Gaudeamus Europa: la Merkel ha già fatto la riforma delle istituzioni europee
27 Gennaio 2012
Di questi tempi, non ci si può esimere dal parlare di Europa, soprattutto se qualche ‘giornalone’ europeo si mette insieme (per l’Italia “La Stampa”) e fa fronte – e apertura di prima – comune con un’intervista al leader politico, ahinoi, più potente del Vecchio Continente: Angela Merkel. La chiacchierata con la Cancelliera Cdu/Csu, ieri sulla prima pagina di El País, la Suddeutsche Zeitung, Gaceta e The Guardian e de La Stampa appunto è, senza esagerazioni (sforzo editoriale a parte, s’intende), molto preoccupante.
Ogni passo che Berlino fa per rassicurare il resto della periferia europea – Italia compresa – adduce ulteriori ragioni di patema a coloro i quali già ora pagano il prezzo dell’esautoramento democratico nazionale per colpa di una moneta troppo simile al marco e di una governance europea, tanto monetaria che politica, inefficiente e profondamente ademocratica.
Leggendo quell’intervista si ha la conferma che Berlino continui a pensare che l’Europa debba germanizzarsi, fatti salvi i tentativi di Angel Merkel di raccontare che “se non stiamo compatti, le nostre voci [europee] non si faranno praticamente sentire”. Chissà chi dei tre giornalisti (ma chi è poco importa infondo) pone alla Merkel la solita, tediosa, ma per alcuni doverosa (immaginiamo), domanda spinelliana sugli Stati Uniti d’Europa. Lei candidamente risponde: “La mia visione è l’Unione politica. … Nel corso di un lungo processo, trasferiremo sempre più competenze alla Commissione, che poi per le competenze europee funzionerà come un governo europeo. In questo quadro rientra un Parlamento forte. La seconda camera è costituita praticamente dal Consiglio con i Capi di governo. Ed infine abbiamo la Corte di Giustizia europea quale corte suprema”. Interessante quella seconda camera che dovrebbe esser rappresentata dal Consiglio europeo. Assomiglia tanto, così a primo acchito, al Bundersrat, la camera dei Länder tedeschi.
Ovviamente nell’Europa a guida tedesca della Merkel che i burocrati e i vertici esecutivi nazionali "maggiori" stanno preparando dietro le quinte, pare quasi ovvio che i cittadini europei non abbiamo parte in commedia. Come dire: a Berlino hanno già deciso tutto e a Bruxelles eseguono.
La misura di ciò è data dall’assenza in tutta l’intervista della men che minima menzione sul potenziamento dei processi di legittimazione democratica a livello europeo. C’è spazio, tra le righe, per la nenia sull’austerità e sul principio di responsabilità di ogni Stato dell’UE; ovviamente ce n’è anche per una difesa d’ufficio della rigidità teutonica su eurobond, fondo di stabilizzazione europeo (noto ieri come EFSF e oggi come ESM). Ma su come eleggere un presidente della commissione europeo con un processo elettorale paneuropeo, toh, neanche un passaggio.
La germanizzazione dell’Europa, intesa come burocratizzazione delle politiche nazionale (altrui) tanto sul fronte della finanza pubblica quanto sulle legislazioni a forte impatto sociale, è perfettamente condensata nei desiderata della cancelliera in merito alle riforme che i paesi europei in difficoltà (l’Italia, certo) dovrebbero intraprendere: riforma del mercato del lavoro, privatizzazioni, e “riforme strutturali di questo genere” dice Frau Merkel. Modello FMI anni ’90, tanto per intenderci. Come se privatizzare e riformare il mercato del lavoro, fosse in sé e per sé utile e dunque buono. In realtà è utile e buono solo se tali riforme vengono patrocinate, fatte passare e implementate da forze politiche che concorrano pacificamente per il governo, dentro un processo elettorale democratico e un’azione esecutiva responsabile.
Mesta variazione sul tema politologico a parte, leggendo o ascoltando quello che dicono i politici tedeschi, non si riesce ad ignorare quella sconsolante idea che continua a girare per la testa di ognuno di noi, ovvero che la Germania della Merkel (non ci sono dati disponibili al momento per sperare che Peer Steinbruck, il più papabile tra i potenziali candidati SPD alle elezioni 2013, guiderà diversamente la Germania) stia gestendo il proprio improvviso strapotere europeo perseguendo solo un interesse nazionale e non quello europeo.
Tutto questo con buona pace del ministro polacco, Sikorski, (citato nell’intervista dei ‘giornaloni’), il quale ha affermato lo scorso Novembre 2011 “d’aver più paura di una Germania inattiva che di una Germania che guida”. A noi sarebbe piaciuta di più una Germania inattiva, al traino e senza velleità egemoniche (con un cancelliere federale che non si mette a chiamare il Quirinale). Questo sì che sarebbe (stato) l’optimum. Evidentemente di questi tempi è troppo chiedere. Non resta che apprendere la lingua di Goethe e aspettare di capire che Europa ci verranno a vendere.