Funzionerà il “team dei rivali” di Barack Obama?

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Funzionerà il “team dei rivali” di Barack Obama?

11 Dicembre 2008

Divide et impera. Barack Obama ha assemblato una squadra di avversari per la politica estera. Il modello seguito è quello di Abraham Lincoln (idolo dell’ex senatore dell’Illinois) che chiamò al governo tre suoi ex rivali nelle elezioni presidenziali del 1860. Nacque così l’esperimento, e poi il mito, del “team of rivals”. Le nomine della ex rivale Hillary Clinton Segretario di Stato e dell’ex generale dei marine James Jones Consigliere per la Sicurezza nazionale, come anche la decisione di mantenere il repubblicano Robert Gates al Pentagono sono state accolte generalmente in modo positivo dalla grande stampa americana. Ora, però, qualcuno comincia a chiedersi se questi big riusciranno a convivere senza creare grattacapi al presidente. E soprattutto senza causare sbandate alla politica estera americana. Obama ha più volte sostenuto di trovarsi a suo agio circondato da personaggi con caratteri forti e idee diverse dalle sue. Quello messo in campo, ha insistito, è uno splendido gruppo di idealisti pragmatici. Tuttavia, su alcuni punti caldi, il 44.mo presidente americano potrebbe riscontrare non poche difficoltà nel mettere d’accordo tutte le teste coronate del suo “dream team”. Infondo, ricordano gli storici, qualcosa di simile è già successo ad un altro presidente democratico: John F. Kennedy.

Per quanto concerne l’Iraq, per esempio, Obama ha promesso in campagna elettorale che, una volta alla Casa Bianca, avrebbe concluso il ritiro delle truppe entro 16 mesi. Una calendarizzazione che Gates e Jones sono disposti ad accettare solo con il placet del generale David Petraeus e degli altri comandanti sul terreno. Sull’Iran, invece, è con il Segretario di Stato che potrebbero insorgere le prime frizioni. Come è noto, durante le primarie democratiche, Hillary Clinton ha duramente criticato l’idea di Obama di negoziare direttamente con Teheran ed ha usato un linguaggio molto duro nei confronti della Repubblica islamica iraniana. C’è poi la questione del budget, del come distribuire le risorse tra i diversi Dipartimenti in un periodo di crisi nera per l’economia. Per David E. Sanger del New York Times, Obama potrebbe dar vita ad un epocale rimescolamento delle priorità nella sicurezza nazionale con conseguente espansione del corpo diplomatico. Al riguardo, c’è una statistica che il presidente-eletto ama citare: gli Stati Uniti hanno più persone impiegate nelle bande militari che negli affari esteri. Tuttavia, è difficile pensare che alla Difesa accettino tagli alle spese a cuor leggero, mentre le forze armate americane sono impegnate in due conflitti contemporaneamente.

Un segnale di possibili spaccature, peraltro, si è già verificato all’inizio di questa settimana. Protagoniste due delle donne forti dell’amministrazione Obama: Hillary Clinton e la futura ambasciatrice Usa all’ONU, Susan Rice. Formalmente la seconda dipenderebbe dalla prima, ma tre le due non scorre buon sangue. Rice, che deve la sua fortuna politica al clan Clinton, durante le primarie ha appoggiato il senatore afro-americano. Una scelta che, scrive Matthew Lee dell’Associated Press, Hillary non ha ancora digerito. Così, lunedì scorso, Clinton e Rice si sono recate entrambe nella sede del Dipartimento di Stato, il celebre Foggy Bottom, ma hanno guardato bene dall’incontrarsi. Non solo. La futura ambasciatrice sarebbe intenzionata a creare un proprio staff di transizione a Washington (oltre a quello che le spetta al Palazzo di Vetro di New York) e vorrebbe ottenere da Obama il rango di membro del governo (l’ultimo ad averlo è stato Holbrooke con Bill Clinton) per sfuggire al controllo dell’inviso Segretario di Stato.

Chi invece è convinto della bontà delle scelte di Obama è Henry Kissinger, che parla forte dell’esperienza di chi è stato Segretario di Stato in anni difficili, con Nixon e Ford. Per Kissinger la squadra di politica estera e di sicurezza di Obama è “straordinaria” e incoraggia la speranza che l’America stia superando le sue divisioni. In attesa di vedere il “team of rivals” all’opera, intanto, c’è chi indica un’altra motivazione meno idealista alla base delle scelte di Obama. E che si può riassumere con il vecchio adagio: “Tieniti gli amici vicino. E i nemici ancora più vicino”.