Frattini vuol convincere la Clinton che l’Italia è un alleato indispensabile

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Frattini vuol convincere la Clinton che l’Italia è un alleato indispensabile

26 Febbraio 2009

Domani il ministro degli esteri, Franco Frattini, incontrerà il Segretario di Stato americano Hillary Clinton. Frattini arriva alla fine della seconda tornata di incontri dedicati agli europei – Regno Unito, Francia e Germania (oltre alla Repubblica Ceca – UE) nella prima settimana; Spagna (presidente di turno del Consiglio d’Europa), Polonia, Grecia (presidente di turno dell’OCSE) e Italia a questo giro.

Nel suo giro pre-elettorale, Obama era andato in Francia, Germania e nel Regno Unito e, durante la sua audizione al Senato, la Clinton aveva dichiarato che gli Stati Uniti lavoreranno a stretto contatto con gli alleati europei – Gran Bretagna, Francia, Germania e Europa orientale. E’ questo un segnale che l’Italia conta sempre meno a Washington? No, ma è sicuramente un segnale che un retuning – da entrambe le parti – sarebbe benefico.

L’amministrazione americana riconosce l’importante ruolo che l’Italia svolge in aree cruciali del mondo, dall’Afghanistan al Libano ed oltre. Eppure, si avverte nell’aria un velato senso di (educata) mancanza di considerazione… Perché? Cosa si può fare per rivitalizzare le relazioni USA-Italia?

Venti anni dopo la caduta del muro di Berlino, è necessario ridefinire gli obiettivi delle relazioni Italia-USA. Le relazioni transatlantiche sono state e restano una priorità nella politica estera italiana, ma tutto ciò cosa significa oggi? Il vecchio modo di operare – laddove gli Stati Uniti offrivano sicurezza in cambio di fedeltà e oltre – è una cosa che appartiene al passato.

La sicurezza militare è meno importante al giorno d’oggi, non da ultimo perché la sicurezza non può più essere garantita almeno non nei modi con cui avveniva in passato, come il mondo post 9-11 ben sa. Così oggi le domande da porci sono le seguenti: che cosa vogliono gli Stati Uniti dalle relazioni con l’Italia e viceversa? Quali sono le principali aree di interesse comune? Che cosa può offrire l’Italia agli Stati Uniti che gli altri alleati non possono offrire?

L’Italia è consapevole di non essere una superpotenza e che altri paesi europei – Gran Bretagna, Francia, Germania – possono contare maggiormente negli Stati Uniti. Dopo tutto, sia il Regno Unito che la Francia vantano relazioni storiche con gli Usa che l’Italia non ha. La Germania è invece la principale potenza economica europea. Detto questo, l’Italia contribuisce in modo sostanziale alla governance globale – e specificatamente al raggiungimento degli obiettivi di politica estera degli Stati Uniti. Ci sono poi i legami economici – di cui l’accordo tra Fiat e Chrysler è solo l’esempio più recente di un fecondo interscambio.

Quando vi è una particolare necessità, gli americani sono sempre pronti a bussare alla porta dell’Italia per chiedere aiuto. In Iraq, ad esempio, dove l’Italia è ancora presente con programmi di formazione, la decisione di prendere parte alla guerra non fu basata sull’esistenza di un diretto interesse nazionale, bensì sull’importanza di sostenere l’azione americana. Durante la crisi georgiana, se Sarkozy è indubbiamente stato l’attore principale, l’amministrazione statunitense è stata grata per il ruolo importante ma discreto svolto dall’Italia.

Le richieste statunitensi in relazione ai prigionieri di Guantanamo sono sostanziali e la reazione italiana è stata di gran lunga più positiva di quella della maggior parte degli altri Stati europei, molti dei quali si stanno nascondendo dietro la UE. L’Italia è anche uno dei più importanti contribuenti delle Nazioni Unite, sia in termini finanziari che in termini di uomini e partecipazione alle operazioni di peace-keeping.

Roma ha inoltre un forte richiamo su parti del mondo con cui la nuova amministrazione americana spera di riallacciare i contatti – come si è visto durante l’incontro organizzato a Roma il 5 febbraio sulla riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a cui hanno partecipato 70 paesi per un totale di circa 50 ministri degli esteri.

Ultimo ma non meno importante, l’Italia può anche essere di aiuto alla nuova amministrazione per facilitare le relazioni con la Russia e con l’Iran, rispondendo in tal modo all’offerta di Obama nel discorso inaugurale verso Teheran ("vi tenderemo la mano, se voi sarete disposti a ritirare il pugno") e dell’apertura del Vice Presidente Joe Biden a Mosca durante la Verkunde a Monaco di Baviera. La nuova amministrazione degli Stati Uniti, in effetti, ha un compito difficile con la Russia e gli sforzi diplomatici dell’Italia potranno dimostrarsi un valore aggiunto all’azione statunitense.

Gli Stati Uniti in questi ultimi anni hanno visto la NATO come uno strumento per "arrivare" all’Eurasia. I russi, d’altro canto, percepiscono la NATO come uno strumento aggressivo e sostengono che gli Stati Uniti sono venuti meno alla promessa fatta da Bill Clinton a Boris Yeltsin che la NATO non si sarebbe estesa ai paesi che formavano i loro ex confini. Sicuramente, l’attuale politica estera schizofrenica russa non aiuta molto. Eppure, dalla lotta contro il terrorismo a quella per il disarmo nucleare, all’Iran al Medio Oriente – tutte questioni di grande interesse sia per gli Stati Uniti che per l’Italia – nessuno dei più importanti dossier di politica estera può essere risolto senza la Russia.

I rapporti con Mosca sono al centro delle relazioni transatlantiche. Grazie ai legami economici e politici l’Italia indubbiamente ha una migliore comprensione della Russia e  potrebbe essere di grande aiuto per la nuova amministrazione. Anche con l’Iran, l’Italia vanta storici legami economici e politici e non è percepita come un’antagonista – a differenza di Francia e Regno Unito, come ci ricorda la recente chiusura forzata del British Council in Iran. Non essere stati parte del "5 +1" potrebbe oggi rivelarsi un vantaggio perché l’Italia sarebbe in una posizione migliore per ri-avviare un dialogo con Teheran, per esempio sulle questioni regionali, al fine di ristabilire il livello minimo di fiducia necessaria per poi riavviare anche il dialogo sulla questione nucleare. In altre parole, l’Italia può essere un prezioso intermediario per gli Stati Uniti su una serie di questioni difficili.

Se tutto questo è vero, quale sarebbe la ragione per cui gli Stati Uniti a volte sembrano tenere l’Italia in poca considerazione? Non è certamente una questione di colore del partito politico al potere, è un problema cronico, almeno dopo la fine della Guerra Fredda. Un divario culturale potrebbe essere il cuore della questione. In un paese dove viene sottolineata la virtù – a tutti i livelli – della competizione, della promozione e dell’eccellenza, l’approccio italiano può avere difficoltà a farsi strada. L’Italia ha quindi bisogno di comunicare in modo diverso – vale a dire in modo forse più deciso ma al tempo stesso più coerente.

Gli americani sono sempre stati chiari nel definire i loro interessi nazionali e ad agire di conseguenza. Essi sono anche attenti a risparmiare risorse. Perché, quindi, investire in Italia se l’Italia sarà, in qualsiasi circostanza dalla loro parte?

Senza dimenticare la gratitudine che gli italiani devono agli Stati Uniti per averli salvati per ben due volte, per aver consentito loro un adeguato sviluppo del welfare, grazie al fatto che gli americani si prendevano cura della loro sicurezza, è il momento per l’Italia di cambiare registro. Allo stesso modo, se gli Stati Uniti vogliono continuare a contare sull’appoggio italiano, anche quando questo non costituisca una priorità nazionale italiana di per sé, dovranno impegnarsi a loro volta sostenere gli interessi nazionali italiani, si tratti di acqua minerale o della riforma del Consiglio di Sicurezza ONU.

Federiga Bindi è Visiting Fellow alla Brookings Institution di Washington