Gaza, la Francia cerca la mediazione dell’Egitto (Fratellanza permettendo)

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Gaza, la Francia cerca la mediazione dell’Egitto (Fratellanza permettendo)

05 Gennaio 2009

Oggi il ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner, incontra il presidente egiziano Mubarak. Kouchner è accompagnato dal ministro ceco Schwarzenberg, dalla commissaria Ue Benita Ferrero Waldner e dal ministro svedese Carl Bildt. "Facciamo tutto il possibile per fermare la guerra", ha detto Kouchner appena sbarcato al Cairo. Ma qual è la politica egiziana nei confronti di Gaza?

Nel 1171 il Saladino usò la sua armata per detronizzare il califfo egiziano al-Adid mettendo la parola fine al califfato fatimida. Oggi la storia sembra ripetersi. Venerdì scorso la barriera che segna il confine tra il territorio palestinese e quello egiziano è stata abbattuta da decine di palestinesi in fuga, provocando la reazione armata delle guardie di frontiera egiziane. Una crepa nel muro di confine, una nuova crepa nei rapporti tra Egitto e Gaza, tra il Cairo e il fronte dei Paesi arabi nemici di Israele.

Il presidente egiziano Hosni Mubarak non può appoggiare apertamente Israele nella sua guerra contro Hamas, considerando il numero dei caduti palestinesi che continua a crescere e le pressioni degli attori regionali e internazionali arabo-islamici. Mubarak ha l’obbligo morale (e religioso) di condannare gli attacchi israeliani onorando il lutto palestinese, ma anche il dovere politico di biasimare le azioni terroristiche portate avanti dalla dirigenza di Gaza.

Questo disponibilità verso le ragioni di Gerusalemme deriva dalla storica politica egiziana della infitah (“apertura”), inaugurata dal presidente Sadat verso lo stato ebraico; ma anche e soprattutto dall’alleanza del Cairo con gli Stati Uniti che, attualmente, costituiscono il maggiore sponsor internazionale del “National Democratic Party”, il partito di governo egiziano.

Quando Israele ha attaccato Gaza, le tv e i giornali arabi si sono riempiti di articoli traboccanti di solidarietà verso gli abitanti della Striscia. Sembrava quasi che ci fosse una gara tra le istituzioni della regione nell’elargire quanti più soccorsi umanitari possibile. Una smania che ha preso i Paesi del Golfo, la Giordania e lo stesso Egitto. Tutti questi governi, con toni e modi diversi tra loro, manifestano compassione per i palestinesi ma nessuno di essi vuole compromettersi difendendo Hamas.

E allora come si fa a soccorrere i civili senza confrontarsi con Hamas? E’ una domanda a cui è abbastanza arduo rispondere considerando che, proprio dall’Egitto, partono i tunnel che riforniscono Gaza di viveri, medicinali e armi per combattere Israele.

La questione si complica se introduciamo nel teatro di crisi anche la Siria. I rapporti di Damasco col Cairo sono diventati tesissimi negli ultimi giorni: “Non ci stanno aiutando affatto – ha commentato sul quotidiano al-Ahram un funzionario egiziano che mantiene l’anonimato – La Siria sta causando solo dei danni e vuole bloccare qualsiasi possibilità, per quanto remota, di porre fine a questa lunga fase di ostilità”. Giorni fa si è svolta una manifestazione di protesta davanti all’ambasciata egiziana di Damasco, con slogan e urla anti-egiziane che dipingevano il Cairo indifferente alla crisi umanitaria di Gaza. Mubarak è stato accusato di tenere chiuso il valico di Rafah tra Gaza e il Sinai con una decisione unilaterale.

La diffidenza egiziana verso Damasco è giustificata se consideriamo l’alleanza tra Siria e Iran – il vero burattinaio di Hamas – e i tentativi messi in campo da Teheran per dominare la scena politica araba. Così, mentre l’Egitto disapprova l’aiuto fornito da Damasco ad Hamas, la Siria si batte contro quella che percepisce come una propensione tutta egiziana verso le formule occidentali che mirano a portare stabilità in Medio Oriente.

Il 30 dicembre scorso, sul quotidiano siriano "Al-Watan", Iyad Wanus ha accusato l’Egitto di “cospirare con Israele per eliminare un milione e mezzo di palestinesi”. E ancora: “Oggi il popolo egiziano ha bisogno di un’altra Rivoluzione degli ufficiali (come quella degli “Ufficiali liberi” del 1952, nda) che restituisca all’Egitto l’onore che ha perduto con Hosni Mubarak”. Sono le stesse accuse rivolte al Cairo dall’Iran.

Ma per renderci davvero conto della tensione che c’è tra i due fronti del mondo arabo e islamico bisogna ascoltare le affermazioni fatte lo scorso 29 dicembre dal direttore Generale di “Al-Arabiya”, Abd Al-Rahman Al-Rashed, che ha accusato Hamas di sottrarsi alle sue responsabilità per il disastro di Gaza – proprio con la scusa della cospirazione egiziana. Un’operazione che farebbe parte di una campagna più ampia ingaggiata dall’asse siro-iraniano per screditare il Cairo.

La situazione in Egitto rischia di aggravarsi sempre di più, visto che l’opposizione alla linea tenuta da Mubarak arriva anche dall’interno del Paese. La scorsa settimana la polizia egiziana ha arrestato circa 40 membri dei “Fratelli Musulmani”, il movimento egiziano che appoggia il governo islamista di Gaza. La Fratellanza ha organizzato una serie di manifestazioni anti-israeliane e critiche verso la politica “permissiva” dei Paesi arabi moderati.

Mubarak non ha ceduto: “Vi avevamo messo in guardia – ha detto il presidente rivolgendosi ai palestinesi – il vostro rifiuto della tahdiya (tregua) spingerà Israele contro Gaza”, aggiungendo che ogni ostacolo alla politica di apertura con Gerusalemme portata avanti dal Cairo è un invito a nuovi attacchi israeliani.

Nello stesso tempo, con il doppiopesismo che lo contraddistingue, Mubarak ha recriminato contro la “mano insanguinata” di Israele che “suscita rabbia e allontana le speranze di raggiungere la pace”. Da una parte l’Egitto non può dimenticare la nakhba (“la distruzione”) e la gurba (“l’esilio”) – così vive nella memoria collettiva palestinese – dall’altra è sempre più convinto che il problema sia Hamas, e che gli islamisti abbiano condotto il loro popolo verso una nuova distruzione, una nuova nakba, una nuova gurba. L’inossidabile Mubarak riuscirà a superare questa contraddizione?