Gates parla alla NATO perché Obama intenda
14 Giugno 2011
Not with a whimper but with a bang, è uscito di scena così il segretario alla Difesa Usa, Robert Gates: non sospirando ma tuonando, per parafrasare, rovesciandolo il senso, il celebre verso di T.S. Eliot. L’indipendente Gates è sempre stato un uomo che quando parlava lasciava il segno. Sarà stato per la sua esperienza che, dal Vietnam all’uccisione di Bin Laden, lo ha visto muoversi con scaltrezza fra i circoli realisti di Bush Padre, quelli neoconservatori di Bush figlio, fino allo strano miscuglio real-internazionalismo di Obama. Segretario del Dipartimento della Difesa per cinque anni, dal 2006. L’elemento di continuità di due presidenze profondamente diverse tra loro.
Nei giorni scorsi, parlando dell’intervento della NATO in Libia, Gates ha spiegato che "è dolorosamente evidente che le lacune di investimenti e la mancanza di un largo consenso politico possono compromettere la possibilità di condurre una campagna militare integrata, efficace e duratura", disegnando con amarezza il quadro di una Alleanza a due velocità, in cui il 75 per cento delle spese militari vengono pagate dai contribuenti americani i quali, un giorno non troppo lontano, potrebbero "perdere la pazienza". Non è la prima volta che Gates se la prende con gli Alleati. Nel suo discorso alla NATO pronunciato a Washington nel 2010, il capo del DOD disse che la demilitarizzazione dell’Europa, frutto di un generale scetticismo dell’opinione pubblica e delle classi dirigenti verso l’uso della forza militare, avrebbe messo seriamente in crisi la pace e la sicurezza del XXI secolo.
Con buona pace delle teorie post-kantiane sulla fine della storia elaborate dopo il crollo dell’Unione Sovietica, Gates chiedeva conto all’Europa della sua debolezza: perché Bruxelles riesce a impegnare soltanto un centinaio di migliaia di uomini nelle sue missioni internazionali? Perché gli europei non hanno modernizzato i loro arsenali? Da dove nasce l’illusione che il soft power, la diplomazia, gli aiuti umanitari, le missioni civili, siano sufficienti a governare un mondo caotico come quello emerso dalla globalizzazione, minacciato dall’islamismo militante, e dal pericoloso riaffermarsi delle grandi potenze russa e cinese? Nelle cancellerie europee quasi tutti hanno fatto orecchie da mercante.
In Libia, la missione "Comando Unificato" ha già superato i limiti temporali fissati dall’Alleanza ma non ha prodotto il risultato di sconfiggere il Colonnello Gheddafi. Sul terreno, l’esercito lealista resiste alla pressione degli insorti. Il difficile coordinamento delle operazioni, i problemi di munizionamento, le manchevolezze nella strategia della "guerra dal cielo", hanno dimostrato ancora una volta all’America che degli europei ci si può fidare poco, cosa del resto risaputa, visti i risultati in Afghanistan.
Negli ultimi decenni, confidando nel gigante buono americano, gli europei hanno costruito i loro costosi sistemi di welfare inghiottendo i fondi destinati alla Difesa. Gates ne ha per tutti: per gli Alleati che dicono di volersi impegnare da soli ma non ce la fanno, come Francia e Gran Bretagna. La Francia sta spendendo quanto gli Usa in Libia, gli inglesi un po’ meno, considerando che il governo Cameron ha in mente tagli alla spesa militare in futuro. Insieme, gli eserciti di Londra e Parigi non fanno quello israeliano. Come si può pensare di sostituire gli Usa se il budget dei francesi è appena il 6 per cento di quello americano? (il 7 quello degli inglesi). Dire che Washington si sta tenendo in disparte in Libia è una falsità visto che ha già bruciato 664 milioni di dollari per stanare Gheddafi.
Il segretario alla Difesa Usa critica quei Paesi cheprocedono con il freno a mano tirato, avendo abbassato i finanziamenti all’industria militare dopo l’11 Settembre. Ne ha per l’Italia ("Per riuscire a lavorare, il centro delle operazioni aeree in Italia richiede un aumento di specialisti provenienti in larga parte dagli Usa"), per la Turchia, uno dei membri NATO ad aver chiuso maggiormente i forzieri (Ankara sta cercando una soluzione pacifica in Libia), per la Germania e la Spagna, che si sono tirate indietro fin dall’inizio dal guerreggiare con Gheddafi, per la Polonia e il blocco dei "nuovi arrivati" dell’Europa Orientale che ragionano egoisticamente, convinti che l’Alleanza dovrebbe rivolgersi verso il suo avversario storico ed originario, la Russia, per ritrovare la sua identità. L’ultima tegola è stata l’annuncio della Norvegia, che ha fatto sapere di voler prolungare al massimo fino ad agosto la sua missione in Libia.
Gli Alleati devono alzare la spesa militare. Non possono accontentarsi di immaginare la NATO come un’organizzazione che li protegga da pirati reali e virtuali o dai disastri naturali. Tutti devono contribuire al lavoro sporco, compatibilmente con i propri guai interni.
Dice il proverbio che "si parla a nuora perché suocera intenda". E’ possibile che Gates abbia lanciato un messaggio in codice anche ad Obama? Come i leader europei, il Presidente Democratico sta seguendo una politica interna fatta di alta spesa pubblica e forti investimenti federali a detrimento del budget militare. Obama ha in mente di tagliare centinaia di miliardi di dollari al Pentagono nei prossimi 12 anni, e questa cura da cavallo non è mai andata giù a Gates, che ha cercato di contrastarla con un misto di moderazione e discrezione, complicando le cose per il suo successore Panetta.
Gates ha vissuto il suo incarico in modo concorrenziale, disputandosi ogni quarto di dollaro con le agenzie civili (il Dipartimento di Stato e l’Agenzia di Sviluppo internazionale), e aumentando la sua lista della spesa nella convinzione che, in un regime di vacche magre, era meglio puntare alto. Chi lo critica di aver fatto troppe promesse senza ottenere granché – si veda l’agenda sul trattamento sanitario e pensionistico per i veterani – non si accorge che Gates esce di scena da gran signore (sempre che si voglia considerare utile e virtuoso l’apporto dell’industria bellica all’economia e al progresso tecnologico della società americana): le spese per la Difesa, esclusi i costi delle guerre, negli Usa continuano a toccare i 500 miliardi di dollari all’anno; i programmi per rinunciare a nuovi costosi caccia e missili balistici, avanzati dal capo del DOD, si sono infranti contro un Congresso ostile ai tagli.
Così, mentre Obama gli chiedeva, e continua a farlo, un bilancio in discesa, Gates ha frenato il prosciugamento del budget, nella speranza che arrivasse una inversione di tendenza. Le critiche agli europei, dunque, forse andrebbero lette come un dubbio sulle sorti della potenza americana: Obama sarà in grado di preparare adeguatamente gli Usa alle sfide degli anni a venire? "Non ripeteremo gli errori che abbiamo commesso negli anni Settanta e negli anni Novanta, con tagli indiscriminati" ha ammonito Gates, "servono scelte precise su ciascuna voce di bilancio". Se l’America vuole conservare il ruolo di Globocop non può permettersi i tagli lineari di Obama.