Geografia delle proteste: è insurrezione globale

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Geografia delle proteste: è insurrezione globale

26 Febbraio 2011

“Cari fratelli, non c’è differenza tra un dittatore che indossa una corona, un dittatore che indossa un turbante e un dittatore che indossa un copricapo arabo. I dittatori sono gli stessi, indipendentemente dalla nazione e dalla lingua. La libertà e la dignità sono le stesse per ogni popolo. E voi, nobile popolo iraniano, siete stati i primi in medio oriente a rivoltarvi contro la dittatura e la corruzione nel 1979. Oggi è il vostro giorno per recuperare la dignità, la libertà ed i tesori del vostro ricco paese dalla morsa di quei ladri che hanno rubato religione e Stato”. Questo invito al popolo iraniano a rovesciare, dopo lo Shah, anche il regime khomeinista è stato pronunciato in Iraq dall’ ayatollah Jamal al-Din, leader sciita e seguace del grande ayatollah Sistani di Najaf, ma è un discorso che sarebbe stato condiviso da tutte le piazze che da più di un mese ormai si mobilitano per far rovesciare i vecchi e dispotici governi. Secondo Michael A. Ledeen, Freedom Scholar della Foundation for Defense of Democracies, siamo infatti di fronte a un’insurrezione globale ingaggiata in molti teatri dove Siria, Iran, Turchia vogliono piazzare le loro comparse e suggerire il copione da seguire per preservare i regimi islamici allineati e, di contro, rovesciare i propri antagonisti.

Le proteste contro vecchi satrapi coinvolgono non solo il Medio Oriente, ma anche Nord (Tea Party) e Sud America, continua Ledeen, e se finora qualcuno serbava ancora dubbi sul fatto che stiamo vivendo un’epoca rivoluzionaria, gli eventi recenti avranno sicuramente fatto chiarezza, specie guardando a Tunisia, Egitto e Libia. In effetti, da circa due mesi sentiamo parlare di “Giornata della Rabbia”, un appuntamento fissato per la prima volta proprio in Tunisia – dopo la morte del giovane disoccupato che si è arso vivo – e calendarizzato da molte piazze arabe, non solo quelle egiziane e libiche. Vediamo dove ci sono state “Giornate di Rabbia” spingendoci anche oltre il Maghreb e il Mashreq fino ad arrivare in Cina, in Venezuela, passando per l’Africa.

 

Marocco
Martedì scorso alcuni gruppi di giovani attraverso Facebook hanno tentato di organizzare una “Giornata della rabbia” nelle principali città marocchine ma la polizia è intervenuta disperdendo la folla. Domenica scorsa, però, almeno venti città del Marocco hanno ospitato manifestazioni di protesta contro re Mohammed VI e durante una manifestazione Oussama Khlifi, uno degli organizzatori, ha rinnovato l’appello a proseguire le proteste per chiedere riforme politiche.

Giordania
Il maggior partito dell’opposizione in Giordania, il Fronte di azione islamica, ha annunciato che è stato mobilitato tutto il Paese, insieme a diciannove partiti dell’opposizione, nella manifestazione della “Giornata della rabbia” in cui si sono chieste urgenti riforme al governo in carica, soprattutto l’abrogazione di una legge degli anni cinquanta che conferisce al Re il diritto di scegliere il Primo Ministro.

Arabia Saudita
Re Abdallah appena rientrato dal Marocco (e dopo due operazioni chirurgiche alla spina dorsale) ha subito annunciato sussidi ai cittadini per trentacinque miliardi di dollari, tra cui prestiti per gli alloggi e un aumento di stipendio del 15% per gli impiegati pubblici. Eppure, centinaia di persone hanno sostenuto una campagna su Facebook per promuovere una "Giornata della rabbia" in tutta l’Arabia Saudita per il prossimo mese. Si chiede che un sovrano eletto dal popolo, maggiore libertà per le donne e il rilascio di prigionieri politici. Anche lo scorso mese, spinti dai venti tunisini ed egiziani si era indetta una manifestazione di protesta a Gedda, la seconda città più grande dell’Arabia Saudita, ma è stata immediatamente repressa. A inizio anno, invece, il Ministero saudita della Cultura e dell’Informazione aveva annunciato regolamenti draconiani per l’uso di Internet.

Iraq
A Sulaimaniya, uno dei due maggiori centri della regione del Kurdistan iracheno, erano scese in piazza cinquemila persone per la “Giornata della Rabbia” organizzata per chiedere riforme politiche e un’inchiesta sugli incidenti della scorsa settimana in cui sono stati uccisi due manifestanti. Dopo le proteste il parlamento regionale di Erbil ha trovato un’intesa su alcune riforme sociali, per migliorare le condizioni economiche e di sicurezza della popolazione anche se ieri il partito curdo Gorran ha rifiutato di sottoscrivere i 17 punti della risoluzione e secondo la stampa irachena ci sarebbe lo zampino di Teheran che mira a un Kurdistan iracheno indipendente soprattutto dall’Atlantico. Mentre ieri durante un’altra “Giornata della Rabbia”, sempre organizzata tramite Facebook, migliaia di manifestanti hanno invaso quasi tutto il Paese da Baghdad a Bassora passando per Kirkuk.

Iran
Durante la settimana la marea di proteste partita dal Medio Oriente ha risollevato L’Onda Verde iraniana che si è riversata ancora per le strade di Teheran di Shiraz e di Isfahan dove la polizia sarebbe intervenuta per disperdere la folla sparando gas lacrimogeni e picchiando i manifestanti con manganelli e catene e arrestando centinaia di manifestanti tra cui Faezeh Rafsanjani, figlia dell’ex presidente iraniano Ali Akbar Rafsanjani, rilasciata poche ore dopo.

Palestina e Gaza
A Ramallah si sono riuniti giovani palestinesi, ancora grazie a Facebook, per esercitare pressione sui dirigenti dei principali movimenti politici affinché riprendano la strada del dialogo ostruita dagli ancora roventi Palestine Papers. Per il 27 febbraio riprodurranno una catena umana che a Ramallah andrà dalla Muqata (il quartier generale del presidente Abu Mazen) fino alla sede del Parlamento. A Gaza, invece, i dirigenti locali di Hamas sono in allerta e controllano da vicino giornalisti e blogger che hanno sostenuto con messaggi su Facebook una prima manifestazione di protesta, chiamata la “Rivoluzione della Dignità”, perché sostenuta dai vertici di al-Fath in Cisgiordania. La protesta ha portato venerdì scorso in una piazza di Khan Yunes (a sud di Gaza) alcune centinaia di persone, che hanno dato vita a un sit in silenzioso.

Bahrein.

A Manama decine di migliaia di partecipanti hanno preso parte questa settimana ad una manifestazione per chiedere le dimissioni del governo a maggioranza sunnita. Dalla Piazza della Perla echeggiavano slogan come “Il popolo vuole la caduta del regime”. Le proteste contro la monarchia sunnita, la cui dinastia Al-Khalifa è al potere dal XVIII secolo, sono portate avanti dall’opposizione sciita – anche qui potrebbe esserci lo zampino persiano – che rappresenta la maggioranza della popolazione. Secondo l’agenzia di stampa Ria Novosti se non verranno esaudite le richieste della popolazione la prossima settimana ci sarà uno sciopero generale che paralizzerà tutto il paese.

Yemen
Ieri alle prime ore del mattino la sicurezza Nazionale aveva alzato il livello di guardia spaventata dall’organizzazione della “Giornata della Rabbia” dove migliaia di manifestanti chiedono la fine del governo del presidente Alì Abdullah Saleh, al potere da trentadue anni, mentre i sostenitori del presidente hanno sfilato in un’altra zona della capitale. Con un comunicato diffuso dal Ministero dell’Interno è stato ordinato alle forze di sicurezza di alzare il livello di vigilanza e di prendere tutte le misure necessarie per controllare qualsiasi elemento terrorista. Intanto circa venti persone sono morte negli ultimi undici giorni durante l’ondata di proteste anti-Saleh che si sono diffuse in tutta la nazione.

Oman.

Circa cinquecento giovani si sono riuniti ieri davanti ad un palazzo del governo. Al termine della manifestazione sono riusciti a far pervenire al sultano, Bin Saeed, una lettera con le loro rivendicazioni. I giovani hanno chiesto una legge sui salari minimi, maggiori controlli sui prezzi dei servizi, la fine della corruzione nel paese e la rimozione di alcuni ministri. Un primo tentativo di far avere le loro richieste al sovrano era stato fatto venerdì scorso ma era andato a vuoto.

Gibuti
L’onda delle proteste e delle prime vittime si è allargata anche a Gibuti. Due persone, un poliziotto e un dimostrante, sono rimaste uccise durante una manifestazione nella capitale. La protesta era organizzata dall’opposizione contro il governo e per il rinvio delle elezioni presidenziali previste l’8 aprile.

Costa d’Avorio
Nel Paese da mesi si combatte una guerra civile tra le truppe fedeli all’ex presidente Laurent Gbagbo ancora al potere dopo la sconfitta elettorale del 28 novembre 2010 e i sostenitori del nuovo presidente eletto Alassana Ouattara, vincitore riconosciuto dalla comunità internazionale. Lunedì scorso si è svolta una manifestazione di protesta dei sostenitori di Ouattara nelle vie centrali della capitale. E almeno dodici persone sono state uccise e trentasette ferite sotto i colpi delle truppe fedeli a Gbagbo (qui le immagini).

Angola
Da diversi giorni telefonate anonime e messaggi su internet arrivano nelle case del Paese africano come un tamtam per mobilizzare i connazionali a manifestare contro "Zédu" (soprannome del presidente José Eduardo dos Santos). L’ appuntamento per portare la protesta dalle case alle strade sembra sia stato fissato per la notte tra il 6 e il 7 Marzo e il luogo sarà Piazza dell’Indipendenza a Luanda. “Il paese è stanco di un Governo al potere dal 1979” dichiara uno dei presunti organizzatori a un giornalista del web magazine La Jeune Afrique.

Mauritania
Manifestazioni di protesta contro la carenza d’acqua e il carovita sono state duramente represse in Mauritania, nella cittadina di Vassala, nel sud-est, vicino al confine con il Mali mentre decine di studenti dell’Università di Nouakchott, capitale della Mauritania, hanno manifestato ed espresso la loro rabbia contro le repressioni in atto in Libia.

Pakistan
A Lahore, in contro tendenza, domenica scorsa dopo tre settimane consecutive circa centocinquanta giovani si sono riuniti nella piazza principale sempre grazie a Facebook ma non per gli stessi motivi che hanno spinto i loro coetanei, ad esempio in Egitto, a scendere in piazza ma per chiedere che “il Pakistan rottami il suo sistema politico democratico affinché venga sostituito con un sistema di governo islamico e la chiusura di tutte le ambasciate statunitensi in Pakistan”.

Venezuela
Il 31 gennaio di quest’anno, nove studenti venezuelani hanno iniziato uno sciopero della fame davanti alla sede dell’Organizzazione degli Stati Americani (OAS) a Caracas perché chiedono che il governo venezuelano consentire al segretario generale dell’OAS, José Miguel Insulza, di visitare il paese, così da denunciarne il peggioramento delle libertà civili e politiche. In comunicato gli studenti hanno dichiarato: “Il nostro sciopero della fame serve a denunciare l’insostenibile situazione di sistematica violazione dei nostri diritti umani da parte del governo di Hugo Chavez: implacabile contro tutti coloro che esprimono apertamente dissenso verso le idee e le politiche ufficiali ".

Cina
Anche nel Regno del Dragone ci sono stati piccoli focolai di rivolte contro il regime comunista. Nonostante almeno una trentina di città cinesi siano state contagiate dai moti levantini la polizia si è presto attivata per bloccare gli attivisti anti-regime. Ma tra i manifestanti spiccava un ospite d’eccezione: Sua Eccellenza Jon Huntsman, ambasciatore americano a Pechino, che è stato ripreso da una telecamera