Gdf, le dimissioni di Speciale sono uno schiaffo al governo
17 Dicembre 2007
Anche l’uscita di scena del comandante della guardia di
finanza è stata “speciale”. Una lettera di dimissioni indirizzata al presidente
della Repubblica Giorgio Napolitano molto dura con il governo italiano fatta
recapitare di buon mattino al Quirinale.
Così si chiude per
ora la carriera del generale già a capo delle Fiamme Gialle, Roberto Speciale,
allontanato dal comando per motivi ancora oscuri, forse legati alle indagini su
Unipol, e recentemente reintegrato nel proprio incarico dal tribunale
amministrativo del Lazio.
Il colpo di teatro è arrivato di buon mattino con una
telefonata all’Ansa dello stesso generale che ha letto al telefono la propria
lettera definita dal capo del governo Romano Prodi “irrituale”.
Laconico il commento del ministro delle infrastrutture
Antonio Di Pietro, l’unico a votare a suo tempo contro la rimozione di Speciale
in Consiglio dei ministri: “ormai la frittata è fatta, se c’erano motivi
disciplinari e penali, come i voli di
stato e le accuse di peculato, il governo avrebbe dovuto cacciarlo e basta
questo signore, perché invece tentare di promuoverlo prima alla corte dei
conti, e poi, un volta ottenuto il rifiuto, passare alle maniere forti?”
Già perché? Forse perché in questo paese nessuno è al di sopra di ogni sospetto e quindi nessuno può
permettersi di cacciare via qualcun altro senza a sua volta dovere subire delle accuse per
ritorsione. E a ben vedere deve essere stato proprio questo il motivo
che alla fine ha portato al ritiro delle deleghe a Visco sulla Guardia di
finanza. D’altronde le accuse per Speciale di peculato e di avere abusato dei
voli di stato sono arrivate solo molto dopo lo scoppio del caso che inizialmente sembrava tutto centrato sui
retroscena inconfessabili delle indagini sulla scalata alla Bnl da parte della
Unipol. Indagini cui collaborarono alcuni ufficiali molto vicini all’ex capo
della GdF. Ufficiali che il viceministro Vincenzo Visco fece fuoco e fiamme per
rimuovere.
Come stupirsi allora se oggi Speciale scrive addirittura al
capo dello stato con un tono quasi aggressivo dicendo che lui non intende “più
collaborare con il governo in carica”? Speciale forse attacca per non essere a sua volta attaccato
un giorno dai magistrati che già lo indagano. Ma il comportamento dilettantesco
del ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa, che presenta inquietanti
analogie con quello visto nel caso del consigliere della Rai Angelo Maria
Petroni, legittima questa reazione violenta e questo colpo di scena in cui
ovviamente a rimetterci sono soprattutto le istituzioni. Prese a pesci in faccia un po’ da tutti i protagonisti di
questa vicenda.
Infatti nella lettera a Napolitano – che quasi tutto il centro
destra (Scajola, Craxi, Capezzone, Santelli, de Gregorio) osanna e quasi tutto
il centro sinistra (Pecoraro Scanio, Sgobio, Russo Spena) depreca – Speciale motiva le sue dimissioni, per evitare ulteriori danni di immagine alla
Guardia di Finanza e al Paese. Il cui governo viene trattato con sufficienza e
ostilità. Ma allo stesso tempo la lettera esprime il
massimo disprezzo possibile per le istituzioni che a suo tempo non
lo difesero. In merito al risarcimento da 5 milioni di euro Speciale
adesso dice: va bene così perché “i giudici mi hanno restituito
l’onore”.
Però già ammonisce che la sua non è un’uscita definitiva di
scena ma solo un arrivederci. E qualcuno ha già paventato che questa promessa
sibillina preluda a una discesa in campo nella politica di cui forse l’Italia
potrebbe fare a meno. Soprattutto quella parte d’Italia che si identifica con
il centro destra che non deve cadere nella trappola di pensare che tutti i
nemici di Prodi, D’Alema e Fassino
diventino automaticamente suoi possibili alleati.