Fornero dice la verità e tutti protestano
28 Giugno 2012
di redazione
“Questa riforma rappresenta una scommessa sul cambiamento dei comportamenti. La mia grande paura è di non superare questa sfida. Tutti, non solo i lavoratori, devono capire e cambiare. Questo include i giovani, che devono sapere che un posto di lavoro non è qualcosa che si ottiene di diritto, ma qualcosa che si conquista, per la quale si lotta e per la quale si possono anche fare sacrifici”.
Testualmente, Elsa Fornero nella sua intervista di martedì scorso al Wall Street Journal. Direte, tanto per parafrasare una celeberrima canzone di Antonello Venditti – Notte prima degli esami, ndr – banalità t’avessi preso prima? Nein! Nel Paese più sindacalizzato d’Europa, banalità simili assumono le vesti di una vera e propria rivoluzione culturale. La rivoluzione consistente nel considerare punto di riferimento essenziale di ogni genere di tutela la persona del lavoratore e non, costi quel che costi, ogni singolo posto di lavoro.
Viva Elsa Fornero, quindi. Sebbene il becerume twitteriano si sia immediatamente affrettato a valutare le parole del ministro alla stregua di una gaffe o, peggio, come il tentativo di scardinare diritti e libertà costituzionalmente garantiti. Vero, l’Italia “è una Repubblica fondata sul lavoro” (art. 1) e “riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto” (art. 4). Il lavoro, però. Non ‘il posto di lavoro italo-novecentesco’, spesso – se non sempre – a tempo indeterminato, improduttivo, nonché vero usurpatore del futuro di un’intera generazione: quella degli anni ’80. Non ‘il posto di lavoro’ parassitario al di fuori delle regole della mano invisibile mercatista – da molti, a torto marcio, ritenuta fonte di tutti i mali del globo terracqueo – e della libertà imprenditoriale di creare buona occupazione.
“Il lavoro è obbligo e impegno d’onore di ogni cittadino idoneo al lavoro, secondo il principio: chi non lavora, non mangia”. Un altro estratto della famigerata intervista del ministro al Wsj? Tutt’altro. Si tratta dell’art. 12 della Costituzione sovietica del 1936. Socialismo reale in salsa staliniana, altri mondi ed epoche. Eppure, un minimo comun denominatore, un trait d’union tra tale dettato costituzionale e le parole di Elsa Fornero sembra esservi: il lavoro si conquista giorno per giorno, non essendo affatto una manna dal cielo o un diritto acquisito per nascita.
La ‘banal-verità’, ci si perdoni il neologismo, di Elsa Fornero pare abbia tra le altre cose causato la nascita di un’insolita (ed inquietante, diciamolo) alleanza. Una sorta di convergenza parallela padan-comunista. Da un lato, la Lega Nord, con il Senatore Gianvittore Vaccari a dichiarare stizzito: “Il lavoro è un diritto. Il ministro Fornero ha giurato sulla Costituzione (di uno Stato non riconosciuto dal Carroccio, ndr) o su Topolino”? Dall’altro, il segretario di Rifondazione Comunista, Paolo Ferrero: “Le parole del ministro Fornero sono aberranti”. Neanche lui ha letto Stalin? Molto male per un veterocomunista ortodosso.
di Eugenio Del Vecchio