Forse è il momento di riproporre l’elezione diretta del Presidente

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Forse è il momento di riproporre l’elezione diretta del Presidente

13 Febbraio 2009

I costituenti si interrogarono a lungo sulla necessità dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Già nel 1948 questo equilibrio tra i poteri dello Stato appariva minacciato dalla preminenza che il Parlamento assumeva con l’art. 67 della Cost. la quale si temeva potesse generare assemblearismo e consentire estremismo extraparlamentare e frazionismo parlamentare.

Vittorio E. Orlando, in un famoso discorso innanzi all’Assemblea, sostenne che il Capo dello Stato tratteggiato dalla Costituzione non aveva forza sufficiente per contrapporsi ad una Assembla che deteneva “tutte le leve” del potere ed all’orizzonte vedeva stagliarsi la figura del Primo Ministro che per contrasto evolutivo con il Parlamento avrebbe finito per concentrare su di sé “tutta l’autorità effettiva”. Le congiunture storiche acuirono i pregiudizi della Sottocommissione e della Commissione su forme di rappresentanza diretta, sebbene in sede di voto non si formò una maggioranza chiara sul criterio di elezione del Presidente della Repubblica (in Sottocommissione il progetto venne addirittura bocciato).

Il sistema dell’elezione indiretta fu comunque sancita il 21 gennaio 1947 in Adunanza Plenaria ma Meuccio Ruini nella relazione presentata all’Assemblea il successivo 6 febbraio continuò ad sostenere “che, senza arrivare alla identificazione americana col capo del governo, fosse da ammettere la designazione del capo dello Stato da parte del Popolo …….., in mezzo alle fluttuazioni di forze e di partiti, che non consentono … decise prevalenza e sicurezza di governi.” Orlando e Ruini non erano profeti ma l’intuito politico di cui erano dotati attribuiva loro la lungimiranza per prefigurarsi i gradi di deriva che, la trasformazione della Società liberal-socialista in Società multipartitica avrebbe imposto all’evoluzione del sistema istituzionale adottato. A distanza di sessanta anni, l’elezione dei Deputati e dei Senatori con liste bloccate e l’indicazione del candidato Primo Ministro (L. n. 270/2005) ha normativizzato l’esito di una evoluzione della costituzione materiale che pretende il sulla recupero di alcune indicazioni di quei due Costituenti.

L’equilibrio raggiunto nel 1948 è andato difatti perduto per l’evoluzione emancipatoria del Presidente del Consiglio, la nuova prassi giuridico-istituzionale sulla formazione del Governo, la trasformazione del nostro modello di Stato a seguito dell’adozione di un federalismo. Sotto il primo profilo nessuno può negare che il termine “proposta” a proposito della nomina dei Ministri da parte del Presidente della Repubblica, ha acquistato il significato di “designazione” e perduto quello originario di “indicazione”. Data la legge elettorale in vigore il Presidente del Consiglio dei Ministri  è difatti investito da un mandato popolare espresso: sul suo nome, sul programma della sua coalizione e sulla indicazione, ed è avvenuta, delle personalità che intende coinvolgere per attuarlo. Questa investitura attribuisce di fatto al Presidente del Consiglio la legittimazione a “nominare” i Ministri ed, ancorché possa apparire una violazione della lettera della Costituzione, si fonda su una nuova norma di costituzione materiale che non può essere violata senza negare performatività ai principi di partecipazione e decentramento.

Quanto al recepimento costituzionale e poi legislativo delle istanze federaliste, esse hanno modificato la distribuzione della potestà sovrana fra i componenti l’ordinamento statuale. Per l’effetto i confini disegnati dalla Costituzione in termini di rapporti fra Stato ed enti minori sono stati frantumati mentre l’ordinamento regionale mantiene solo la denominazione dell’originario modello del 1948 e del 1970. La Repubblica Italiana rimane parlamentare ed a base unitaria ma la novella dell’intero Titolo V della Costituzione le assicurano un adattamento evolutivo sintonico con la Società, perché realizzano le condizioni per un’effettività progrediente del principio di partecipazione: il “primitivo genetico” del nostro ordinamento istituzionale.

C’è infine un terzo motivo che consiglia di assicurare al Presidente della Repubblica omologia evolutiva con gli altri poteri costituzionali. Dopo un breve periodo di abdicazione, i Partiti hanno recuperato il ruolo di cinghia di trasmissione tra volontà popolare e Istituzioni. Lo hanno fatto grazie al sistema elettorale nel proporzionale, a coalizione, con premio di maggioranza e senza possibilità di indicare preferenze (L. n. 270/2005). Con l’adozione di questa legge in Italia “votare” non è più “soltanto votare” visto che le ultime elezioni politiche hanno ridotto d’autorità il frazionismo partitico e indirizzato le forze politiche sulla via dell’aggregazione. Gli elettori hanno così dimostrato di sapersi affrancare dal giogo delle forme e limiti in cui la Costituzione imbriglia  l’esercizio della loro sovranità. E non è peregrino ipotizzare che sulla base delle stesse indicazioni si potrebbe rivendicare la legittimità dello scioglimento governativo del Parlamento per sopravvenuta estinzione della coalizione vincitrice delle elezioni. Tutte queste considerazioni dimostrano che il Presidente della Repubblica come fulcro nell’equilibrio tra i poteri dello Stato e tra questi ed i Cittadini è vulnerato e le sue qualità di rappresentante l’unità nazionale e garante della Costituzione sono insidiate.

Ma per ricostituire l’equilibrio istituzionale perduto non occorre alcun ampliamento delle sue prerogative e poteri del ma solo una fonte di legittimazione nuova ed idonea a rilanciarne la natura di organo neutro, super partes ma censore dello sconfinamento dei poteri. Una fonte idonea a recuperare il suo raccordo con Società a corredo della responsabilità di garantire costante armonia fra elettori ed eletti. Una fonte che renda ragione del suo ruolo di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura e dunque sincronica la sua evoluzione con la imminente riforma della Giustizia la quale si annuncia centripeta alla riduzione della distanza fra giudicanti e giudicati ed alla trasformazione dell’organo di autogoverno dei Magistrati in organo di governo dell’Ordine Giudiziario attraverso la riforma dei criteri di composizione. Sotto tutti gli indicati profili, il Presidente della Repubblica è zavorrato dal fatto di essere esclusiva e diretta espressione del Parlamento e di una sparuta rappresentanza delle Regioni: un doppiamente indiretto collegamento con il Popolo, dato che i Parlamentari sono oggi eletti su designazione dei vertici dei Partiti !

Per liberarlo da questa zavorra non è però necessario modificare la sua natura giuridica ed intervenire sui suoi compiti e funzioni ma appare sufficiente stabilirne l’elezione diretta a suffragio universale. L’insofferenza verso la litigiosità all’interno delle coalizioni politiche ed il gradimento per una maggiore stabilità di governo ha indotto la Società italiana a premere per la rirubricazione dei ruoli del Presidente del Consiglio, del Parlamento e della Magistratura. Si tratta di sintomi che impongono di assecondare la sottesa richiesta di maggiore partecipazione aggiornando anche il meccanismo di elezione del Presidente della Repubblica. Si tratta in fondo di una istanza antica, che si ripropone oggi, insieme ad altre, con rinnovato vigore per l’accresciuta distanza tra volontà popolare ed istituzioni. Gli Italiani hanno comunicano che per loro la Democrazia non è “solo votare” ma indirizzare, e che se li si costringe solo a “votare”sanno punire oltre ogni oltre aspettativa.

Flavio De Luca

docente di organizzazione dei pubblici poteri

Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione