Fli punta al nuovo centrodestra della legalità ma tace sul caso Lombardo

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Fli punta al nuovo centrodestra della legalità ma tace sul caso Lombardo

16 Novembre 2010

Sarà un’alleanza per voltare pagina e rinnovare la politica: parola di Futuro e Libertà. Lo ha chiarito ieri Adolfo Urso per spiegare che se si dovesse arrivare al voto anticipato la compagine finiana punterà a formare un’altra coalizione di centrodestra "con forme che si richiamano alle forze del popolarismo europeo". Ovvero Casini (Udc), Rutelli (Api) e Lombardo (Mpa).

Ma proprio il governatore siciliano potrebbe rivelarsi una spina nel fianco (politico) per il presidente della Camera, il rinnovato paladino della legalità, che l’estate scorsa, durante la prima convention campana di Generazione Italia si era chiesto se fosse opportuno che gli indagati continuassero ad avere incarichi politici. Per non parlare dei suoi uomini che hanno fatto le barricate su Cosentino e Brancher e che su Dell’Utri e Mangano si sono affrettati a dire con buona dose di scandalo che "no, Mangano non è certo il nostro eroe". Lo stesso Fini che più di recente si è detto "amareggiato" per il cosiddetto ‘caso Ruby’, una vicenda che sta mettendo "l’Italia in una condizione imbarazzante", dando l’astura ai futuristi per accendere il ventilatore delle polemiche. Eppure, nessuna parola dai novelli moralizzatori della politica sulla vicenda Lombardo che se sul piano giudiziario deve ancora essere accertata, sul piano politico e in vista delle nuove alleanze considerate fondamentali ‘per salvare la democrazia’, pone qualche imbarazzo.

La spina nel fianco di Fini è proprio l’inchiesta della procura di Catania che sul governatore siciliano sta indagando per presunti rapporti con la mafia siciliana. "Rapporti tra Cosa Nostra e i fratelli Angelo e Raffaele Lombardo" è infatti il titolo del capitolo della richiesta di custodia cautelare nei confronti di alcuni politici e imprenditori coinvolti nell’inchiesta denominata "Iblis", che i magistrati catanesi hanno presentato al gip Luigi Barone il 31 luglio scorso. Dalle pagine del suo blog, Lombardo ha detto di voler essere interrogato dai pm e fare chiarezza sulla vicenda.

Secondo i magistrati le intercettazioni avrebbero dimostrato l’esistenza di un filo diretto tra Raffaele Lombardo e alcuni esponenti di Cosa Nostra. Nello specifico, secondo i pm catanesi, si tratterebbe di incontri con boss mafiosi, soldi pubblici dirottati nelle casse della malavita organizzata, di sostegno economico a campagne elettorali e voto di scambio.

Questi i fatti. Nel maggio 2009 viene intercettata una conversazione tra Rosario Di Dio ("esponente di primissimo piano della famiglia Santapaola") e il direttore di Confesercenti Salvo Politino al quale il boss racconta di una visita di Bartolo Pellegrino (omonimo dell’ex deputato regionale), assessore all’Agricoltura alla Provincia. E alla richiesta di voti per Lombardo, Di Dio risponde così: "È inutile che viene per cercare voti, perché voti non ce n’è per Raffaele… bello chiaro… quello che ho fatto io quando lui è salito per la prima volta lì, neanche se viene il Padreterno troverà più queste persone e siccome io ho rischiato la vita e la galera per lui e le cazzate che ha fatto lui…". Secondo i pm, Lombardo avrebbe inviato per tre settimane un suo collaboratore dal boss con "tre buste piene di fac-simile" per chiedere il suo appoggio elettorale. I magistrati commentano così: "Lombardo risulta essere da tempo in rapporti di amicizia e di reciproci interessi con Di Dio".

E poi ancora, i rapporti con Vincenzo Aiello, considerato il rappresentante provinciale di Cosa Nostra a Catania. Gli inquirenti ascoltano una conversazione tra Aiello e il geologo Giovanni Barbagallo (che secondo i magistrati è colui che gestisce gli appalti pubblici per le cosche) che sembrerebbe rivelare come la campagna elettorale per la presidenza della Regione sia stata finanziata dalla mafia con i soldi estorti per la costruzione del centro commerciale del Pigno. "Gli ho dato i soldi nostri! Del Pigno… – dice Aiello ­– …gli ho dato a lui per la campagna elettorale… i soldi che l’impresa…". Anche in questo caso i pm non ci vanno leggeri: "Si tratta della più grave acquisizione investigativa che descrive il dato nudo e crudo della avvenuta consegna a Lombardo di una somma di denaro destinata al finanziamento della sua campagna elettorale disposto dal capo della più forte organizzazione mafiosa operante nella provincia di Catania".

Dopo l’elezione però Lombardo, non avrebbe più avuto presunti rapporti con gli esponenti delle cosche. I magistrati infatti sostengono che "dopo l’elezione di Raffaele Lombardo alla guida del governo regionale i rapporti con l’organizzazione criminale continuava a far capo ancora a Raffaele Lombardo per il tramite operativo del fratello Angelo".

Insomma, accuse pesanti quelle della Procura di Catania che, pur non ritenendo di chiedere alcun provvedimento per i fratelli Lombardo, su di loro continua a tenere i riflettori accesi. Intanto il governatore ha levato il suo grido di protesta: ”Contro di me c’è un processo mediatico”, ha detto. Potrebbe esserlo e del resto la storia più recente lo racconta. Ma al di là degli accertamenti che la procura sta svolgendo, sul piano politico la vicenda ha già creato più di un imbarazzo a Palazzo dei Normanni, tra gli alleati del quarto governo Lombardo e cioè Pd, Udc e Fli. Ma a colpire è proprio il silenzio del siciliano Granata (uno degli artefici del ribaltone che ha mandato all’opposizione il Pdl) e del suo collega di partito Bocchino che con l’Mpa di Lombardo vogliono costruire il terzo polo. Se la coerenza ha un senso, i futuristi ora dovrebbero battere un colpo.