G8 di Trieste: si parla di Afghanistan anche senza Teheran

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G8 di Trieste: si parla di Afghanistan anche senza Teheran

27 Giugno 2009

Si è aperto giovedì sera a Trieste la riunione dei Ministri degli Esteri del G8 che sta affrontando i temi internazionali più caldi, dalla sicurezza alla lotta al terrorismo, dalla proliferazione nucleare al fenomeno sempre più preoccupante della pirateria. Ma soprattutto si è parlato (e si parlerà ancora oggi) di Iran ed Afghanistan. Il  Chairman’s Statement, infatti, contiene un messaggio, diretto a Teheran, che “deplora” (ma non condanna) i mullah per le “violenze post-elettorali , che hanno portato alla morte di civili iraniani”, esprime “solidarietà a coloro i quali hanno subito la repressione mentre manifestavano pacificamente” e richiama l’Iran al “rispetto dei diritti umani fondamentali, inclusa la libertà d’espressione” ed a “garantire che la volontà degli iraniani si rifletta nel processo elettorale”. Un testo che è ha comportato un importante lavoro di limatura per mettere d’accordo i governi occidentali e quello russo, estremamente cauto a non chiudere la porta del dialogo persino di fronte alla violenza dei mullah contro il proprio popolo (non a caso la Russia è stato il paese che per primo ha accolto in veste ufficiale Ahmadinejad all’indomani delle elezioni tanto contestate e che hanno dato il via alle proteste dei cittadini iraniani).

Proprio a causa del comportamento del governo di Teheran è saltata all’ultimo momento la partecipazione al G8 del ministro degli esteri iraniano, Manouchehr Mottaki, nonostante il tentativo dell’Occidente di coinvolgere l’Iran nelle discussioni sulla stabilizzazione del teatro afgano-pakistano (AfPak). Ancora una volta Teheran non ha saputo cogliere l’opportunità di dimostrare la propria volontà di svolgere un ruolo positivo nella stabilizzazione dell’area, rispondendo alla mano tesa dell’Occidente con l’ennesimo schiaffo. L’occasione era particolarmente ghiotta, perché per la prima volta non sono presenti soltanto le delegazioni di Kabul ed Islamabad ma partecipano anche altri paesi impegnati nello sforzo di pacificazione in atto (accanto ai due Ministri degli Esteri direttamente interessati, l’afghano Tangin Dadfar Spanta e il pakistano Makhdoom Mahmood Qureshi ci sono anche i rappresentanti di India, Russia e delle ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale) e le principali organizzazioni multilaterali impegnate nel paese (NATO, UNAMA, UNHCR ed UNODC ). Durante le sessioni di lavoro del G8 dedicate al dossier Afghanistan sono stati affrontati tutti i temi principali, dalla gestione delle frontiere e la lotta ai traffici illeciti (con particolare riguardo alla lotta al narco-traffico e ai crimini correlati, riciclaggio, contrabbando, crimine organizzato, ecc.), allo sviluppo delle infrastrutture nel Paese asiatico, dall’assistenza ai rifugiati ai problemi dell’agricoltura e della sicurezza alimentare.

Il rappresentante degli Stati Uniti, l’inviato speciale Richard Holbrooke (da poco rientrato da una missione nella regione) ha espresso la necessità di un cambio di strategia, come richiesto recentemente dal Gen. Stanley McChrystal, Comandante delle truppe americane in Afghanistan, che nei giorni scorsi ha sottolineato la necessità di cambiare le priorità delle truppe impegnate nel teatro afgano, da “High Intensity Combat” a “Protecting Civilians”. Un cambio di strategia, ufficializzata attraverso nuove regole di ingaggio (attese a breve), che dovrà consentire di riguadagnare la fiducia della popolazione, attraverso una drastica riduzione delle vittime civili. "Quando facciamo qualcosa che colpisce i civili abbiamo enormi probabilità di alienarci la popolazione” ha detto il Generale “e ciò avviene anche se le nostre azioni sono animate dalle migliori intenzioni”. Come avvenuto in Iraq con il famoso surge, anche in Afghanistan le truppe alleate dovranno svolgere il compito primario di protezione della popolazione civile senza il supporto della quale non sarà in alcun modo possibile vincere questa guerra. Ed è proprio alla luce della necessità di cambiare strategia che assume un’importanza particolare la richiesta fatta dagli Stati Uniti all’Italia di aumentare il contingente di militari dell’Arma dei Carabinieri impegnato nelle attività di addestramento delle forze di polizia afgane ANP (Afghanistan National Police). La promessa fatta dal Presidente Berlusconi durante i colloqui con Obama del 15 giugno scorso, di portare a 200 il numero delle unità impegnate nelle attività TCM (Training, Coaching and Mentoring) dimostra che la professionalità dei nostri uomini non solo viene riconosciuta dagli altri paesi alleati, ma viene particolarmente apprezzata per i risultati che riesce a dare.

Gli incontri di Trieste, dunque, sono particolarmente importanti perché riconoscendo la necessità di un cambio di strategia affrontano il problema della vittoria contro il terrorismo talebano e di Al-Qaeda, dimostrando che si è compresa l’importanza della stabilizzazione del teatro AfPak. D’altra parte, come ha scritto sul Washington Post il presidente pachistano, Asif Ali Zardari, “se i Talebani ed Al-Qaeda prevarranno nella nostra regione, la loro alleanza destabilizzante si estenderà attraverso i continenti”. Un prezzo troppo alto da pagare, per questo “il fallimento non è un’opzione”.