Franceschini manda la sua “ronda” in un Pd pieno di dubbi

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Franceschini manda la sua “ronda” in un Pd pieno di dubbi

25 Febbraio 2009

Una squadra snella, nove persone, decisa «in solitudine» e «in fretta, perché mancano solo cento giorni alle europee». Il nuovo segretario del Pd, Dario Franceschini, azzera i vecchi organismi dirigenti, dal coordinamento al governo ombra, e tenta di giocarsi di fronte all’opinione pubblica la carta di un mini-rinnovamento interno. Un passaggio necessario per convincere gli scettici che la sua sarà una leadership reale e non soltanto una reggenza tecnica e acquisire una maggiore credibilità e caratura politica rispetto alle tante turbolenze che scuotono il partito, non ultima quella sul testamento biologico.

L’impresa, ovviamente, è tutt’altro che facile. Ma imprimere un marchio non troppo sbiadito di relativa novità al suo mandato diventa un imperativo. E così Franceschini  si allontana da Roma e attinge soprattutto al territorio, chiamando a sé Vasco Errani, presidente della regione Emilia Romagna; Sergio Chiamparino, sindaco di Torino; Fabio Melilli, presidente della provincia di Rieti; Maurizio Martina, segretario regionale del Pd della Lombardia; Elisa Meloni, segretario provinciale del Pd a Siena; Federica Mogherini, parlamentare; Giuseppe Lupo, consigliere del Pd in Sicilia dove il partito è all’opposizione. A Maurizio Migliavacca va la direzione dell’area organizzazione. La segreteria, spiega Franceschini, sarà l’organo politico del partito che «lavorerà a stretto contatto con i venti segretari regionali del Pd» in riunioni che si terranno a scadenza settimanale. Inoltre, azzerato il governo ombra,  verranno scelti dei responsabili delle aree tematiche. «Per queste funzioni – spiega il segretario del Pd – ricorrerò soprattutto all’esperienza e ai parlamentari, perché queste problematiche vengono affrontate in Parlamento». Nessun cambio, invece, per i capigruppo alla Camera e al Senato: «Su questo argomento – sottlinea – i gruppi sono sovrani ma la mia opinione è che è bene non inserire elementi di instabilità in questo momento. E poi Antonello Soro e Anna Finocchiaro hanno lavorato bene. Tra l’altro – ha concluso – nessuno mi ha mai posto il problema dei capigruppo».

La mossa è mediaticamente utile anche per cercare di sviare l’attenzione ed evitare che troppa enfasi ricada sulle nuove divisioni emerse sul testamento biologico. La frattura consumatasi con Rutelli appare, infatti, difficile da ricomporre, dopo che il segretario ha ribadito che la linea del Pd non si tocca e resta quella dell’emendamento firmato da 8 senatori su 10, cioè tutti i componenti della commissione sanità tranne il capogruppo Dorina Bianchi e Claudio Gustavino. Un primo scontro su cui si misurerà la capacità del nuovo numero uno del Pd di affrontare i malumori interni e prendere posizione. Un salto di qualità assolutamente necessario. Franceschini, infatti, come riporta il sondaggio del giornale quinews.it effettuato in queste ore, piace per il suo volto da persona "dabbene", "leale", "sincera" e "genuina" ma dal punto di vista politico la perplessità" regna sovrana. Il neo segretario del Pd in un’indagine effettuata dal giornale ‘quinews.it’ (www.quinews.it) su 1.000 intervistati online, distribuiti per fasce d’età, collocazione geografica e sesso, vince in termini di "estetica" politica ma non in quella "sostanziale", dove a farla da padrone sono i "dubbi", le "incertezze" e i "non so", "non saprei" degli interpellati. Per il 75% degli intervistati, Dario Franceschini ha l’aria del "bravo ragazzo", dal quale "acquisteresti l’automobile usata ad occhi chiusi": il successore di Veltroni espande "tranquillità", umanità", "serietà" e "onestà". Per il 40% degli intervistati, dal punto di vista politico, è però tutto da "scoprire".

Se la personalità di Franceschini è ancora avvolta nelle nebbie, inizia a diventare confusa anche la posizione politica e culturale della sinistra sull’immigrazione. Negli ultimi giorni, infatti, si sono moltiplicate le autocritiche rispetto all’ approccio eccessivamente buonista che da sempre accompagna la sinistra su questo tema. Voci fuori dal coro che coinvolgono la società civile ma anche gli stessi quadri politici.

Ha fatto discutere, ad esempio, nel giorno del varo del decreto sicurezza del governo, l’intervista al Corriere della Sera dell’ex ministro Livia Turco: “Sì, è successo anche a me. Sull’immigrazione appartenevo alla cultura del ‘ti accolgo, punto e basta’. Sbagliavo. Pensavo che contasse solo la solidarietà, poi ho capito che servono regole severe. Non c’era un’ideologia che mi accecava, la pensavo così in buona fede…la verità è che non possiamo accogliere tutti”. Un “outing” che era già stato fatto proprio dal sociologo Marzio Barbagli, autore di un saggio che conferma la crescita costante di reati gravi legati all’immigrazione clandestina. “Sì, non volevo vedere, ero condizionato dalle mie posizioni di sinistra: c’era qualcosa in me che si rifiutava di esaminare i dati oggettivi. E quando finalmente ho cominciato a prendere atto della realtà e a scrivere che l’ondata migratoria ha avuto una pesante ricaduta sull’aumento di certi reati, alcuni colleghi mi hanno tolto il saluto”. Ugualmente incisiva la difesa a spada tratta fatta da Filippo Penati della delibera della Provincia di Milano con la quale vengono stanziati fondi per quei sindaci che vogliono istituire le ronde sul proprio territorio. “Alcuni continuano a fare le anime belle, si appellano a principi astratti, giustificano in attesa della soluzione in un futuro modello di società. Ma noi che facciamo nel frattempo? Abbandoniamo i cittadini a se stessi?”. Non bisogna dimenticare quanto detto dal segretario dell’Anm, Giuseppe Cascini: “Con qualche superficialità non si è valutato il rischio criminale dell’inserimento della Romania nella Comunità europea”. Per arrivare, addirittura alla star senegalese della musica, Youssou N’Dour, testimonial di Obama al suo giuramento, che ha deluso i giornalisti che a Sanremo lo hanno interpellato sulle ronde. “Sono favorevole alle ronde, possono essere un modo per garantire la sicurezza”. La necessità di avere regole severe, di mettere al bando del buonismo e archiviare la politica delle porte aperte a tutti, insomma, sta acquistando consensi. Ma senza dubbio questi mea culpa finiranno per tradursi in spiragli gelidi, con il rischio di approfondire ulteriormente le divisioni interne al Pd.