“Fuck Trump, Fuck White People!”. Perché i media non dicono chi sono i quattro che hanno torturato un disabile a Chicago

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“Fuck Trump, Fuck White People!”. Perché i media non dicono chi sono i quattro che hanno torturato un disabile a Chicago

07 Gennaio 2017

Quattro under 25 afroamericani sono sono stati incriminati per sequestro di persona aggravato e “hate crime” a Chicago, la città di Barack Obama, divenuta celebre per la sua violenza anche attraverso serie poliziesche che arrivano sui nostri teleschermi. I quattro afroamericani hanno rapito, picchiato e torturato un giovane disabile, prima di essere scoperti e arrestati dalla polizia. 

I quattro di Chicago hanno anche diffuso un video dell’accaduto su Facebook, in cui si vede il disabile che viene ripetutamente preso a calci e pugni, gli vengono tagliati i capelli fino a fargli sanguinare la testa e stracciati i vestiti, mentre i suoi torturatori gli gettano sul corpo cenere di sigaretta. Nel video, gli aggressori urlano frasi contro i bianchi e contro il presidente eletto Donald Trump.

Sui media americani, però, la storia si ripete: quando serve prendersela con i ‘trumpisti’ e far passare i sostenitori del presidente come una manica di violenti, brutti sporchi e cattivi, c’è sempre una prima pagina e un titolo da strillare, anche quando, come vedremo, si tratta di bufale grosse così. Quando invece, come nel caso dei giorni scorsi, i protagonisti appartengono a delle minoranze razziali, e inneggiano contro Trump e contro i “bianchi”, la notizia viene data con la massima cautela, non subito e non in evidenza, almeno fino a quando, vista la gravità dell’accaduto, non si può non darne conto. 

Che ci fosse un doppio standard lo avevamo scoperto già in campagna elettorale: giornali, tv e siti web si erano riempiti di notizie sulla storia della donna 69enne che avrebbe ricevuto un pugno dai sostenitori di Trump durante un comizio (ma l’avvocato della persona incriminata dice che la donna si è inventata tutto); quando invece una giovane elettrice con la maglietta del Don viene presa di mira ad un comizio, con tanti bei giovanotti democratici che le lanciano addosso delle uova insultandola, bisogna rovistare nelle profondità di Google per trovare la notizia. Per non dire della homeless picchiata perché aveva preso le difese di Trump nei pressi della Walk of Fame a Hollywood.

Così, se quattro afroamericani picchiano un disabile e mettono in rete la prova provata dell’accaduto, addirittura il presidente Obama scende in campo per condannare il gesto ma aggiungere che negli Usa non c’è aperta una questione razziale. Insomma, urlare “Vaffanculo i bianchi” e “vaffanculo Trump” non è razzismo. Quando invece, poverina, una ragazzina islamica di New York, per evitare di essere rimproverata dai genitori dopo che era tornata tardi da una festa a casa, si inventa, letteralmente, di essere stata aggredita dai sostenitori di Trump, scoppiando in lacrime quando interrogata dalla polizia è costretta ad ammettere la verità, è solo una bravata di una diciottenne.

Così funzionano le accuse di “razzismo” e “xenofobia” negli Stati Uniti di oggi, ancora sotto il torchio del politicamente corretto. E dei media che gli fanno da amplificatore.