Gabbati dalla Gabanelli

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Gabbati dalla Gabanelli

30 Aprile 2012

Nei grandi giornali circola una storiella divertente, quella dell’odore di mocassini. Se entri nella redazione di un quotidiano e annusi la fragranza di una calzatura nuova di zecca significa che i giornalisti locali mettono raramente piede fuori dall’ufficio e preferiscono stare alla scrivania piuttosto che scendere in strada e sporcarsi le mani con la realtà. Ora, certamente Milena Gabanelli ha consumato suole e suole di scarpe; videocamera sulle spalle e taccuino alla mano, come insegna Cechov, ha attraversato indenne la stagione della Rai socialista, de’ sinistra e berlusconiana, facendo del reportage una mistica e una professione di fede (“Professione Reporter”). Nonostante abbia colpito duro e sotto la cintola il complesso politico-industrial-finanziario del nostro Paese, può vantarsi di non avere all’attivo pendenze penali, avendo vinto tutte le cause di risarcimento intentate da quelli finiti sotto il torchio del watch-dog che ogni cosa verifica scrupolosamente e denuncia spietatamente (ma chiedete a Giovanni De Pierro). Si è fatta la fama d’essere una Giovanna D’Arco anti-sistema in un’epoca in cui la contro-informazione passa sempre di più in canali alternativi alla tv, attraverso Internet con Servizio Pubblico o il blog di Beppe Grillo. Decani del giornalismo come Bocca ed esperti della tv come Aldo Grasso l’hanno incoronata regina di un genere «sempre più negletto: l’inchiesta». Premi e riconoscimenti non sono mai mancati. E non saremo noi a sollevare il velo delle controversie, ricordando, nello sfolgorio di “Report”, l’inchiesta complottista sull’11 Settembre, le interviste a tranello in cui è cascato l’ex ministro Brunetta, i tira e molla con la Rai per non passare a La7, le «nozze» con il Corriere della Sera targate “Reportime” (un «capolavoro di comunicazione, marketing e promozione» secondo Dago), quei pranzi all’Hotel de Russie con gli uomini di Sogin raccontati dall’altrettanto bravo Franco Bechis, la bella figura fatta da Passera con l’annuncio dell’auto-espropriazione di titoli in odor di conflitto d’interessi… per finire con la vicenda del giornalista Paolo Bernard, che si era scagliato contro “Big Pharma” e, querelato,  dice di essere stato abbandonato dalla collega. Sgombriamo i dubbi, teniamo a freno le malelingue, ed affrontiamo invece un’altra questione, che non riguarda la professionalità della Gabanelli nel senso tecnico del termine ma piuttosto il mito del "giornalismo obiettivo", le panzane sulla stampa anglosassone aliena da interessi che si raccontano nei master di giornalismo: quella stampa che sarebbe dalla parte del pubblico perché scevra di ideologie. Ed è qui che casca l’asino. Milena Gabanelli, infatti, come qualsiasi persona al mondo, un suo punto di vista preciso sulla realtà ce l’ha. È contro il nucleare tanto per fare un esempio (noi invece no), in un Paese che non aspetta altro se non sentirsi dare conferme in tal senso (contro-informazione o disinformazione?). Oppure, per restare ad una delle ultime puntate di Report, è per la sostituzione del denaro contante con pagamenti elettronici (con Monti che in trasmissione abbozza paternamente): un insulto per chi ha una coscienza libertaria, e non solo, visto che la proposta ha fatto drizzare i capelli in testa anche a un liberal come Franco De Benedetti, economista. Un’idea, quella del denaro elettronico, che piace sicuramente ai “tecnici” (consentirebbe di spiare meglio nel buco del conto corrente degli italiani), ma che, rileggendo un attimo i classici del marxismo sul comodino, circolava già ai tempi della "Lega dei Giusti". Insomma, evviva Report, alziamo forte la lanterna dei valori civici e repubblicani, sempre tenendo presente, però, che puoi essere gabbato. Anche dalla Gabanelli.

(Credits Francesco Del Vecchio)