione invece era riuscita a spuntare che il deputato toccasse all’Unione di centro. La maggioranza era corsa ai ripari presentando in Aula un emendamento all’articolo 4 del testo che di fatto ripristinava il metodo di calcolo Calderisi. Ma Fli ha fatto muro insieme con Pd, Idv e Udc e perciò, niente da fare.
Quella futurista, insomma, è stata una vera e propria stoccata al fianco del governo. L’ennesima, bisognerebbe dire, che si è aggiunta a quella inferta qualche ora prima dal capogruppo di Fli Italo Bocchino che, ospite a Omnibus, aveva dichiarato di non vedere alcuna condizione perché i finiani potessero votare la fiducia al governo Belusconi. Che si potrebbe anche leggere: Fli sfiducerà il Cav. Il 14 dicembre. A meno che, sostiene Bocchino, il premier non accetti di fare "la riforma della legge elettorale, la riforma del Fisco, un grande provvedimento economico e sociale". In quel caso, conclude, "troverà una maggioranza più ampia".
La minaccia futurista si aggiunge a quella di Casini, che lunedì aveva già sottolineato di voler negare la fiducia al governo. Qual è la strategia? Naturalmente, per le opposizioni (in particolare per Fli), la strada più comoda sarebbe quella di costringere Berlusconi a cedere, ovvero a rassegnare le dimissioni. Lo confermano le secche dichiarazioni del ministro della difesa Ignazio La Russa: "Loro chiedono le dimissioni di Berlusconi, le dimissioni non ci saranno, quindi le condizioni (per un voto di fiducia da parte di Fli, ndr) evidentemente non ci sono". Al ministro ha risposto il coordinatore di Fli Adolfo Urso, secondo il quale se dalle file del Pdl non ci saranno segnali per "dar vita a una nuova fase e continuare nella vecchia" la squadra dei futuristi potrebbe presentare una sua mozione di sfiducia.
Ma le dimissioni, ora, le rilancia pure Casini dopo aver aperto al Pdl. E il suo doppiogiochismo lascia pensare ad una ‘strategia al rialzo’, anche se dovrà fare i conti con quei parlamentari moderati che non se la sentono di mandare a casa il governo.
Intanto il ministro dell’Interno Roberto Maroni, impegnato a Milano in un incontro coi sindaci lombardi, appena saputo delle difficoltà affrontate nel pomeriggio alla Camera non ha azzardato alcuna previsione sulla tenuta dell’esecutivo, e ha detto di non sapere neanche se si arriverà a fare il decreto di fine anno sul federalismo. "Non so nemmeno che cosa succederà il 14 dicembre", ha precisato, sottolineando che fino ad allora (ovvero al giorno in cui si voteranno le mozioni di fiducia e sfiducia in Parlamento) l’imperativo "è resistere".