Gaza, a pagare il conto della rivalità fra Iran e Turchia saranno i palestinesi
08 Giugno 2010
Forse ricorderete il gioco della pentolaccia. I bambini riuniti durante una festa di compleanno si avvicendano bendati sotto la tradizionale pentola di cartapesta cercando di romperla per il divertimento di grandi e piccini. Se applichiamo la stessa situazione al Medio Oriente, i bambini in questione sono Hamas, l’Iran e la Turchia, mentre la pentolaccia è lo stato di Israele.
La fallita operazione dei commando israeliani contro la Freedom Flottilla ha innescato una serie di puntate al rialzo tra vecchi e nuovi nemici dello stato ebraico. Dopo la morte dei "pacifisti" turchi – i militanti dell’IHH che Ankara non ha fermato ma anzi usa strumentalmente per la sua inedita politica di forza contro l’ex ‘alleato’ israeliano -, il premier Erdogan è diventato il beniamino assoluto dei palestinesi. Prima annunciando di volersi imbarcare, di persona, sulla prossima spedizione navale diretta a Gaza, e ieri – ospite a Damasco – annunciando di voler mediare tra Al Fatah e Hamas: "Penso che possiamo raggiungere la pace," ha detto Erdogan, "i responsabili di Hamas hanno fiducia in noi e ci dicono di voler risolvere il problema. Presto avremo un incontro con Fatah per vedere se possiamo ottenere lo stesso atteggiamento". Il presidente siriano Assad rincara la dose: "la Turchia ha portato Israele allo scoperto, impedendogli di continuare a ostacolare la pace. Siamo pronti a sostenere la Turchia in qualsiasi iniziativa vorrà prendere per risolvere quanto è accaduto".
Dicono che il premier turco abbia accusato Israele di aver commesso un "errore storico", di aver creato uno "stato di terrore" con l’embargo a Gaza ("Hamas," secondo Erdogan, "è un gruppo che difende il suo popolo"), e infine di non voler nessuna riappacificazione finché Tel Aviv non accetterà di aprire una inchiesta sull’accaduto. Dicono che Erdogan lo abbia fatto per ragioni di politica interna, perché vuole passare all’incasso, magari tornando alle urne con elezioni anticipate sfruttando il consenso che ha guadagnato anche in patria dopo l’assalto alla nave Marmara. Secondo il quotidiano Al Hayat un padre di famiglia palestinese avrebbe chiamato il suo terzo figlio Recep in onore "di un leader che si è schierato al fianco del nostro popolo che resiste". L’accordo siglato ieri fra Turchia e ANP, economico e diplomatico, dovrebbe sancire l’accordo. Tutto questo senza che Erdogan si sia minimamente preoccupato dell’ostilità dell’opposizione laica in Turchia che guarda con profonda inquietudine alle mosse del premier.
C’è poi l’Iran, con la sua minaccisiosa promessa di inviare alcune navi della "Mezzaluna rossa" con nuovi aiuti alla popolazione di Gaza. Il convoglio dovrebbe passare dal valico di Rafah, tra Egitto e Striscia, l’unica porzione di territorio che non è controllata dall’esercito israeliano. Convoglio che, nelle intenzioni delle Guardie della Rivoluzione iraniane, potrebbe essere scortato militarmente – se solo l’ayatollah Khamenei lo ordinasse. Il Supremo Consiglio per la sicurezza nazionale iraniana ha chiesto inoltre gli stati arabi di inviare una flotta congiunta a Gaza. Per molti osservatori e analisti si tratta evidentemente della ennesima provocazione di Teheran, visto che al convoglio servirebbe molto tempo per raggiungere Gaza e non è detto che poi il governo del Cairo acconsenta di usare il suo territorio per arrivare nella Striscia. Allora qual è il motivo che si nasconde dietro l’annuncio del Consiglio iraniano?
Teheran ha seriamente paura che la Turchia arrivi prima dell’Iran nel gioco della pignatta. Che possa rubargli la scena, persuadere Hamas che ci sono altri sponsor nella sua lotta contro lo stato ebraico, sponsor anche più ‘presentabili’ di Ahmadinejad. Gli stessi dirigenti politici della organizzazione palestinese si sono affrettati a rifiutare l’offerta del padrone di Teheran: "Non vogliamo che ci sia alcuna interferenza militare iraniana per rompere l’embargo a Gaza," ha detto un deputato di Hamas, "con questa proposta gli iraniani vogliono politicizzare una iniziativa che è umanitaria e pacifica. Riteniamo che questa offerta sia il frutto della propaganda e non vogliamo che diventi una provocazione che sia il preludio di un conflitto militare".
C’è quindi una crescente competizione fra Iran e Turchia nel farsi belli davanti ai palestinesi, una rivalità all’interno del mondo musulmano, vecchia come la storia del conflitto israelo-palestinese, di cui a pagare le conseguenze saranno, come al solito, i palestinesi, nel momento in cui Israele, per non fare la fine della pignatta, reagirà sentendosi sempre più isolato e circondato.