G20, quello che non si è detto sull’incontro tra Obama e Medvedev

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G20, quello che non si è detto sull’incontro tra Obama e Medvedev

02 Aprile 2009

Non basta la “diplomazia fotografica” di Silvio Berlusconi che ha spinto Obama e Medvedev a farsi una bella foto uno accanto all’altro nel tradizionale ritratto dei leader del G20. Non bastano le dichiarazioni di Medvedev ("Obama sa ascoltare e risponde in modo sincero e dettagliato") o del portavoce del ministero degli esteri russo Nesterenko che ha definito l’incontro di ieri un “avvenimento di grande portata” che “ha soddisfatto le attese di Mosca”. Né possiamo accontentarci della prossima data fissata per far proseguire il dialogo, il “G2” previsto a Mosca per l’estate prossima.

Non basta nulla di tutto ciò per affermare che le relazioni tra Usa e Russia sono cambiate e che la Russia oggi è un partner più affidabile per l’America, dopo i “tempi bui” di Bush. Perché sono ancora molte le questioni rimaste irrisolte.     

Partiamo dai negoziati sulla riduzione degli armamenti strategici che dovranno sostituire il trattato “Start 1” in scadenza a fine anno. E’ stato questo l’argomento a uso e consumo della stampa che ha tenuto banco durante l’incontro tra i due capi di stato. Ma che a ben vedere ha giovato più a Medvedev che a Obama. “E’ un buon modo per cominciare” aveva spiegato il presidente americano prima del suo arrivo nella capitale inglese. E senza dubbio tireremo tutti quanti un bel sospiro di sollievo quando che le due potenze ridurranno ulteriormente il loro arsenale nucleare strategico, considerando che l’obiettivo prefissato una decina di anni fa era di scendere a un migliaio di testate ognuna, mentre invece, ad oggi, gli Usa continuano ad averne 3.575 e la Russia 3.113 (secondo un calcolo del Carnegie Endowment for International Peace).

Il disarmo, però, è più un problema russo che americano. Mosca ha un’industria della Difesa che rischia seriamente di andare in fallimento e i costi per la manutenzione del suo arsenale missilistico sono assai gravosi. Così parlare di pace e di disarmo può essere molto conveniente se i problemi sono da un’altra parte. Non è il caso di indagare su quante sono le testate che Mosca ha in mente di smantellare, né come intende farlo. Il punto dirimente è che non è possibile scindere la rinegoziazione sui rispettivi arsenali dalle altre questioni strategiche che interessano le due potenze.

Non siamo pregiudizialmente contro la Russia che fa i suoi interessi nazionali come qualsiasi altro Paese al mondo. Il problema è capire chi ci guadagna e chi ci perde nel “grand bargain” tra russi e americani che dovrebbe spingere Mosca a 1) fare pressioni sul governo iraniano affinché blocchi il suo decollo nucleare e 2) aiutare gli Usa a far arrivare truppe fresche in Afghanistan, in cambio della rinuncia americana a 1) il progetto dello Scudo Spaziale in Europa Centrale, 2) i piani di espansione della Nato verso i Paesi dell’Europa Orientale, 3) la fine dell’impegno americano nel “Cortile di Casa” russo, compreso il Caucaso. Di tutto questo, a Londra, si è parlato troppo poco e molto fra le righe.  

La verità è i negoziati sul nucleare non sono un modo per appianare le ostilità tra le due potenze. Obama ha fatto sapere che gli Usa non riconosceranno mai l’Ossezia del Sud e l’Abkazia, le due regioni separatiste e filorusse della Georgia. Ha aggiunto anche che la posizione di Mosca sul concetto di “sfere di influenza” non è “un’idea in linea con il XXI secolo”. Delle due richieste fatte dagli Stati Uniti, invece, fa sorridere che nella dichiarazione congiunta rilasciata ieri da Obama e Medvedev si invita l’Iran a collaborare con le Nazioni Unite per mostrate la "natura pacifica" del suo programma nucleare. Praticamente quello che Teheran sta facendo da anni. Investire nel nucleare civile, no? Sul secondo punto, la Russia ha detto di essere pronta a cooperare con gli Usa sul transito dei convogli militari diretti in Afghanistan. Secondo il portavoce Nesterenko “fino adesso non ci è giunta alcuna richiesta ufficiale da Washington”, ma non sono proprio i russi che hanno fatto pressioni sul Kyrgyztan per spingerlo a sfrattare gli americani dalla base strategica di Manas?

Mosca sta giocando una partita al rialzo per ridefinire gli equilibri strategici e militari in modo da ridurre gli spazi di manovra americani e rinforzare la propria posizione. Come ha spiegato Ariel Cohen della Heritage Foundation, il “Nuovo Cremlino” non va scambiato né con lo sclerotico regime brezneviano alla fine degli anni Settanta, né con il declino sovietico dell’epoca di Gorbaciov. La leadership russa di oggi è giovane e determinata. A parole, il rappresentate russo alla Nato, Rogozin, continua a non escludere una adesione della Russia nell’Alleanza Atlantica, anche se “attualmente non ci piacciono tante cose che avvengono nella Nato”. Ma il 34 per cento dei russi non sa neppure cos’è la Nato, il 10 per cento la ritiene una forza aggressiva e per un altro 12 per cento dovrebbe essere smantellata.

Per i padroni del Cremlino, in sostanza, il mondo “multipolare” è una realtà in cui la Russia può controbilanciare la potenza degli Stati Uniti (insieme alla Cina, all’Iran, alla Siria e al Venezuela). Che ci può anche stare visto quello che abbiamo detto sui rispettivi interessi nazionali. L’importante è non accontentarsi delle grandi dichiarazioni di principio del G20 e smuovere un po’ il fuoco che cova sotto la cenere. Magari si potrebbe evitare un’altra Guerra in Georgia.