Gaza, Israele vince il primo round e sposta nuove truppe al confine
01 Gennaio 2009
Stavolta Tel Aviv – nonostante il rallentamento alla campagna aerea imposto dalle condizioni meteo – sente che la vittoria è vicina. Una delle grandi differenze tra una democrazia e un regime autoritario è che la prima impara dai suoi errori e riesce a correggersi in tempo. Così è accaduto anche per Israele. Il rapporto Winograd – che all’epoca della sua pubblicazione provocò un terremoto politico denunciando i tanti errori commessi dalla leadership politico-militare israeliana nella guerra contro Hezbollah dell’estate 2006 – è stato salutare e ha permesso di fare tesoro dell’esperienza libanese. Israele ha rimesso mano alla propria macchina militare creando le premesse per le vittorie future. Chi invece non ha capito nulla sono state le solite traboccanti piazze arabe che hanno visto nel rapporto la prova provata della vittoria divina di Hezbollah. Una vittoria, se di vittoria si può parlare, che è stata tale solo dal punto di vista propagandistico. Sul campo i danni subiti da Hezbollah sono stati notevoli.
Finora “Piombo Fuso” è stata un grande successo militare. Figlio della durezza di Winograd. Preparata nei minimi particolari da tempo, celata dietro un’abile strategia dissimulatoria, l’operazione ha colto Hamas di sorpresa. I miliziani non pensavano che Israele avrebbe attaccato sabato 27 dicembre. In pieno Shabbat e per di più solo poche ore dopo che erano stati aperti i confini con
Hamas, interpretando tutti questi segnali come la prova che Israele non avrebbe attaccato nell’immediato, aveva richiamato i miliziani dai bunker sotterranei riempiendo caserme e centri di comando. Addirittura, in un piazzale si stava celebrando una cerimonia di passaggio di consegne. Questo l’invitante boccone che il 27 dicembre mattina, alle 11:30, si è presentato agli F-16 della IAF. La sorpresa è stata totale ed ha fatto molto male ad Hamas. Dei circa 400 morti che ci sono stati finora nelle file palestinesi sono una cinquantina – fonte ONU – i civili. Il resto sono tutti miliziani. Una precisione talmente chirurgica – ottenuta colpendo l’area, ricordiamolo, più densamente popolata del mondo – che dimostra lo straordinario lavoro d’intelligence fatto in questi mesi e la dovizia con cui l’operazione è stata preparata. In pochi minuti sono stati distrutti centri di comando, depositi di armi, stazioni di polizia e diverse postazioni per il lancio dei razzi. Gran parte dell’infrastruttura di Hamas di “superficie”. Ma anche diversi tunnel tra
Questa volta non ci sono stati restrizioni politiche di sorta. A differenza di due anni fa in Libano, quando si optò per un approccio incrementale e selettivo, la campagna aerea è stata sin da subito ad alta intensità. Israele può permettersi di sbagliare una volta sola. Farlo due volte significherebbe mettere a repentaglio la propria esistenza. Ehud, il veterano di mille battaglie, queste cose le sa bene. Non viene dal sindacato come il suo omologo del tempo della guerra in Libano, Amir Peretz. Viene dal campo di battaglia: dalle leggendarie forze speciali israeliane. E’ l’uomo del Sayeret Maktal cui Israele si affida sempre nei momenti difficili. Come nel 1973, quando, travestito da donna, portò i suoi a Beirut Ovest a punire i pezzi da novanta palestinesi implicati nella strage alle Olimpiadi di Monaco dell’anno prima.
Questa che si sta combattendo a Gaza è la sua guerra. Barak ha fatto le cose in grande, proprio mentre sembrava che la transizione e la crisi politica avessero tolto a Israele voglia di combattere e determinazione. Gli arabi hanno commesso tante volte in passato l’errore di credere alla debolezza di Israele. Lo hanno pagato regolarmente. Oggi la storia si ripete. Non sappiamo come l’operazione finirà e se l’obiettivo dichiarato della caduta di Hamas a Gaza verrà raggiunto. Certo è che il deterrente israeliano sta uscendo rafforzato da questa prova militare. La mancanza di proporzionalità fra azioni palestinesi e risposte israeliane – regolarmente stigmatizzata dai “commentatori” nostrani a cui da tempo danno man forte generali in pensione ormai definitivamente riconvertiti al “paciovvismo” militante – mira proprio a questo. A rafforzare un deterrente indebolito dal pareggino con Hezbollah e da due anni di incertezze politiche.
Se una reazione militare non è sproporzionata, ovvero non impone un costo inaccettabile rispetto al beneficio che chi agisce spera di ottenere, non crea dissuasione. Se Israele rispondesse, come vorrebbero D’Alema e Carla Bruni, in modo proporzionato agli attacchi di Hamas, la propensione di quest’ultima a ricorrere al lancio di razzi non cambierebbe mai. E il tutto si tradurrebbe in uno conflitto di logoramento permanente. Senza che in Israele del Sud la situazione della sicurezza possa cambiare mai.
Il problema è che nessuno stato al mondo, neanche un Bananistan qualsiasi, può permettersi che il proprio territorio sia costantemente minacciato dall’esterno. I generali ed i commentatori suddetti sono soliti ripetere che, in fondo, i Kassam e i Grad sono piccoli petardi che non fanno vittime a differenza delle bombe israeliane. Questi signori dimenticano che la principale obbligazione di uno Stato sovrano è assicurare la sicurezza fisica e psicologica dei propri cittadini. Se viene meno a questa obbligazione, uno Stato, ripetiamo, un qualunque Stato sovrano, non è più tale. Tutto finisce e si risolve in una rissa da pub, una guerra tra bande senza regole e legittimità. Israele è proprio questo che vuole. Che a Gaza tornino le regole.