Fli non lascerà alcun segno nella storia politica italiana, Fini purtroppo sì

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Fli non lascerà alcun segno nella storia politica italiana, Fini purtroppo sì

21 Febbraio 2011

L’avventura di Futuro e libertà volge mestamente al termine. Pochi mesi sono bastati a rendere evidente anche a chi vi aveva aderito l’inconsistenza e la strumentalità dell’iniziativa. Dopo l’assemblea costituente è stato chiaro a chiunque che la scissione finiana era un’operazione di potere. Quando, uno dopo l’altro, se ne sono resi conto coloro che hanno seguito il presidente della Camera nel suo spericolato tentativo di disarticolare il centrodestra, l’esperienza si è esaurita nel peggiore dei modi: a pesci in faccia. E questo a dimostrazione che mai un soffio ideale ha sfiorato la nomenclatura di Fli le cui ragioni politiche sono tutte riassumibili nella guerra a Berlusconi. Beninteso, dal punto di vista dei finiani legittima, ma sorprendentemente banale e povera nel momento in cui hanno mostrato la loro nudità nell’approcciarsi al tentativo di rifondare il centrodestra. Le parole che abbiamo ascoltato non sono mai state adeguate allo scopo, ma sempre rivolte alla delegittimazione della coalizione che pure avevano contribuito a formare. Un po’ poco per aspirare a ricreare uno schieramento politico che, per quanto provato, sembra comunque avere ancora energie sufficienti per rinnovarsi.

Di Futuro e libertà resterà nulla nella storia politica e parlamentare italiana. Più consistenti saranno le tracce lasciate dal suo capo ed ispiratore. E gli storici le valuteranno non tanto per le conseguenze politiche prodotte, ma per gli stravolgimenti istituzionali davvero inediti che esse provano. Infatti, mai un presidente della Camera aveva preteso le dimissioni del presidente del Consiglio: Fini ci ha provato come leader di un partito nato dalla scissione di un altro che aveva co-fondato. Mai l’inquilino di Montecitorio si era fatto promotore di una crisi extraparlamentare, al contrario, sempre i predecessori dell’attuale avevano cercato in tutti i modi di parlamentarizzare quelle che nascevano fuori: Fini è stato di altro avviso, non rendendosi conto che il suo attivismo politico lo metteva giorno dopo giorno sempre di più fuori dall’alveo costituzionale. E neppure era mai accaduto che la terza carica dello Stato, super partes per definizione, dichiarasse defunto il partito più rappresentativo in Parlamento, dal palco di una convention di partito, sapendo che il giorno dopo se lo sarebbe ritrovato davanti alla Camera pronto a chiedere le sue dimissioni proprio per dimostrare la sua esistenza in vita. Poi Fini, al culmine della disperazione politica, ha pure maltrattato i deputati ed i senatori che hanno deciso liberamente di abbandonarlo, gettando definitivamente la maschera di garante per mostrarsi, anche a chi ancora nutriva dubbi, come capo di una piccola fazione priva di idee e di collocazione, a meno di non voler considerare tale il provvisorio riparo all’ombra di Casini.

Ma Fini ha dimostrato, soprattutto, e per il Maldestro è molto più grave di qualsiasi altro addebito gli si possa muovere, un disprezzo totale per quella sua comunità politica ed umana che lo ha seguito fedelmente nel corso dei decenni ed alla quale ha riservato gesti e parole che mai nessuno credeva potessero venir fuori da un leader di destra i cui valori di riferimento avrebbero dovuto impedirgli di assumere atteggiamenti che non finiranno mai di sorprenderci. Oltretutto dimostrando come si possa cancellare, con comportamenti a dir poco discutibili, anche in chi riteneva di conoscerlo bene e gli era perfino amico sincero e disinteressato, una reputazione politica forgiata nelle tempeste di anni nei quali la discriminazione sconfinava nell’annullamento fisico di chi militava a destra. Fini, insomma, ha sbagliato tutto da quando ha mollato gli ormeggi dal suo mondo ritenendo di poterne costruire un altro dal nulla, servendosi non delle idee ma delle parole. E queste sono diventate pietre che anche quanti le avevano accolte con generosa disponibilità d’animo, hanno dovuto ammettere che nascondevano il vuoto, come testimoniano le fughe da Futuro e libertà.

Non resta molto altro della più inconsistente, livida e rancorosa esperienza politica degli ultimi decenni, culminata con l’anatema scagliato contro coloro i quali l’avevano assecondata, rimettendoci molto: prima avventurosi esploratori di strade sconosciute, poi traditori soggiogati dal potere seduttivo e finanziario del Cavaliere. Questa la conclusione di Fini al quale non passa neppure per la mente di aver sopravvalutato la sua esposizione ritenendosi davvero il fondatore di una nuova èra, anticipatore di una “primavera politica”, come ha detto del discorso funebre al congresso “fondativo” di Fli. E neppure in queste ore, mentre lo abbandonano al suo destino quanti ne avevano assecondato le pulsioni di rivalsa contro il suo stesso mondo, si chiede che cosa non ha funzionato nel suo progetto, ma scarica tutto sui “traditori” e su chi avrebbe aperto la solita borsa con i trenta denari. Il livello del conflitto politico è di questo tenore. Non saprei se più grottesco o deprimente. Di sicuro imbarazzante istituzionalmente. Poiché da che mondo è mondo, mai il presidente di un’Assemblea rappresentativa si è permesso di insultare dei parlamentari asseverando in tal modo la richiesta di dimissioni formulata da tanti, anche a lui vicini, fin da quando ha assunto un ruolo politicamente attivo.

Nella sua intemerata, com’è noto, Fini curiosamente se l’è presa anche con i “gerarchi del Pdl”. L’ira gli ha impedito di ricordare che proprio molti quei “gerarchi”, provenienti da Alleanza nazionale e formatisi come lui nel Movimento Sociale Italiano, lo hanno sostenuto per decenni; alcuni hanno contribuito in maniera determinante a spianargli la fulgida carriera fino al piano nobile di Montecitorio, qualche altro, non ritenuto degno di ottenere i gradi di ufficiale superiore, lo ha seguito lealmente sulla soglia della più confusa operazione politica che poteva mettere in piedi. Ma a tutto c’è un limite oltre il quale a nessuno si può chiedere di andare. Soprattutto quando nell’altrove non c’è che il nulla.

Cosa consegna Futuro e libertà a chi volesse impegnarsi nelle sue file (sempre che e nelle prossime settime lo trovi ancora, sia pure in forma larvale)? La discontinuità con una storia, il rogo di certe idee, l’abiura di alcuni valori reputati indisponibili? Forse i delegati a Rho si attendevano una qualche risposta a queste domande. Hanno assistito, invece, a guerre intestine scatenate attorno ad organigrammi squilibrati, scoprendo che nella spartizione dei posti di comando di hanno rimesso quelli che più si eran spesi per la causa lasciando addirittura le poltrone ministeriali. Un po’ poco per annunciare venti di primavera. Infatti l’inverno da quelle parti sarà ancora molto lungo.

La maggioranza che sostiene il governo è certamente più coesa politicamente ed è in crescita numericamente. La bufera, comunque, ancora non è passata. Risolto l’incidente di Fli, restano aperti altri fronti. Sarebbe però grave se non ci si concentrasse un po’ anche sul futuro del centrodestra. È quanto ci attendiamo dal Pdl e dalle articolazione ad esso vicine.