GB, gli inglesi protestano ma Brown (suo malgrado) sta con gli italiani

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GB, gli inglesi protestano ma Brown (suo malgrado) sta con gli italiani

03 Febbraio 2009

“Posti di lavoro inglesi per lavoratori inglesi”. Recita così lo slogan degli operai britannici che partecipano allo sciopero nel Lincolnshire, tra bandiere sventolanti con la Union Jack e blocchi stradali. La frase risale al 6 luglio 2007 e viene direttamente da uno dei motti coniati dall’attuale primo ministro Gordon Brown per la sua campagna elettorale, come ricordano i cartelli dei manifestanti.

Negli ultimi giorni centinaia di lavoratori inglesi sono scesi in piazza per protestare contro la presenza di operai stranieri, in particolare contro gli 80 italiani e i 20 portoghesi, nella ditta siracusana "Irem" che si è aggiudicata un contratto di subfornitura nel cantiere della raffineria Lindsey Oil della Total a Grimsby. La costruzione di una piattaforma tecnologica di desolforazione da 200 milioni di euro è una commessa della durata di quattro mesi che ha scatenato l’ira dei lavoratori inglesi contro la multinazionale francese, rea di aver stipulato un contatto con Irem che la autorizza a utilizzare la sua manodopera specializzata. In totale gli operai necessari per la realizzazione dell’impianto sono 300, di cui 220 italiani, gli altri portoghesi e solo una ventina gli inglesi coinvolti nel lavoro. Troppo pochi, gli inglesi, così da venerdì scorso è scattata la contestazione.

I british workers minacciano di boicottare gli 850 distributori della Total nel Regno Unito e non è escluso che lo sciopero possa coinvolgere anche l’impianto in costruzione a Isle of Grain, progetto in cui sarebbero utilizzati operai polacchi. I lavoratori britannici si sono organizzati anche grazie a Facebook per pianificare gli scioperi selvaggi che sfuggono al controllo dei sindacati: oltre 5mila persone sono iscritte a un forum on line dove viene espresso sostegno ad azioni di protesta illegali in quanto le decisioni prese sulla pelle dei lavoratori non sono l’esito di un voto sindacale e sono state effettuate senza preavviso. I sindacati cercano di calmare la rivolta e hanno accolto con soddisfazione l’incarico affidato dal Governo all’Acas (l’ente britannico per la conciliazione e l’arbitrato fra le parti sociali) per risolvere la questione di Lindsey.



Le proteste, intanto, si sono estese dal nord-est dell’Inghilterra alla raffineria di Grangemouth e alle centrali di Longannet, Warrington e Staythorpe. Altri scioperi hanno bloccato gli impianti energetici della Scozia e del Galles, ma si sono estesi anche all’industria pesante con astensioni dal lavoro nelle acciaierie della Corus. La Total da parte sua ribadisce di non voler discriminare gli operai britannici e in un comunicato ha ricordato come “l’investimento nella raffineria di Lindsey Oil contribuirà a lungo termine all’occupazione locale”.

Quindi se, da una parte, per Brown è impossibile non riconoscere il valore degli slogan nazionalisti, allo stesso tempo il premier è intervenuto dal forum di Davos per definire “indifendibili” gli scioperi anti-italiani. A poco, invece, è servito l’intervento di Nello Messina, il vice presidente dell’Irem. Messina ha spiegato che la ditta siciliana sta realizzando un rigassificatore in provincia di Rovigo “su una piattaforma off shore sulla quale lavorano una trentina di operai inglesi. Loro possono lavorare in Italia così come noi, nel rispetto delle leggi, possiamo lavorare in Gran Bretagna”.

Brown afferma di “capire le motivazioni dei lavoratori inglesi” ma non condivide le azioni di protesta selvaggia che si sono diffuse in tutto il territorio nazionale. “La nostra gente deve essere formata per occupare i posti che oggi vanno a stranieri con capacità specifiche che molti nostri connazionali non hanno”, ha dichiarato. In pratica il premier non contesta né i principi del mercato interno né invoca logiche protezionistiche, ma rivendica una maggiore specializzazione dei lavoratori britannici. Come le competenze ad hoc degli operai della Irem, che permette loro di concludere il lavoro affidato dalla Total.

La vicenda degli scioperi, per Brown è un grattacapo sia nei rapporti con gli altri alleati europei, sia di fronte al Paese: perché è vero che non può difendere il protezionismo, ma è anche vero che è stato lui a creare lo slogan British jobs for British people. Sicché mentre la crisi colpisce duramente la Gran Bretagna, il primo ministro non può non tutelare al meglio i lavoratori.

Il ministro inglese delle Attività produttive, Peter Mandelson, ha detto che il protezionismo potrebbe trasformare la recessione in depressione, accennando al rischio di dannosissime ritorsioni: “Sarebbe un errore enorme fare un passo indietro rispetto a una strategia che consente alle compagnie britanniche di operare in Europa e a quelle europee di operare da noi". Qualche critica si è levata dalle fila del partito laburista e, secondo alcune voci critiche, c’è il rischio che il malcontento sfoci in una deriva nazionalista: “Se non ci battiamo per i nostri lavoratori li incoraggeremo ad abbracciare il British National Party", il partito della estrema destra inglese”.

La vicenda coinvolge anche il mondo politico italiano. Il governo è intervenuto con il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, che ha definito la libera circolazione dei lavoratori “un principio fondante dell’Unione europea, che non può essere in alcun modo messo in discussione”. Per il ministro degli Esteri, Franco Frattini, la presenza di lavoratori italiani in Gran Bretagna è il frutto della “libera circolazione” dei lavoratori nell’ambito del territorio europeo. Diversa invece la posizione del capogruppo della Lega alla Camera Roberto Cota, che prevede “episodi simili anche in Veneto” e propone “una moratoria sui flussi e la sospensione degli accordi di Schengen”.

Oggi è una giornata decisiva per le sorti dei lavoratori di Lindsey, perché il governo inglese valuterà la legittimità dello sciopero e anche dell’appalto. Contemporaneamente è in programma un incontro tra la Total, l’Irem ed i sindacati per fare il punto della situazione. Sono lontani i tempi della “Cool Britannia” che rifletteva un’immagine vincente e sempre sulla breccia dell’onda. Ora si iniziano a fare i conti con i due milioni di disoccupati inglesi, la sterlina diventa sempre più debole, mentre molte banche e aziende sono in fallimento per la recessione mondiale che investe il Regno Unito più che altrove.