Frattini non vuol perdere la “guerra di intelligence” in Libia
04 Aprile 2011
Gli insorti libici arrivano a Roma. Oggi il ministro degli Esteri, Franco Frattini avrà un incontro con il "rappresentante per la politica estera" del Consiglio nazionale libico di transizione (Cnt), Ali al Isawi. Una mossa diplomatica che permette all’Italia di proseguire nel suo delicato lavoro diplomatico. Un’operazione che va condotta con la massima discrezione, come testimoniano le parole del ministro: “Stiamo lavorando ad una soluzione di pacificazione della Libia e per il dopo Gheddafi. Ma su nostri contatti, più o meno segreti, non è il caso di entrare in dettaglio”, ha detto dall’Argentina dov’è stato in visita ufficiale. Fonti vicine alla Farnesina hanno confermato che nella fase iniziale della crisi libica erano state principalmente le intelligence e realtà non istituzionali a tenere i rapporti con i ribelli. Una pratica diplomatica “border line” ma usuale in situazioni come queste.
La situazione italiana non è facile. Troppo solidi i legami economici e strategici con la Libia per non usare tutta la prudenza possibile. Siamo il paese che ha più da perdere in questa guerra civile. L’attivismo di Francia e Gran Bretagna mira a scalzare l’Italia dal ruolo di partner privilegiato di Tripoli. Per cogliere la portata degli interessi in gioco, basta guardare, alle ormai arcinote statistiche che indicano come la Libia sia il nostro primo fornitore di idrocarburi, oppure agli investimenti in infrastrutture che aziende italiane dovevano effettuare nel paese nordafricano. Il Consiglio nazionale libico di transizione ha assicurato che rispetterà in contratti sulle forniture di petrolio e gas siglate dal regime di Gheddafi. Vero anche che si tratta di contratti di lunga durata (quelli siglati da Eni per l’esplorazione del sottosuolo sono a dieci anni) ma quando si ha a che fare con la voracità e la disponibilità economica delle nuove super potenze come Cina ed India (“inviate” da Gheddafi a sostituire le major occidentali) è meglio stare all’erta e muoversi per tempo.
Il nostro paese continua a chiedere un “passo indietro a Muammar Gheddafi, solo dopo la Comunità internazionale potrebbe così promuovere una pacificazione nazionale del Paese”, ha più volte ribadito Frattini. Infatti lo scenario che penalizzerebbe maggiormente l’Italia è quella di una situazione di stallo sul campo. Una guerra strisciante tra i ribelli e gli uomini rimasti fedeli al Colonnello. Non ci possiamo permettere una Libia territorialmente divisa in preda agli scontri armati. Un quadro destabilizzante e incerto,che però è quello che si è materializzato nell’ultima settimana. L’Italia ha solo una via da seguire. Quella della prudenza e della realpolitik.
Stabilire contatti solidi con gli uomini di Mahmoud Jibril, capo del Cnt ed allo stesso tempo convincere Gheddafi ad andare via senza che torni ad essere il “cane pazzo” che armava i terroristi per compiere stragi in Occidente. Ormai la comunità internazionale ha scaricato il Rais. Non è più un interlocutore valido ed affidabile. Le cancellerie occidentali, ma anche quelle delle potenze emergenti (in verità già emerse) India, Cina, Brasile, Russia,nella realtà dei fatti sanno che presto si dovrà discutere soltanto con i ribelli. Lo stesso discorso vale anche per i paesi arabi. Nel frattempo l’isolamento di Gheddafi inizia ad essere sempre più evidente anche agli occhi del suo clan.
Secondo la stampa britannica il figlio del Colonnello, Saif al-Islam avrebbe tentato di mettersi in contatto con i servizi segreti di Italia e Gran Bretagna. “Nelle ultime settimane ci sono stati diversi contatti – afferma la fonte – Saif conosce molte persone in Inghilterre e sa come entrare in contatto con i servizi. «Di recente Saif è ricorso a degli intermediari, ci sono stati diversi tentativi di verificare il clima» aggiunge una fonte del Daily Mail, sostenendo che Gheddafi jr. sta “trattando anche con gli italiani”. Intanto è stato in missione a Londra di Mohammed Ismail, funzionario libico molto vicino al figlio del Rais, a nome di Saif e dei fratelli Saadi e Mutassim, per dei colloqui con esponenti del ministero degli Esteri.
Frattini nasconde un velo di irritazione quando in Sudamerica rimbalzano le notizie di stampa britanniche second o le quali non solo gli inglesi starebbero trattando con personalità del regime del rais ma avrebbero spinto affinchè uno degli uomini chiave del regime di Gheddafi, il ministro degli Esteri Mussa Kussa, preferisse Londra a Roma per la sua fuga da Tripoli. “Anche noi abbiamo le nostre iniziative” diplomatiche e sono “altrettanto importanti”. Ma “con una differenza: non le raccontiamo” alla stampa, ha voluto stigmatizzare il capo della diplomazia italiana. Il piano dell’Italia è semplice ed è il solo attuabile. Alternative realistiche non ce ne sono. “Accompagnare” Gheddafi lontano dal suo paese mentre si intrecciano rapporti con chi si appresta a prendere in mano lo scettro del potere in Libia. E’ questa l’unica via che ci porterà a Tripoli.