Francia, attaccando Macron risorge anche la destra moderata

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Francia, attaccando Macron risorge anche la destra moderata

16 Maggio 2019

C’era una volta l’UMP (Union pour un mouvement populaire), storico partito del centrodestra francese capace di portare all’Eliseo Jacques Chirac e Nicolas Sarkozy. Oggi quello stesso raggruppamento si chiama “Les Rèpublicains”, e dalla sua fondazione (avvenuta nel 2015) ad oggi è riuscito più che altro a generare confusione e a relegare un’intera area politica conservatrice un tempo maggioritaria al 15% dei consensi, almeno secondo gli ultimi sondaggi. La situazione difficile del centrodestra moderato francese è nota da anni del resto, tanto che non si può parlare di una vera e proprio ripresa dopo gli anni di Sarkozy, ultimo vero leader del centrodestra. Dopo di lui (e i suoi danni) c’è stato solo un succedersi di lotte intestine, che si sono riflesse nella debole candidatura di François Fillon alle elezioni presidenziali del 2017, dove l’ex Primo Ministro, dato per favorito, arrivò solo terzo. Dalla sconfitta di Fillon i Repubblicani hanno passato due anni difficili che li hanno portati sull’orlo della spaccatura: da una parte l’ala moderata e di lungo corso che appoggiava, più o meno apertamente, il neo-insediato Presidente Emmanuel Macron, dall’altra quella più giovane e cresciuta sui territori che sosteneva la necessità di un avvicinamento al Front National. Le due anime del partito sono state a lungo in lotta tra loro, e per capire quanto profonda questa divergenza è stata basti pensare che ‘Edouarde Philippe, attuale Primo ministro di Macron e quindi principale bersaglio della base Repubblicana, è stato fino a pochissimo tempo fa uno dei principali leader del centrodestra francese ed è ancora un tesserato proprio di LR. A suo sostegno nell’ Assemblea Nazionale si è schierata una pattugia di suoi fedeli ex Repubblicani ridenominatisi “Les constructifs” (versione d’oltralpe dei nostri “responsabili”), a cui all’occorrenza si unisce la quasi totalità del gruppo parlamentare del partito, teoricamente all’opposizione ma praticamente impegnata in un sostegno esterno alla maggioranza (come si è visto in ogni voto di fiducia). L’operazione non piace alla base territoriale, che infatti si è allontana sia nelle periferie che nelle città metropolitane, portando quadri dirigenti e voti a Marine Le Pen. La guerra intestina tra l’anima “alta” e quella “bassa” del partito ha sfiorato più volte la rottura, evitata solo a fine 2017 con l’elezione dell’attuale Presidente, il quarantatrenne governatore della Regione del Rodano Laurent Wauquiez. Il giovane governatore è stato eletto con una schiacciante maggioranza, presentando un programma di dura opposizione ai governi liberali di Macron e con in mente un progetto ambizioso di alternativa di governo. La prima scelta importante della nuova leadership è stata proprio quella di attaccare frontalmente il governo di Philippe (e quindi di Macron), criticandone la politica economica troppo prudente, l’atteggiamento conciliante verso la Germania di Merkel e soprattutto la postura bonaria verso l’Islam.

Alla vigilia delle elezioni europee Wauquiez sta tentando di lanciare chiari segnali di voler voltare pagina, scartando dal listino elettorale tutti i suoi esponenti più vicini a Macron e lanciando una nuova classe dirigente, capace di rappresentare mondi finora poco conosciuti nella politica d’oltralpe e che noi definiremmo identitari. Tra tanti esempi il caso più eclatante e paradigmatico è quello del giovane professore liceale François-Xavier Bellamy: trentatrenne, colto ma non intellettuale, profondamente cattolico e, caso eccezionale in Francia, non proveniente dalla classe dirigente consolidata – quella dell’ENA e della Sorbona, per intenderci – Bellamy è stato fortemente lanciato e sponsorizzato da Wauquiez come simbolo di una classe dirigente che lui vorrebbe più vicina ai piccoli comuni e meno Parigi-centrica. Il professore è solo un esempio della giovane leadership che il nuovo Presidente sta crescendo e che dovrebbe essere, nelle sue intenzioni, capace di coniugare i temi cari al liberismo economico (incluso il taglio alla spesa pubblica) con un accentuato conservatorismo sociale che tenga in considerazione prima di tutto le radici cristiane della cultura francese. Quest’idea, che noi chiameremmo “identitaria”, suona provocatrice in Francia (anche a destra) e lo stesso Wauquiez è finito nell’occhio del ciclone più volte per essersi rifiutato di celebrare di persona i matrimoni gay nella sua città quando era sindaco di Puy-en-Velay, o per aver rilasciato dichiarazioni considerate da diversi giornali islamofobe. Se per certi versi queste posizioni possono ricordare casi italiani, come quello della Lega o di Fratelli d’Italia, c’è da dire che l’operazione di Wauquiez è molto diversa da quella di Matteo Salvini e, per ora, stando ai sondaggi, sembra lontana da eguagliarne il successo. Uno dei motivi di questo mancato scatto potrebbe essere proprio la personalità di Wauquiez: inflessibile, secondo molti egocentrico, decisamente colto (si vanta anche di parlare arabo) e incapace di comunicare alle masse, il nuovo Presidente è anche lui figlio di quella classe dirigente francese (ENA compresa) che riscuote sempre meno consenso tra le persone. In ogni caso, prenendo ciò che ci può interessare dall’Italia, l’esprimento dei Repubblicani francesi è sintomatico di alcune tendenze che vale la pena individuare. Il primo dato politico che emerge dalla linea di Wauquiez e Bellamy infatti certifica, se mai ce ne fosse bisogno, una tendenza del centro che, per sopravvivere, guarda a destra; questo è il caso della CDU in Germania e, nel suo piccolo, della parte di centro che sta confluendo con Giorgia Meloni. In secondo luogo, sulla stessa linea, non può che suscitare curiosità il fatto che la nuova leadership francese sia in condizione di trovarsi, nel nuovo europarlamento, più vicina ai sovranisti che al SPD; se questa tendenza fosse accettata e riconosciuta dal PPE le conseguenze potrebbero essere notevoli sulla prossima Commissione e l’intero assetto europeo.

Per concludere, il dato certo è che si sta riorganizzando, in Francia come altrove, una nuova classe dirigente, disposta a riprendere alcuni valori che la destra moderata aveva perso e lasciato alle ali estreme dello spettro politico. I risultati elettorali di questo esperimento sono ancora incerti, e tuttavia saranno cruciali per comprendere quanto il centrodestra in Europa riuscirà a rinnovarsi per non sparire.