Franceschini parla del declino della destra. Ma il Pd non sa contare

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Franceschini parla del declino della destra. Ma il Pd non sa contare

24 Giugno 2009

Declino della de­stra? Se non lo avessi visto e ascoltato lunedì sera dal vivo, mentre lo diceva in tv, non ci avrei creduto. Avrei pen­sato che i giornali avevano frainteso le dichiarazioni del segretario del Partito democratico, o le avevano forzate un po’, come troppo spesso accade. E invece no, Franceschini aveva detto proprio così: queste elezio­ni sono andate bene, «è ini­ziato il declino della de­stra».

Allora vediamole le cifre di questo declino della de­stra. Per ora il quadro è completo solo per le 62 Pro­vince e i 30 Comuni capoluo­go (più lunga e complessa l’analisi dei risultati dei Co­muni minori). Per capire do­ve tira il vento della politica c’è un sistema molto sempli­ce: contare in quanti casi c’è stato un cambiamento di colore politico, e confron­tare il numero di ammini­strazioni conquistate dai due schieramenti, ossia i passaggi da destra a sini­stra e viceversa. Ebbene l’esito non potrebbe essere più chiaro: su 32 ammini­strazioni che hanno cambia­to colore non ve n’è nean­che una che sia passata da destra a sinistra, perché tut­te – ossia 32 su 32 – sono pas­sate da sinistra a destra.

Né si può dire che esista un’area del paese in cui la si­nistra abbia tenuto: al Nord la destra ha conquistato 11 Province e 5 Comuni, nelle «regioni rosse» ha conquistato 2 Pro­vince e 1 Comune, nel Centro-Sud (dal Lazio alla Sicilia) ha conquistato 10 Pro­vince e 3 Comuni. Il risultato è che ora il centro-destra, tradizionalmente forte nelle elezioni politiche e debole in quel­le amministrative, governa oltre il 50% delle Province e dei Comuni capoluogo in cui si è votato, mentre prima ne go­vernava meno del 16%. Simmetricamen­te, il centrosinistra scende dall’84% al 48% e oggi governa in meno della metà delle realtà in cui si è votato.

Naturalmente può darsi benissimo che il consenso alla destra sia in decli­no, e che le prossime elezioni le vinca la sinistra, specie se si dovesse votare fra quattro anni e nel frattempo il governo non fosse riuscito a combinare gran­ché, o Berlusconi – travolto dai suoi scandali e dai suoi guai giudiziari – fos­se stato costretto a un’uscita di scena poco onorevole. E tuttavia per vedere nei risultati di questa tornata ammini­strativa i segni del declino del centrode­stra mi pare ci voglia una fantasia deci­samente fervida. Se fossi un dirigente del Pd, rifletterei semmai su questa cir­costanza: la disfatta per 32 a zero che il centrosinistra ha subito in questa tor­nata amministrativa non si è consuma­ta in un momento politicamente felice per il centrodestra, bensì in un momen­to di difficoltà e debolezza. Debolezza per le vicende del premier (processo Mills, caso Noemi, caso Patrizia), che secondo i sondaggi hanno allontanato una parte dell’elettorato, soprattutto cattolico. Ma debolezza anche perché, come giustamente notava ieri Massimo Giannini su Repubblica, è probabile che una parte dei leghisti se ne siano andati al mare «preferendo l’affondamento del referendum al sostegno del candida­to dell’alleanza di centrodestra».

Se il centrosinistra ha perso, e perso così sonoramente, nonostante l’avver­sario fosse in un momento di difficoltà, quel che viene da chiedersi non è se sia iniziato il declino del centrodestra ma, tutto all’opposto, se stia continuando quello del centrosinistra. La mia im­pressione è che la risposta sia afferma­tiva, e che gli anni che abbiamo davanti saranno molto duri per il partito di Franceschini. Duri perché è possibile che, a differenza di quanto avvenne nel­la legislatura 2001-2006, le tornate am­ministrative intermedie (a partire dalle Regionali dell’anno prossimo) riservino amare sorprese a un partito che ha nel controllo delle amministrazioni locali una delle sue ragioni di esistenza. Duri perché d’ora in poi il partito di France­schini dovrà convincere gli italiani non solo a preferirlo al Pdl, ma a preferirlo abbastanza da indurli a recarsi alle ur­ne, visto che il «non voto per scelta» sta diventando un’opzione seria per molti cittadini stanchi di questa politica. E duri, infine, perché sarà difficile che qualcosa cambi davvero a sinistra se il Pd e i suoi mezzi di informazione con­serveranno la più tenace fra le eredità dello stalinismo: l’indifferenza ai fatti, la mirabile capacità di capovolgere i crudi dati della realtà.

(dal quotidiano La Stampa)