Fuga dalla Norvegia in Polonia per non perdere la figlia: la storia di Silje Garmo e dei servizi (troppo poco) sociali

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Fuga dalla Norvegia in Polonia per non perdere la figlia: la storia di Silje Garmo e dei servizi (troppo poco) sociali

03 Gennaio 2019

Per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale, una cittadina scandinava ha chiesto e ottenuto asilo in un altro Paese dell’Unione europea. Si tratta della norvegese Silje Garmo, mamma trentasettenne che messa in allarme circa le intenzioni del Barnevernet, i servizi sociali norvegesi, di toglierle la custodia della figlia Eira di 23 mesi senza valide ragioni, nel maggio del 2017 si è rifugiata in Polonia, dove con l’assistenza degli avvocati dell’associazione polacca per i diritti umani Ordo Iuris ha richiesto la protezione internazionale.

Nel gennaio 2018, l’Ufficio per gli Stranieri polacco ha dichiarato che la signora Silje Garmo era perseguitata dal Barnevernet norvegese e che un ritorno nel paese d’origine avrebbe significato la separazione dalla figlia senza un giustificato motivo, in violazione dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che garantisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Tuttavia un parere emesso dal Ministero degli Affari Esteri polacco aveva stabilito che la concessione della protezione internazionale alla signora Garmo e alla sua figlioletta non era “nell’interesse della Repubblica polacca”. Sembra che il Ministero avesse basato tale decisione principalmente sulla valutazione degli interessi politici ed economici polacchi in Norvegia, si legge sul sito dell’associazione Ordo Iuris, che pertanto aveva provveduto a chiedere al Ministero degli Affari Esteri una revisione del caso. L’esito positivo della sorprendente richiesta d’asilo, riguardante una cittadina di un Paese dell’Europa del Nord, è arrivato tra l’altro a distanza di pochi giorni del festeggiamento del 70° anniversario della Dichiarazione universale dei Diritti Umani.

Per la signora Garmo tutto è iniziato da quando l’ex marito si è rivolto al Barnevernet accusandola di essere dipendente da antidolorifici, di condurre una vita caotica e di soffrire di stanchezza cronica. Durante la gravidanza, i servizi sociali hanno quindi monitorato lo stato di salute della donna attraverso analisi del sangue alla ricerca di prove inerenti all’eventuale dipendenza, ma non ne è stata trovata alcuna traccia. Tuttavia la macchina dei servizi sociali è andata avanti lo stesso. La vicenda della signora Garmo è stata molto seguita dai media polacchi e ha coinvolto l’opinione pubblica che si è mobilitata in favore della donna, compreso il Primo Ministro polacco Mateusz Morawiecki.

Il portavoce del Ministro degli Affari Esteri ha dichiarato alla testata americana The Christian Post che nel caso in questione sono state tenute in considerazione “le garanzie costituzionali riguardanti la protezione della maternità e della genitorialità, la tutela della vita familiare, la tutela dei genitori e dell’autorità genitoriale contro l’arbitrarietà dell’autorità pubblica, la tutela dei diritti dell’infanzia come linee guida sulle procedure in questioni relative ai minori e alle famiglie”.

Questa decisione rappresenta anche un lume di speranza per tutte le persone che affrontano spesso gli stessi problemi vissuti da Silje Garmo contro il Barnevernet norvegese o l’analogo Jugendamt tedesco. Non è infatti la prima volta che il Barnevernet si trova al centro dell’attenzione dei media internazionali per un operato alquanto discutibile. In agosto la BBC ha mandato in onda un servizio dal titolo “Lo scandalo silenzioso della Norvegia”, in cui si mettono in evidenza diversi casi di bambini sottratti alle famiglie con troppa facilità e senza prove evidenti.

Inoltre molti genitori chiedono la revisione dei rispettivi casi, dal momento che un esperto della commissione preposto al giudizio dell’idoneità genitoriale è stato trovato in possesso di materiale pedopornografico ed è stato per questo condannato. Al riguardo esiste anche un’associazione chiamata “Stopbarnevernet” che si occupa di raccogliere il grido d’aiuto dei genitori a cui sono stati sottratti irragionevolmente i figli e organizza mobilitazioni pubbliche davanti alle ambasciate e ai consolati norvegesi nei Paesi di provenienza dei genitori di nazionalità straniera coinvolti.