Fonderghisa, non c’è radioattività ma proseguono gli accertamenti
14 Dicembre 2011
di L. C.
In questi ultimi anni le malattie che hanno colpito diversi soldati italiani in missione di pace nella ex Jugoslavia hanno fatto discutere e preoccupare l’opinione pubblica. Per i familiari delle vittime nessun dubbio a riguardo: quella ribattezzata con il nome di “Sindrome dei Balcani” – e che consiste in diversi tipi di cancro – colpisce quelle persone che in qualche modo sono venute a contatto con l’uranio impoverito, impiegato in alcune munizioni in Bosnia e in Kosovo. Il primo caso risale al 1999, quando morì di leucemia un soldato sardo. Da allora ci sarebbero state poco meno di 50 vittime, mentre sono 500, in tutto, i soldati italiani malati. Insomma, anche se il nesso tra queste patologie e l’esposizione all’uranio impoverito non è stato dimostrato, le preoccupazioni e i dubbi restano.
In Molise la vera “bomba” all’uranio è esplosa poco più di un anno fa. In un articolo di Rosaria Capacchione pubblicato su Il Mattino e imperniato su un presunto traffico illecito di rifiuti sospetti tra la Campania e il Molise, si facevano chiari riferimenti alla Fonderghisa di Pozzilli, in provincia di Isernia, uno stabilimento oggi chiuso per fallimento. La giornalista del quotidiano napoletano, raccogliendo informazioni da alcuni ex dipendenti della fonderia, scriveva che “negli altiforni sarebbero stati fusi i rottami ferrosi di mezzi militari impiegati nella ex Jugoslavia contaminati dall’uranio impoverito”. Quelle voci ricorrenti tra la gente sono arrivate, attraverso alcune interrogazioni, anche in consiglio regionale. Se n’è parlato anche durante una riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, presieduto dal prefetto di Isernia, Raffaele D’Agostino, scomparso di recente. È stato proprio lui a chiedere approfondimenti. Ma nel frattempo la Procura della Repubblica di Isernia, prendendo spunto da un’informativa del comando provinciale del Corpo forestale dello Stato, aveva già aperto un fascicolo. Il procuratore capo, Paolo Albano, particolarmente sensibile alle problematiche ambientali, non ha lasciato nulla al caso. Ha affidato il compito di effettuare analisi approfondite al Centro Tecnico logistico Interforze dell’Esercito di Civitavecchia.
Lo stabilimento della Fonderghisa è stato indagato prima con strumentazione portatile per individuare l’eventuale presenza di radioattività. Poi si è proceduto con i campionamenti di materiale ferroso, scarti di lavorazione e altro materiale generico trovato all’interno della fonderia. Infine le analisi di laboratorio sia fisiche sia chimiche. I risultati di queste verifiche sono stati illustrati in questi giorni dallo stesso procuratore Albano durante un incontro con la stampa convocato proprio all’interno dello stabilimento (acquistato da un imprenditore all’asta fallimentare): “Abbiamo riscontrato – ha detto – l’assenza di radioattività da uranio impoverito o arricchito. Ci sono solo normali tracce di uranio naturale non riconducibili a intervento umano. Tracce minime, che si trovano normalmente sulla crosta terrestre. Questa è una bella notizia perché non c’è pericolo per la popolazione”. Il procedimento si è dunque chiuso senza arresti o indagati. “Ma non ci fermiamo qui”, ha aggiunto Albano nel ribadire che la tutela della salute dei cittadini e dell’ambiente è prioritaria per la Procura di Isernia. Tra l’altro, materiale su cui lavorare ce n’è in abbondanza. Non solo nella fonderia passata al setaccio dall’Esercito.
All’incontro con la stampa, infatti, c’erano anche due rappresentanti del Comitato delle “Mamme per la salute” di Venafro (una di loro è la figlia di un ex dipendente della Fonderghisa). A loro avviso nello stesso stabilimento sarebbe stato lavorato anche amianto. “Che fine hanno fatto i materiali di scarto? E come è stato smaltito?”. Il Comitato ha ringraziato la Procura e la Forestale per l’impegno e per la serietà con cui sono state condotte le verifiche nel sito industriale di Pozzilli. Ma la loro battaglia non si esaurisce qui. La loro caccia alle fonti di inquinamento presenti nell’area venafrana continua. C’è qualcosa che non quadra in questa zona. Ci sarebbero altre fabbriche nel mirino del Comitato. I dati ufficiali sembrano escludere ogni tipo di preoccupazione, tuttavia a intermittenza arrivano notizie che finiscono per rimettere tutto in discussione. Nei mesi scorsi sono state riscontrate tracce di diossina al di sopra del livello di guardia in due capi d’allevamento, come confermato dagli accertamenti eseguiti dell’Azienda sanitaria regionale del Molise (Asrem). Il mese scorso, invece, il sindaco di Venafro, Nicandro Cotugno, citando i dati dell’Arpa (Agenzia regionale protezione ambientale, ndr), ha sottolineato che dall’inizio dell’anno, nel centro cittadino, la quantità di polveri sottili nell’aria ha superato la soglia massima consentita almeno in cinquanta occasioni. Per risolvere il problema il primo cittadino il mese scorso ha firmato un’ordinanza di divieto di transito per i tir, poi bocciata dal prefetto facente funzioni Caterina Valente (ieri, tra l’altro, il Consiglio dei ministri ha nominato il suo successore, Filippo Piritore). Ma il braccio di ferro tra Comune e Ufficio del Governo interessa poco o niente alle "Mamme per la salute": a loro avviso il traffico, da solo, non basta a spiegare quel preoccupante livello di inquinamento in città. A maggior ragione perché i tir provenienti o diretti in Campania dalla fine del 2008 non passano più per Venafro, grazie alla realizzazione di una variante esterna. C’è dell’altro. Il Comitato vuole sapere cosa. La Procura di Isernia potrebbe dare le risposte giuste ai loro interrogativi.