“Fuori i Rom!”, anche se il tema della sicurezza non tira più come una volta

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“Fuori i Rom!”, anche se il tema della sicurezza non tira più come una volta

05 Ottobre 2010

I Rom sono una di quelle minoranze che non amano integrarsi. Il loro stile di vita nomade e un secolo e passa di persecuzioni (400.000 vittime durante il Nazismo) hanno alimentato una mentalità del “noi contro di loro” che li porta a separarsi dal resto della comunità – tant’è che evitano i matrimoni misti con i gadje, i “bianchi”. La colpa della mancata integrazione è anche dei governi europei che non si sono sforzati abbastanza per ottenere risultati concreti. Nonostante Bruxelles abbia messo a disposizione i fondi comunitari per favorire la convivenza, Paesi come la Francia o l’Italia hanno preferito glissare inventandosi i “campi nomadi”, dei ghetti a cielo aperto che proliferano ai margini delle grandi città e in cui le condizioni di vita – lavoro, istruzione, igiene, sanità – sono ridotte ai minimi termini, almeno secondo i nostri standard. Così la situazione degenera fino a quando non accade qualche evento drammatico che riporta questi luoghi al centro dell’attenzione. A quel punto la soluzione diventa il pugno di ferro: sgomberi, espulsioni, gestione ‘militarizzata’ del problema.

E’ accaduto l’estate scorsa in Francia quando il 22enne Luigi Duquenet si schianta con la sua auto contro un posto di blocco della polizia ferendo un agente. I poliziotti aprono il fuoco e il giovane viene ucciso. La notte successiva una cinquantina di rom dell’accampamento di Duquenet attaccano con mazze e bastoni la gendarmeria di Saint-Aignan, distruggendo i piccoli negozi della zona, bruciando automobili e danneggiando le proprietà pubbliche. La rivolta acquista una visibilità nazionale, la Francia è scioccata e il Presidente Sarkozy – uscito malridotto dalle elezioni Regionali – decide di cavalcare l’onda del risentimento popolare associando l’immagine del rom a quella del delinquente. Sarkozy va in televisione e annuncia che i campi nomadi verranno smantellati e i loro abitanti “evacuati sistematicamente”. Nel mese di agosto, 700 rom vengono imbarcati sugli aeroplani per essere rispediti in Romania. Dall’inizio del 2010, la Francia ha espulso 8.300 membri della comunità. Nel 2009, le espulsioni sono state oltre 10.000. Le immagini della polizia in tenuta anti-sommossa che assedia i campi non sono uno spettacolo proprio edificante ma va detto che circa l’80% dei rom che quest’anno ha lasciato la Francia l’ha fatto accettando l’incentivo di 380 euro offerto dal governo. Non sono stati buttati fuori a calci, insomma, e probabilmente molti di loro torneranno indietro clandestinamente quando ne avranno l’opportunità.

Bruxelles ha condannato le espulsioni ordinate dall’Eliseo e all’inizio di Settembre il commissario per la giustizia Viviane Reding deplora la Francia per aver discriminato una minoranza, venendo meno a uno dei pilastri su cui si regge l’impianto comunitario. La Reding esagera nei toni, paragonando le scelte di politica interna di Sarkozy con quanto avvenne durante la Seconda Guerra mondiale; Parigi reagisce con irritazione spiegando che i rimpatri sono in linea con le direttive comunitarie (i governi nazionali possono espellere cittadini stranieri sia per ragioni di ordine pubblico che per altri motivi come la mancanza di un lavoro o le emergenze sanitarie). In patria però il governo deve fare i conti con la fronda dei tribunali che si rifiutano di identificare chi vive nei campi con la delinquenza. Ciò non toglie che i rom, quelli che si danno al crimine, istighino i loro figli all’elemosina, al borseggio, all’adescamento. Secondo il ministro degli interni francese la maggioranza dei furti in appartamento avvenuti negli ultimi tempi a Parigi sono stati commessi da loro. Per quanto discutibile, la decisione presa dal governo francese sembrerebbe un modo di affrontare la questione.

Dopo le scintille, l’Eliseo e la Commissione Europea cercano un appeasement. Il ministero dell’interno di Parigi fa sparire la cosiddetta “circolare etnica” sostituendola con un provvedimento più blando. L’accusa di discriminazione viene ritirata ma Bruxelles agita il cartellino giallo, inviando una lettera di “messa in mora” al Presidente Sarkozy dove si accusa la Francia di non aver trasposto in modo corretto nella sua legislazione nazionale la direttiva sulla libera circolazione dei cittadini europei. Parigi avrà tempo fino al prossimo 15 ottobre per riallinearsi, in caso contrario scatterebbe la procedura di infrazione. Il "caso" rientra ma la questione Rom, il modo in cui l’ha gestita Sarkozy e gli effetti politici che essa ha prodotto sembrerebbero rimettere in discussione la validità del binomio “law & order” applicato all’immigrazione. Il tema della sicurezza, insieme a pochi altri come le tasse, le pensioni o la sanità, è una delle parole d’ordine attorno a cui si gioca la partita elettorale nelle democrazie moderne. Negli ultimi anni è stato “il” tema per eccellenza e durante tutta la sua carriera – da ministro dell’interno a presidente della Repubblica – Sarkozy l’ha imbracciato come se fosse un’arma politica ancor prima di una bandiera ideologica. A questa criminalizzazione degli immigrati ha contribuito il sistema mediatico che esalta tutto ciò che c’è di negativo nel fenomeno riducendo al lumicino le notizie positive, i casi (riusciti) di integrazione e mobilitazione democratica di cui si rendono protagonisti i nuovi arrivati.

Nel momento in cui si trova a dover sciogliere nodi difficili come il fisco o le pensioni, Sarkozy ha usato i Rom come un capro espiatorio – forte dei sondaggi che vedono oltre l’80 per cento dei francesi favorevole alle espulsioni (accade anche negli Usa: la maggioranza degli americani approva la legge contro i clandestini promulgata dallo Stato dell’Arizona). Le presidenziali del 2012 si avvicinano e il tema dell’ordine pubblico può tornare a svolgere il suo ruolo tradizionale di orientamento dell’opinione pubblica. Solo che stavolta qualcosa non ha funzionato. Governare con i sondaggi è un’arma a doppio taglio: se è vero che la maggioranza dei francesi appoggia il presidente sulle espulsioni, a settembre solo il 32% dei suoi concittadini aveva una buona opinione del suo operato politico, un punto in meno rispetto al mese di agosto. Il 64% del campione si è detto scontento o insoddisfatto dall’azione del governo (secondo un sondaggio della rivista L’Express). Mentre in passato Sarkozy riceveva grandi applausi quando usava la forza contro “la canaglie” stavolta ha provocato una levata di scudi generale. Contro le espulsioni si sono pronunciati la Commissione Europea, Benedetto XVI, autorevoli giornali come il New York Times. Non è chiaro se la controversia lo abbia rafforzato o indebolito.

Questa incertezza politica dovrebbe spingere a riflettere il centrodestra europeo. Forse occorre ripensare la gerarchia delle parole d’ordine necessarie a imporsi nella battaglia elettorale. I cittadini dell’Unione sembrano più preoccupati per la crisi economica che dalle questioni legate alla sicurezza o all’immigrazione. Due sondaggi svolti in Italia da Eurispes e Demos indicano che la maggioranza degli italiani, in prevalenza chi appartiene ai ceti benestanti, ritiene che gli immigrati contribuiscano alla crescita economica del Paese (lo pensa il 43,2 per cento degli elettori di destra, il 59,3 per cento di quelli di centro-destra, il 60,4% degli elettori di centro, il 68,4% degli elettori di centrosinistra, il 71,6% di quelli di sinistra). Certo, gli immigrati continuano a essere percepiti come una minaccia ma il dato che c’interessa è che "il pericolo" riguarda sempre meno la sicurezza personale e sempre di più la "concorrenza" economica (ci portano via il lavoro, le case popolari, i servizi…). Uno scenario del genere spiegherebbe perché Sarkozy rischia di finire come un pugile che dà colpi nel vuoto: prima di pensare al Rom che può scipparti il portafoglio, dev’esserci rimasto qualcosa nel portafoglio.

Un’obiezione sensata è che in altri Paesi europei come l’Olanda o la Svezia lo slogan "legge e ordine" continua a rivelarsi utile alle forze politiche conservatrici, radicali, nazionaliste, cresciute di prepotenza nelle storiche socialdemocrazie del Nord Europa. Ad Amsterdam, una città che è profondamente cambiata negli ultimi 15 anni, quella propaganda conviene ancora perché fino adesso non è mai stata fatta nei modi sperimentati da Geert Wilders. Olanda e Svezia scontano un passato ‘permissivista’ verso gli immigrati che favorisce chi utilizza un vocabolario diverso da quello dell’accoglienza. La sinistra europea dal canto suo non sembra intenzionata a rielaborare le sue idee sulla sicurezza o l’integrazione, lasciando campo libero alle destre: gli epigoni del perdonismo anni Settanta – per cui gli immigrati che delinquono lo fanno per colpa del contesto sociale difficile in cui si trovano a vivere – conservano intatta la loro leadership, come quel Martin Schulz che ha invitato la Commissione Europea a “non lasciare la presa sulla questione della discriminazione” in Francia.

In Francia però governa la destra e se le cose non funzionano non si può incolpare chi era al potere fino al giorno prima, com’è avvenuto in Svezia o in Olanda. Francia e Italia, come la Slovacchia, la Repubblica Ceca, la Romania, hanno adottato provvedimenti restrittivi contro i rom e più in generale i clandestini. Hanno potuto e possono farlo perché le direttive europee glielo consentono, nonostante la Commissione abbia inclinazioni opposte a quelle dei parlamenti nazionali democraticamente eletti. Ma la domanda è quanto consenso possono ottenere i leader politici spingendo sull’acceleratore delle espulsioni, mobilitando l’esercito e la polizia, pattugliando le frontiere, nel momento in cui il consenso stesso deriva principalmente dal modo in cui si gestisce la crisi economica? Il ministro degli Interni italiano, Roberto Maroni, ha spiegato con prudenza: “Non è necessario che immigrazione e sicurezza siano temi su cui il governo debba chiedere la fiducia, perché non abbiamo bisogno di nuovi provvedimenti legislativi. Tutti quelli che erano nel programma sono già stati approvati. Si tratta di dare loro piena attuazione ma questo spetta al Governo”. Se davvero dovesse materializzarsi l’ipotesi di elezioni anticipate, il premier Berlusconi farebbe bene a ricordare le parole di Maroni per evitare quella incertezza politica in cui è piombato Sarkò.

Va fatta infine una considerazione sull’esito dello scontro fra Parigi e Bruxelles. La stampa ha dato ampio risalto all’accusa di discriminazione, lasciando sullo sfondo l’eventuale infrazione della direttiva sulla libera circolazione dei cittadini europei. Sull’onda dell’accorato discorso pronunciato dal commissario Reding è passata l’idea che sta più a cuore alle sinistre, la difesa delle minoranze, che a pensarci bene non è una prerogativa di una parte politica ma un valore in sé. Il politicamente corretto ha finito per offuscare l’altra pendenza di Parigi, quella sulla libera circolazione, come se una avesse meno importanza dell’altra. Non è così. Coloro che ritengono di poter frenare i processi di mobilità in Europa, fissandosi sull’idea di frontiera ereditata dal Ventesimo secolo, finiscono per distorcere lo spirito della globalizzazione. Le lobby nazionaliste e ostili al “big-business” se la prendono con i più deboli ma perdono di vista il cuore della questione: il lavoro, il benessere, il desiderio di arrivare a una comune identità europea. Anche se non è detto che i Rom di quella comunità sentano di fare parte.