Forleo e De Magistris tentano la riedizione di “mani pulite”
31 Ottobre 2007
Il Gip più famoso d’Italia,
Clementina Forleo, non vuole assolutamente che una scorta accompagni i suoi
spostamenti quotidiani e tuteli la sua incolumità personale.
Probabilmente il Magistrato
milanese ha il sacrosanto diritto di rinunciare alla protezione dei
carabinieri, di sicuro, però, non è accettabile che lo faccia rivolgendo ai
vertici dell’Arma delle accuse di inaudita pesantezza.
“Ho ragione di ritenere che i pericoli che corro non derivano da
attacchi provenienti dalla piazza ma da ambienti istituzionali. Non voglio un
taxi gratuito, non voglio che si spendano soldi inutili, perché dall’Arma mi
arrivano tentativi di denigrazione”.
E’ chiaro che non è dal mero
rifiuto della scorta, ma da questo genere di affermazioni che è nata la
polemica con la Prefettura
di Milano, che ha deciso di confermare l’accompagnamento di servizio ed ha
dovuto incassare l’immediata reazione del Gip: “mi sono informata, so che nessuno potrà mai costringermi a salire
sull’auto della scorta”.
Il Magistrato milanese ha
trovato per l’ennesima volta il modo di consegnare alla stampa le sue lamentele
sulle presunte minacce e intimidazioni, lasciando nell’oblio la bocciatura
della sua famigerata sentenza su terroristi e guerriglieri e i suoi errori,
conditi da valutazioni clamorose, sulla vicenda delle intercettazioni UNIPOL di
D’Alema e Fassino.
Negli ultimi tempi si ha la
sensazione che la Forleo
sia continuamente in televisione e sulle prime pagine dei giornali, a parlare
in via più o meno esplicita delle indagini che svolge, con qualche divagazione
sui temi della sua vita personale.
Tra i giudici tuttavia, il
primatista assoluto in fatto di divulgazione alla stampa di particolari
relativi alle indagini che lo riguardano, resta Luigi De Magistris, che anche
prima di discutere innanzi al CSM il suo ricorso contro l’avocazione
dell’inchiesta why not, non ha perso
l’occasione per un’ennesima protesta contro i poteri forti che gli impedirebbero di svolgere le sue indagini sui
potenti.
In sostanza al Pm calabrese
non interessa se in quello specifico frangente rivesta il ruolo di accusato o
di accusatore, l’unica cosa davvero importante per lui sembra essere la
%0Apossibilità di diffondere presso il più ampio numero di organi di stampa le sue
sofferte esternazioni. Tanto è vero che De Magistris afferma a chiare lettere
che i giudici devono poter parlare in
alcuni momenti senza che ciò comporti la
violazione del codice etico della magistratura.
Non ci sono più dubbi sul
fatto che De Magistris e la
Forleo siano gli eredi del pool di “mani pulite”. Proprio
come Colombo, Di Pietro e D’Ambrosio si prestano soccorso a vicenda, aprono le
edizioni dei telegiornali, partecipano ai salotti televisivi, suscitano il
clamore e l’ammirazione delle piazze, prospettano il decadimento assoluto di
tutte le istituzioni all’infuori della magistratura.
Oggi come allora è appena il
caso di domandarsi quale sia l’effetto di un simile comportamento tenuto da
parte di un magistrato.
Se i giudici si limitassero ad
apparire in televisione nella veste di tecnici del diritto o comunque in sede
di commento di problemi di portata generale, non farebbero altro che apportare
un contributo significativo e di sicuro apprezzabile sui temi di attualità
giuridica e di cronaca giudiziale.
Se invece si propongono come
protagonisti di trasmissioni di approfondimento, riguardanti le indagini che
loro stessi conducono, nonostante la diversa opinione di De Magistris,
commettono la più grave delle violazioni deontologiche, perché la loro ansia di
protagonismo va a discapito dei diritti dell’imputato, che fino a prova
contraria resta innocente, e nuoce alle indagini stesse, che nella maggior
parte dei casi, nel clamore mediatico trovano un limite, piuttosto che un
impulso.
Quando poi arrivano
addirittura a cercare in modo frenetico ed a tratti affannoso il sostegno delle
piazze, è chiaro che hanno totalmente perso di vista il proprio ruolo e la
propria funzione.
Chi è semplicemente chiamato
ad applicare la legge al caso concreto non ha bisogno di tifosi e ammiratori
entusiasti, a meno che non intenda fare della propria popolarità il mezzo
attraverso cui delegittimare gli altri poteri dello Stato, invadendone gli
spazi di azione.
La figura del giudice
mediatico non nuoce tuttavia solo al rapporto tra magistratura e politica.
L’effetto più pericoloso è quello che si produce nei confronti dei comuni
cittadini, che hanno il solenne diritto di vedersi giudicare da magistrati
equilibrati, piuttosto che da star del
circuito giornalistico, che si presentano con estrema puntualità ai microfoni,
mentre i fascicoli giacciono e si accumulano sulle loro scrivanie.