Galassi (Confapi): “Se mancano le commesse il sistema sprofonda”

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Galassi (Confapi): “Se mancano le commesse il sistema sprofonda”

16 Aprile 2009

Sessantamila imprese associate e un milione e mezzo di addetti. Sono i numeri della Confapi, Confederazione italiana della piccola e media industria privata, uno dei protagonisti della vita economica e industriale del nostro Paese. Lo specchio di uno dei settori in difficoltà che secondo il Presidente Paolo Galassi non è stato ancora tutelato a dovere.

Presidente Galassi, in Abruzzo la Confapi conta 1100 imprese e circa 12mila addetti. Lei è stato uno dei primi a correre a L’Aquila. Cosa ha trovato?

Tanta voglia di rimettersi in gioco. Sono arrivato lì per pagare le prime spese e ho trovato gli associati abruzzesi che con i fondi avevano già ridato vita alla Confapi in un container: erano già stati stanziati 20mila euro per l’associazione (inagibile, dopo la prima scossa)  e 50mila per i lavoratori dell’edilizia coinvolti. Fortunatamente le nostre imprese sono state colpite marginalmente perché la maggior parte non hanno sede a L’Aquila. Stiamo facendo il censimento, c’è qualche capannone inutilizzabile ma speriamo che si possa ripartire nel giro di qualche mese. Oltre ad aver istituito un numero verde e una raccolta fondi straordinaria, abbiamo immediatamente concordato con Comune, Provincia e Regione delle “misure d’emergenza”: dare la cassa integrazione agli operai in attesa che le attività riprendano e trovare, attraverso le banche, dei fondi per le imprese. Insomma, stiamo studiando delle formule per dare la possibilità di effettuare le riparazioni a un basso costo, consapevoli del fatto che il denaro a pioggia non serve ma darlo alle aziende che hanno un fermo lavoro e sono in difficoltà per l’inagibilità dei capannoni è  doveroso.

Voi siete per l’80% l’impresa manifatturiera italiana, quella che produce beni. Vi sentite tutelati?

No. Un intervento deciso non lo abbiamo visto. Molte imprese da 40 a 400 dipendenti (quelle che per il processo di filiera gestiscono anche altre imprese) in questo periodo hanno messo a segno un calo di lavoro altissimo che oscilla dal 30 al 70%. E’ una crisi di mancanza di ordini, di commesse, di lavoro. Serve, oltre alla cassa integrazione, anche la possibilità di accedere a dei finanziamenti per superare l’anno altrimenti rischiamo di ripartire senza avere le imprese che producono. Serve quindi un intervento diretto con l’impegno a finanziare tutta la filiera. E’ qui che il Governo non è intervenuto. Pensi che solo nel settore della fonderia se 1000 imprese cedono, trascinano (solo di sottofornitori) circa 12-13mila piccole e medie imprese. Io dico: non solo cassa integrazione e neppure aiuti a pioggia, soprattutto interventi seri al settore manifatturiero. Il Governo non ha ancora studiato questo tipo di intervento.

Come giudica, più in generale, le misure prese dal Governo per fronteggiare la crisi?

Mi sembra che su auto, banche e casa si sia fatto il possibile. Ma con qalche riserva. Salvare l’industria automobilistica per esempio è giusto a patto che non si delocalizzi. A cosa serve dare soldi in Italia se poi l’impresa se ne va in Polonia o in Turchia? Si dovrebbe prendere esempio dalla Francia. Alla Renault e al gruppo Psa Peugeot Citroën Sarkozy ha detto: “Miei cari ragazzi, se volete essere finanziati riportate il lavoro in Francia”. E ha ragione.

Bene gli incentivi all’auto, quindi, ma cosa pensa del piano casa?

E’ un intervento veloce che fa lavorare molte imprese, soprattutto le piccole e medie imprese. Anche sostenere le banche era una misura necessaria ma c’è stata quasi una dichiarazione di resa sul controllo delle banche stesse.

Sta dicendo che sul fronte creditizio il Governo non ha avuto il coraggio di affondare il colpo?

Dico che quando un ministro dell’economia è costretto a ricorrere ai prefetti significa che non ha il controllo della Banca d’Italia. Noi abbiamo detto che se c’è una banca su cui è bene intervenire quella è Palazzo Koch, così torna sotto il controllo del Tesoro, altrimenti se sono le banche a controllare loro stesse c’è un conflitto di interesse: chi si fa le regole è anche chi esercita. Un maggior controllo dello Stato nel momento stesso in cui queste banche stanno ricevendo molti aiuti, sarebbe semplicemente doveroso.

C’è stata o no una contrazione del credito verso le imprese?

Sicuramente. Il problema è che se i cittadini non spendono, le banche non sono disposte a investire nel manifatturiero. Ecco allora la contrazione del credito. In realtà ci sono molte banche piccole con tanta liquidità in cassa che però, vista la difficoltà attuale nella concessione del credito, anche loro sono tentate di prestare i soldi a un costo più alto di quello che potrebbero praticare ai clienti. In altre parole i tassi di riferimento scendono ma aumenta lo spread (la differenza tra il tasso effettivo pagato dall’impresa e il tasso base, euribor, ndr), cioè il guadagno dell’Istituto, e così l’impresa paga il denaro come prima senza alcun vantaggio. Il risultato è chiaro: la banca sta facendo delle speculazioni e questo deve essere evitato attraverso i controlli.  Anche il sistema dei confidi nasconde delle insidie: la banca riduce l’affidamento ma se l’impresa aderisce ai consorzi di garanzia la banca lascia invariato l’importo finanziabile. Anche qui non ci sono vantaggi per le imprese. Insomma, quel miliardo e 300 milioni stanziato dal Governo corre il rischio, se non ben vigilato, di non essere una liquidità che entra nel sistema ma l’ennesima garanzia alla banca in un momento in cui le banche dovrebbero tornare a fare le banche analizzando quali sono le aziende solide e quali no per dare poi i denari.

I Tremonti bond erano un intervento necessario?

I Tremonti bond sono un grande aiuto. E non è vero che costano così tanto come s’è detto perché vanno a incidere sulla parte del capitale. Se non vengono richiesti mi viene il sospetto che le banche non siano poi così in crisi di liquidità come spesso si vuol far credere. Torniamo al discorso già accennato in precedenza: va bene aiutare le banche, a patto che immettano liquidità nel sistema.

Si va verso la revisione degli studi di settore, cosa pensa al riguardo?

Così come sono applicati in Italia sono uno strumento vessatorio. Si dovrebbe fare come fa l’America, che toglie le altre tasse. Negli Usa il meccanismo è semplice: tu fai il barbiere nella Fifth Avenue a New York, guadagni 100 mila dollari, io ne voglio 33 mila però ti tolgo tutte le altre tasse. Se guadagni 110 va bene per la tua attività, se ne guadagni 90 devi ancora faticare, se non riesci a pagare neppure i 33 devi chiudere perché vuol dire che non sai esercitare bene la tua attività di barbiere nella Fifth Avenue. Da noi è una tassa aggiuntiva a quelle che ci sono già.

Quando usciremo dal tunnel della crisi?

Presto. Entro la fine dell’anno si prevede già un forte cambio di tendenza. Ma fino ad allora teniamo gli occhi aperti.