
Fratelli tutti… ma non i critici dello “spirito del Concilio”.

31 Gennaio 2021
di Idefix
Eravamo rimasti all’idea di essere “fratelli tutti”. Ce lo ha detto l’ultima enciclica pontificia. Il documento sottoscritto ad Abu Dhabi da papa Francesco insieme al grande imam di Al-Azhar ci aveva dato a intendere che tale fratellanza potesse addirittura risolversi in una sorta di “religione universale” benedetta dal Dio di ogni credo, indipendentemente dal nome che gli viene attribuito e dal tipo di culto che gli viene tributato. Eugenio Scalfari, assiduo interprete del verbo bergogliano, ci ha spiegato che la concezione del “Dio universale” sarebbe il motore e cardine dell’attuale pontificato. E, per non porre limiti alla provvidenza, l’instrumentum laboris del controverso sinodo sull’Amazzonia aveva dilatato a tal punto la definizione dei “congiunti” da far rientrare nella categoria persino le “piccole sorelline larve”.
Insomma: avevamo inteso che nella “Chiesa in uscita” di papa Francesco ci fosse spazio per tutti. Per i non cattolici, per gli abortisti (vedi sostegno a Joe Biden), per i fautori del “love is love” (vedi accondiscendenza verso gli interpreti della “pastorale lgbt”), addirittura per la Pachamama adorata nei giardini vaticani. E invece ci eravamo sbagliati: anche l’accoglienza bergogliana ha un limite. E questo limite coincide con l’accettazione acritica del Concilio Vaticano II. Insomma: “fratelli tutti”, salvo i tradizionalisti critici nei confronti dello spirito post-conciliare.
La puntualizzazione è arrivata attraverso il discorso pronunciato dal Pontefice ai partecipanti a un incontro promosso dall’Ufficio Catechistico Nazionale della CEI. E non lascia spazio a interpretazioni: “Il Concilio è magistero della Chiesa. O tu stai con la Chiesa e pertanto segui il Concilio, e se tu non segui il Concilio o tu l’interpreti a modo tuo, come vuoi tu, tu non stai con la Chiesa. Dobbiamo in questo punto essere esigenti, severi. Il Concilio non va negoziato, per avere più di questi… No, il Concilio è così. (…) Per favore, nessuna concessione a coloro che cercano di presentare una catechesi che non sia concorde al magistero della Chiesa”.
A questo punto, per intendersi fino in fondo, bisognerebbe aprire un’ampia digressione per distinguere – come si evince dall’insegnamento ratzingeriano (e non solo) e come ha fatto mirabilmente il cardinale Camillo Ruini nel libro “Un’altra libertà”, scritto insieme a Gaetano Quagliariello – tra il magistero conciliare e il cosiddetto “spirito del Concilio”, e dunque tra l’ermeneutica della rottura e l’ermeneutica della continuità. Tra coloro, cioè, che ritengono che i documenti conciliari debbano essere letti come un tentativo di trasfondere nel mondo di oggi i princìpi immutabili della tradizione cristiana, e coloro che intendono il “Vaticano II” come una sorta di palingenesi rifondativa. Ma non è questo il punto.
Il punto è che l’intero pontificato di Bergoglio è parso ispirarsi allo “spirito del Concilio” assai più che al magistero conciliare. Di qui l’accoglienza indiscriminata, non già nei confronti delle persone – cosa che non è in discussione – ma nei confronti di teorizzazioni contrastanti con lo stesso diritto naturale. Appare paradossale, dunque, che dopo tanta “fratellanza” si invochi severità nei confronti di chi verso quello “spirito” nutre qualche diffidenza. Qualcosa di anti-conciliare assai più delle critiche alle interpretazioni moderniste del Vaticano II. Un po’ come la misericordia teorizzata in questi anni: il progressismo è misericordia, il conservatorismo va “misericordiato”. E ci siamo capiti.