Forza Italia non è in ritardo sul Pd, ma 14 anni in anticipo
01 Novembre 2007
La discussione sul
Partito Democratico sta provocando consensi e dissensi di tipo “trasversale” e
ciò va registrato oggettivamente, non polemicamente. Un consenso nel centro
destra, quello di Giuliano Ferrara, a mio avviso è in primo luogo una
testimonianza di fantasia politica e di curiosità nel senso positivo del
termine per qualunque cosa di nuovo emerga in un sistema politico in crisi. C’è
poi un’altra ragione più di fondo: Giuliano ha sempre stabilito un rapporto con
un leader, non con un partito: così Giuliano fu con Craxi, mai con il PSI in
quanto tale; adesso Giuliano Ferrara è, sia pure a modo suo e criticamente, con
Berlusconi, ma ha sempre guardato con distacco Forza Italia come partito. Per
altri, nel centro-destra, la “simpatia” per il Partito Democratico è invece un
modo indiretto per prendere polemicamente le distanze dallo stesso Berlusconi e
da Forza Italia così come adesso è o è diventata. Tutte posizioni legittime,
dal punto di vista del dibattito. Ma passiamo alla sostanza. Nel merito, chi
scrive è in totale dissenso da questi entusiasmi per il Partito Democratico,
sia per come è nato e si è strutturato, sia per la sua leadership, che è quella
di Veltroni.
Non è tutto oro
quello che riluce grazie ad una martellante campagna di stampa e di
televisione: ad un certo punto dello svolgimento delle primarie sembrava che in
Italia fossero in corso le elezioni politiche nazionali, e che ad esse si fosse
presentato un partito unico, il Partito Democratico, con tre candidati: uno
straripante Veltroni, e due figli di un dio minore, Bindi e Letta, consentiti
per dimostrare che si trattava di un suffragio democratico. Detto questo,
aggiungiamo anche che non crediamo ai quattro milioni di Prodi, né ai tre
milioni di Veltroni, pur ritenendo comunque
elevata una partecipazione a metà di queste cifre. Però dai quattro
milioni di Prodi è iniziato il processo a cascata che ha provocato la
formazione del Partito Democratico: da un lato D’Alema e Fassino, dall’altro
Marini e Rutelli hanno avuto timore di essere travolti dal consenso della
primarie per Prodi e hanno dato via libera al processo di formazione del
Partito Democratico. Poi sono avvenuti due fatti in origine imprevedibili:
Prodi al governo ha fallito sia come leadership personale, sia come espressione
di una coalizione fondata sull’intesa fra sinistra riformista – centrista e
sinistra radicale: i fatti stanno quotidianamente dimostrando che quella
coalizione non funziona qualunque sia il leader che la guida, Prodi o Veltroni
o pinco pallino.
A nostro avviso non è vero che il centro-destra