Franceschini svela il suo odio per il Cav. e la strategia per farlo fuori

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Franceschini svela il suo odio per il Cav. e la strategia per farlo fuori

28 Maggio 2009

 

Ieri a Repubblica ci si chiedeva, tra il serio e il faceto, se Dario Franceschini fosse pagato da Berlusconi. La prima pagina era infatti già pronta con un bel titolone sul Financial Times che definisce il premier “un pericolo per il paese”. E di rinforzo l’intervista alla zia di Noemi firmata dal re del giornalismo d’inchiesta, Giuseppe D’Avanzo.

Invece, per colpa del segretario del Pd e della sua domanda agli italiani (“fareste educare i vostri ragazzi da Berlusconi”), la prima pagina è stata smontata e il titolo principale è diventato: “I figli in difesa di Berlusconi” e la zia di Noemi è finita in un boxino.

Insomma si era capito subito che l’autogol di Franceschini, la sua scelta di attaccare frontalmente il presidente del consiglio nella sua dimensione privata di padre, rischiava di mettere a repentaglio – magari solo per un giorno – la marcia trionfale di Repubblica nelle edicole, nel paese e persino all’estero.

L’attacco di Franceschini e la sua precipitosa e imbarazzata retromarcia sono serviti però a qualcosa di più che non frenare i bollori di Repubblica. Il modo in cui Franceschini ha perso il controllo, facendosi trascinare dall’entusiasmo per una vicenda in cui intravede insperati guadagli elettorali, mostra come al fondo della questione Noemi ci sia solo l’estremo tentativo di distruggere Berlusconi come persona, dopo aver a lungo fallito nel tentativo di batterlo come politico.

E il fatto che Massimo D’Alema vi abbia apposto il sigillo della sua approvazione sostenendo che il segretario “si è mosso in modo assai efficace e ha ridato slancio all’azione del Partito”, completa il quadro con quel tocco di stalinismo che in una polemica mirata al discredito personale dell’avversario non guasta mai.

Il gioco di sponda tra Repubblica, la stampa estera che per tradizione, quando si tratti di Italia, si abbevera solo dalle sue pagine, e il centro-sinistra in cerca di un succedaneo della politica da mettere in campo per le Europee, non ha certo la statura di un complotto, ma ha tutta l’efficacia di quello che gli americani chiamano character assassination.  

Leggetevi la definizione che ne da wikipedia e vedrete quanto questa calzi alla campagna di stampa scatenata contro Berlusconi. Non vi è infatti un addebito preciso, ma solo insinuazioni, sussurri, allusioni che si tengono scrupolosamente al di qua di una possibile querela per diffamazione, ma ottengono un effetto anche peggiore di un’accusa diretta. Non esiste un ipotesi di reato e non esiste una parte lesa. Non c’è nulla di simile al caso di Monica Lewinsky, la quale per prima accusò il presidente Clinton di aver avuto rapporti sessuali con lei nello studio Ovale. Né Noemi, né alcun altro della famiglia accusano Berlusconi della benché minima scorrettezza, semmai soffrono dell’eccessiva esposizione a cui i giornali li hanno sottoposti.

Eppure sul capo del presidente del Consiglio grava un nuvolone nero di accuse impronunciabili e impronunciate, alimentate da un’effervescenza di odio che i suoi avversari politici, Franceschini in testa, mostrano anche involontariamente di nutrire nei suoi confronti. E mentre nessuno, sui giornali o tra i politici, ha il coraggio di materializzare simili accuse, si pretende che Berlusconi stesso le renda palesi e se ne difenda. Per di più rivendicando tutto ciò come un diritto della libera stampa e della democrazia.

Berlusconi ha commesso un solo sbaglio: andare quella notte a Casoria. “Uno statista non va a Casoria”, aveva osservato un autorevole membro del governo. E aveva ragione perché per un momento Berlusconi aveva conquistato la dimensione dello statista agli occhi della stragrande maggioranza degli italiani. Una dimensione che Berlusconi ha a lungo ricercato durante tutta la sua carriera politica e a lungo gli era sfuggita. L’aveva infine colta attraverso un percorso partito dalle discariche di Napoli, passato per una gestione misurata della crisi economica, sospinto dall’impegno personale per le vittime del terremoto e il G8 all’Aquila,  e culminato con un 25 Aprile vissuto da protagonista e applaudito dai partigiani. La notte di Casoria è solo il giorno dopo, il 26 aprile.

Carlo Meroni, un collaboratore dell’Occidentale, mi ha ricordato la lettera che Silvio Sircana inviò a Repubblica dopo essere stato sorpreso lungo una strada frequentata da travestiti. Ne riporto un passaggio: “Non si crocifigge una persona, per una sciocchezza del genere. Non si espone alla gogna mediatica un uomo, per una piccola e stupida deviazione di percorso, in una sera di mezza estate. Se quello che è successo dovesse essere oggetto di qualsiasi analisi di tipo processuale, anche presso il più spietato dei tribunali religiosi, verrebbe derubricato così: il fatto non sussiste. E invece, su un fatto che non esiste, si è montata purtroppo una panna ignobile. Quindi perché avrei dovuto dimettermi? Per una non-notizia? No, non ci sto. Le vere notizie sono altre….”. Sostituite “sera di mezza estate” con “notte di mezza primavera” e vedrete l’incredibile somiglianza delle due storie. Una somiglianza che però finisce qui. Silvio Sircana godette, specie su Repubblica, di una giusta presunzione di innocenza. L’impressione invece è che a Berlusconi nulla sarà risparmiato. Specie su Repubblica.